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Roma e Lazio, allarme hacker per le piccole e medie imprese: il 90% delle aziende non ha difese


di
Rinaldo Frignani

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Costi elevati per proteggersi contro gli attacchi hacker e diffidenza nell’affidare la sicurezza a un dipendente che deve seguire corsi specialistici. A rischio ristoranti, bar, studi professionali e officine

Il ricordo dell’attacco hacker alla Regione Lazio dell’estate 2021, con il blocco dei servizi sanitari e altri danni informatici, è più vivo che mai. Ma nonostante siano passati quasi quattro anni, la drammatica esperienza cyber non ha ancora convinto molti imprenditori romani e laziali ad adottare una politica di sicurezza per evitare infiltrazioni di pirati informatici, con furti di dati sensibili, ma anche di soldi.

Una questione non da poco, visto che il Lazio è la seconda economia del Paese sul fronte delle piccole e medie imprese che rappresentano almeno il 75% delle oltre 600mila in attività sul territorio della regione, ovvero circa 450mila. Il 60% delle quali utilizzano lo strumento digitale per il loro lavoro.




















































Pericoli quotidiani

Da una recente indagine promossa da Confindustria e Generali, insieme con l’Agenzia per la cyber sicurezza nazionale e gli osservatori Digital innovation del Politecnico di Milano – il rapporto Cyber index Pmi Lazio – è emerso come soltanto il 10 per cento degli imprenditori che hanno risposto al sondaggio – un campione di 141 aziende ritenuto dai promotori rappresentativo dell’intera popolazione di Pmi della regione, e quindi anche della Capitale, dove si stima siano circa 60mila – abbiano adottato iniziative per mettere in sicurezza le loro aziende. La media nazionale è del 15%.

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Il 30% di titolari di ditte anche a gestione familiare, come ristoranti, bar, negozi di vario genere, officine, ma anche studi professionali, ambulatori medici, ha ammesso la propria consapevolezza dei rischi che si possono correre, ma anche di non essere in grado di poter fare fronte agli impegni necessari per dotarsi di una difesa cyber adeguata (in molti casi per i costi, in altri per lo scetticismo legato all’incarico da affidare a un dipendente di occuparsi di questo settore), mentre il 35% cerca di risolvere il problema da solo, in modo artigianale, e il restante 25% invece non ha preso alcune misura difensiva. 

Il 15% delle Pmi ha rapporti con la pubblica amministrazione 

Eppure i pericoli sono costanti, quotidiani. E la nuova normativa nazionale in materia di cyber sicurezza – come la Nis 2 – prevede sanzioni anche pesanti per chi non si vuole mettere in regola su questo fronte. Uno scenario inquietante con frequenti attacchi informatici di tipo ransomware, con richiesta di riscatto, portati soprattutto dall’estero, ai quali si uniscono quelli di tipo ddos (distributed denial of service, ndr), con la saturazione dei sistemi e il blocco delle attività in Rete, condotti ad esempio negli ultimi anni anche a Roma e nel Lazio dagli hacker filo russi di «NoName057», che proprio nella Capitale hanno colpito, ad esempio, aziende pubbliche, ministeri e comandi militari.

Del resto i rischi che corrono le Pmi laziali sono collegati anche a quelli del pubblico visto che il 15% ha relazioni con la Pa, mentre il 4% corrispondente al 18mila del totale delle Pmi nella regione, ha confermato di aver subìto violazioni informatiche dal 2021 a oggi. Il rapporto di inizio aprile ha confermato lo scarso livello di consapevolezza da parte delle imprese laziali su questo tema (con un indice di 47-100 rispetto al 52-100 nazionale). E le cose non accennano a cambiare.

A livello nazionale oltre 59mila allarmi hacker 

Un fenomeno al quale fanno seguito i dati dell’attività della polizia postale che ha registrato l’anno scorso quasi 12mila attacchi informatici a infrastrutture critiche, comprese aziende pubbliche e private, a livello nazionale. Inoltre sono stati più di 59mila gli alert (+38% sul 2023), con un aumento delle truffe online e di episodi di ransomware (in questo caso +18% sull’anno precedente), e anche di altre tecniche di hacking (+46%), ovvero l’uso di false identità, la scoperta di password, le email trappola, il malware inserito nel sistema, lo sfruttamento delle reti non protette, perfino la registrazione dei tasti sulla tastiera del pc per scoprire codici di sicurezza.
Rinaldo Frignani

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