L’Italia è un Paese povero di materie prime per i parametri dell’economia classica, ma il più ricco secondo quelli dello sviluppo sostenibile. Custodisce più della metà del patrimonio culturale mondiale e della biodiversità europea, un’abbondanza di sapere artigianale e industriale, dalle meraviglie dell’architettura a quelle del design. Ricca di sole, su tutto il territorio, e di vento, al Sud, può diventare l’Arabia Saudita delle fonti rinnovabili di energia. La carenza di risorse minerarie è stata uno sprone all’economia circolare: i primati in riciclo e recupero, per dipendere meno dalle importazioni, sono confermati, riportati anche in queste pagine.
Rafforza la competitività
Insomma, l’Italia non ha motivo di indietreggiare sulla sostenibilità, intesa in modo integrale, ambientale, sociale ed economico. Non è in contrapposizione con la competitività: si rafforzano a vicenda. I dati, divulgati dall’ASviS, l’Agenzia italiana per lo sviluppo sostenibile, lo dimostrano: sempre più imprese investono nella sostenibilità, consapevoli dei benefici, reputazionali ed economici. Le aziende manifatturiere con un profilo di sostenibilità «alto» hanno avuto una crescita addizionale del valore aggiunto pari al 16,7% rispetto a quelle non sostenibili. Integrare la sostenibilità nel business comporta benefici al 92% delle imprese familiari e all’89% delle non familiari. La sostenibilità resta uno degli obiettivi prioritari nel prossimo futuro: solo il 21% delle imprese indica il rafforzamento delle normative climatiche come un rischio, mentre più del 50% di quelle manifatturiere ha già investito nell’efficientamento energetico. Secondo l’ASviS, investendo nella transizione ecologica il Pil del nostro Paese arriverà a +8,4% entro metà secolo. Non solo: ogni euro investito in interventi di recupero ambientale può generare un ritorno compreso tra 7 e 30 euro.
Le politiche di Trump
Certo, il vento tira contro: negli Stati Uniti, dopo il ritorno di Trump alla Casa Bianca, molte imprese e fondi d’investimento hanno ripreso a perseguire il vecchio modello di sviluppo. Trump non si è limitato a ritirare gli Usa, per la seconda volta, dall’Accordo di Parigi sul clima: ha bloccato i fondi per l’energia pulita e spinto per il ritorno al carbone, dichiarato un’emergenza energetica nazionale per aumentare l’estrazione di petrolio e gas, cancellato tutti i programmi scientifici che monitorano emissioni e riscaldamento globale. Là ora, a livello governativo, è proibito persino parlare di crisi climatica ed ecologica: insomma, una caccia alle streghe. Eppure, la sostenibilità riguarda tutti, perché nessuno potrà rimanere ancora a lungo indifferente a ciò che accade intorno, se vogliamo un futuro vivibile. In un contesto caratterizzato da sovraccarico informativo, false notizie, gridi di allarme di ogni genere, in Italia, nel 2024 rispetto al 2023, le notizie dedicate al clima, come documenta l’Osservatorio di Pavia, sono calate del 47% sui quotidiani e del 45% sui telegiornali. Serve, tuttavia, una comunicazione che non ceda al pessimismo.
Le buone notizie ci sono. Anche negli Usa la decarbonizzazione, malgrado il disimpegno governativo, continuerà: le aziende seguiranno il mercato internazionale, che va in quella direzione. In Cina, grazie a rinnovabili e auto elettriche, nel primo trimestre del 2025, le emissioni di CO2 sono calate dell’1,6%, per la prima volta in un contesto di crescita economica e aumento della domanda energetica. La Ue, se i Paesi mantengono gli impegni sulla carta, può raggiungere la riduzione del 54% delle emissioni entro il 2030, vicina all’obiettivo del 55% L’agricoltura eroica di fronte alla sfida climatica, di cui parliamo nel numero di giugno di eco.bergamo, è un buon esempio per tutti.
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