MILANO. Farsi largo nell’azionariato delle società quotate può essere più facile se si è dipendenti della stessa azienda. I piani di azionariato diffuso sono sempre più popolari a piazza Affari, con i lavoratori che possono comprare azioni possedute dalla società con sconti più o meno evidenti. Nel 2024 è stata Ferrari ad avviare uno dei primi programmi e presto l’esempio è stato seguito – tra le altre – da Eni, A2A, Italgas e Snam.
«Non si tratta di una moda», mette in chiaro Hannes Wagner, docente di Finanza all’università Bocconi. «Una quantità di denaro molto elevata viene messa a disposizione del management dai nuovi azionisti. E la cosa nuova è che gli azionisti sono i dipendenti: per definizione, sono investitori stabili».
I piani di azionariato diffuso, nota il docente, piacciono al mercato perché nascondono «molti vantaggi». Chi acquista le azioni a prezzi scontati e beneficia di una assegnazione gratuita diventa di colpo socio spendendo meno di quanto richiederebbe la Borsa. «È un meccanismo che permette di allineare gli interessi dei dipendenti con quelli dell’azienda: chi lavora sa che i suoi sforzi possono fare la differenza e rendere migliore la società», evidenzia Wagner. Le quotate, da parte loro, «possono autofinanziarsi in maniera sostenibile: chi negli Stati Uniti ha attivato piani di azionariato diffuso con grandi volumi – racconta – è riuscito per anni a finanziare la spesa in tecnologia, con investimenti in conto capitale pari all’ammontare di denaro raccolto dalla vendita di azioni ai propri dipendenti».
Benefici che non sono però garantiti a tutti. Le grandi società blue chip hanno più da guadagnarci, mentre le aziende più piccole e startup non quotate possono puntare sui più tradizionali piani di stock option che sono rivolti a una più ristretta fetta di dipendenti. «Il costo di creazione di un programma di azionariato diffuso è piuttosto elevato: ha senso per chi ha le strutture adatte e può attivare un piano in maniera molto economica», dice Wagner. «La tendenza, comunque, continuerà. A meno che non ci sia un inasprimento del trattamento fiscale che riduca la convenienza dei piani: se il contesto normativo non cambia, si vorrà continuare a far investire i dipendenti nell’azienda perché sono una fonte di finanziamento interessante, amichevole e stabile».
A maggio il Senato ha approvato la legge che disciplina le forme di partecipazione al capitale dei lavoratori nelle imprese, con il testo che prevede per il 2025 sconti fiscali per i dipendenti che incasseranno dividendi che spettano alle azioni acquistate con i piani.
«Il trend è globale: tutti gli stati del mondo occidentale si stanno attrezzando con normative e incentivi per ampliare la partecipazione finanziaria dei dipendenti nella vita dell’azienda», sottolinea Gianpaolo Moschetti, alla guida delle attività in Sud Europa di Optio Incentives, piattaforma tecnologica per la gestione dei piani di azionariato diffuso. «In Italia – aggiunge – stiamo facendo meglio degli altri, grazie alla spinta iniziale da parte di alcune aziende pionieristiche». A ingolosire i dipendenti i valori alti delle società quotate, che sono spinte sui mercati dagli indici tornati dopo decenni a navigare oltre i 40mila punti. «Questo vale particolarmente per le energetiche, che sono andate particolarmente bene in questi anni e che risultano attraenti se acquistate a prezzi scontati», evidenzia Moschetti.
Ai dipendenti viene messo a disposizione, mediamente, lo 0,5% del capitale sociale, ma in alcuni casi ci si può avvicinare anche all’1%. Sul successo del piano di azionariato diffuso ha un impatto la scelta del management.
«Più l’azienda regala all’inizio, più il piano è apprezzato dai dipendenti che in quel caso possono aderire anche con percentuali vicine al 90%», spiega Moschetti. Quando viene chiesto di acquistare azioni prima di ricevere il grant i valori crollano, con adesioni che possono inchiodarsi tra il 20% e il 40%. «Aderire a un piano azionario – chiosa il manager – significa investire in azioni: non è un tema sempre alla portata di tutti, anche se con la tecnologia sta diventando sempre più democratico».
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