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Referendum dell’8 e 9 giugno: un voto che parla del futuro


Domenica 8 e lunedì 9 giugno gli italiani saranno chiamati ad esprimersi su cinque referendum abrogativi. Una tornata elettorale che va ben oltre i tecnicismi legislativi: in gioco c’è una visione di società. I quesiti toccano temi sensibili e profondamente attuali — diritti dei lavoratori, precarietà, sicurezza, inclusione — e mettono a nudo fratture culturali e politiche che attraversano il Paese da decenni.

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Dietro ogni quesito c’è una vicenda normativa lunga e complessa. Capirne l’evoluzione aiuta a cogliere il senso profondo di questa consultazione.

1. Licenziamenti illegittimi: il reintegro perduto

Il primo quesito mira a rimettere in discussione uno dei cardini del Jobs Act, la riforma del lavoro voluta dal governo Renzi nel 2015. Oggi, chi viene licenziato ingiustamente ha diritto al reintegro solo in casi eccezionali. Per la maggior parte dei lavoratori, l’unico risarcimento previsto è economico.

Non è sempre stato così. Nel 1970 lo Statuto dei Lavoratori introdusse l’articolo 18, che garantiva il diritto a tornare al proprio posto in caso di licenziamento illegittimo. Era l’emblema di un’Italia che intendeva rafforzare la tutela del lavoro subordinato. Ma a partire dalla riforma Fornero del 2012, e poi con il Jobs Act, quella protezione è stata ridotta. Il quesito referendario chiede di abrogare la norma che ha escluso il reintegro per i lavoratori assunti dopo il 7 marzo 2015, ristabilendo un equilibrio contrattuale più favorevole al dipendente.

2. Tutele solo per alcuni: il nodo delle piccole imprese

Il secondo quesito affronta una disuguaglianza spesso taciuta: nelle aziende con meno di 15 dipendenti, le garanzie dell’articolo 18 non si applicano. In questi casi, anche in presenza di un licenziamento illegittimo, il lavoratore non ha diritto al reintegro, ma solo a un’indennità.

Questa distinzione ha radici lontane. Fu introdotta con la legge 604 del 1966, per non gravare eccessivamente sulle piccole imprese. Ma oggi, quella soglia è vista da molti come una discriminazione: due persone licenziate per la stessa ragione possono ricevere trattamenti molto diversi, solo in base alla dimensione dell’azienda in cui lavoravano.

Il referendum propone di eliminare questa disparità, estendendo le tutele a tutti i lavoratori, indipendentemente dal numero di colleghi in organico.

3. Contratti a termine: quando la flessibilità diventa precarietà

Il terzo quesito punta a limitare la possibilità per le aziende di stipulare contratti a tempo determinato senza dover fornire una motivazione. Oggi la legge consente di assumere senza causale per un massimo di 12 mesi, rinnovabili. Solo successivamente è obbligatorio indicare una ragione concreta.

Una flessibilità pensata per agevolare le assunzioni, ma che nel tempo ha alimentato una spirale di instabilità lavorativa, in particolare tra i giovani. La normativa attuale è il risultato di un percorso tortuoso, che ha visto alternarsi politiche di liberalizzazione (come la legge Treu del 1997 o il decreto Poletti del 2014) a tentativi di correzione (Decreto Dignità, 2018).

Votare “Sì” significherebbe imporre la causale fin dal primo contratto, cercando di arginare il ricorso eccessivo a rapporti di lavoro temporanei e frammentati.

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4. Appalti e sicurezza: chi è responsabile quando si muore di lavoro

Il quarto quesito chiama in causa la responsabilità dei committenti nelle catene degli appalti, un tema cruciale alla luce delle troppe morti sul lavoro. Attualmente, chi affida un incarico a un’altra azienda non risponde sempre delle violazioni in materia di sicurezza commesse da quest’ultima.

Il Testo Unico del 2008 (decreto legislativo 81) aveva sancito un principio forte di responsabilità condivisa. Ma negli anni, tra sentenze e modifiche legislative, quel principio si è affievolito. L’obiettivo del referendum è ripristinarlo, stabilendo che anche il committente risponda in caso di incidenti o irregolarità.

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Secondo i dati Inail, nel solo 2024 si sono contate oltre mille vittime sul lavoro. Una tragedia silenziosa, che il quesito intende affrontare alla radice.

5. Cittadinanza: cambiare le regole per chi nasce o cresce in Italia

L’ultimo quesito guarda alla legge 91 del 1992, che regola l’accesso alla cittadinanza italiana. Oggi servono dieci anni di residenza regolare per poterne fare richiesta. Un periodo considerato eccessivo, soprattutto per i giovani nati o cresciuti in Italia da genitori stranieri.

L’obiettivo del referendum è dimezzare questo requisito, portandolo a cinque anni. Si tratterebbe di un primo passo verso uno ius soli “temperato”, che però non equiparerebbe ancora chi nasce in Italia ai cittadini italiani dalla nascita.

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Negli ultimi anni, diversi tentativi di riforma sono naufragati in Parlamento, come quello del governo Gentiloni nel 2017. Questo quesito riapre il dibattito, riportandolo direttamente alla volontà popolare.

Schieramenti politici e rischio quorum

Le posizioni dei partiti sono tutt’altro che univoche. A favore del “Sì” si sono espressi la CGIL, Alleanza Verdi-Sinistra, una parte del Partito Democratico e numerose realtà della società civile. Più freddi — o apertamente contrari — i partiti di governo: Fratelli d’Italia, Lega e Forza Italia. Il Movimento 5 Stelle ha dichiarato sostegno solo ad alcuni quesiti, come quello sulla cittadinanza.

Ma la vera incognita resta il quorum: affinché i referendum abrogativi siano validi, è necessario che si rechi alle urne almeno il 50% più uno degli aventi diritto. Un traguardo sempre più difficile da raggiungere. Lo dimostra l’esito del 2022, quando nessuno dei cinque referendum sulla giustizia raggiunse il quorum.

Una consultazione che interroga l’identità del Paese

I referendum dell’8 e 9 giugno non sono un voto tecnico. Interrogano i cittadini su che tipo di Italia vogliono costruire: un Paese che protegge di più o che punta sulla flessibilità? Che allarga la cittadinanza o la mantiene selettiva? Che responsabilizza chi appalta lavori o che scarica altrove le colpe? Dietro ogni scheda c’è una domanda più grande delle singole norme: è il modello di convivenza sociale a essere messo in discussione.

(foto ANSA)

 





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