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Mobilità e diseguaglianze: se i territori non si muovono, il Paese si ferma


di Mariagrazia Lupo Albore, Direttore generale Unimpresa

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L’Italia è un Paese che, purtroppo, viaggia a velocità molto diverse. In senso letterale. Se nelle aree metropolitane si discute di alta velocità, smart mobility e app per il trasporto integrato, nelle aree interne – che rappresentano oltre la metà del territorio nazionale – ci si confronta ancora con treni lenti, autobus carenti, strade dissestate. E quando la mobilità si inceppa, non si fermano solo le persone. Si bloccano le economie locali, si indebolisce il legame sociale, si riduce l’accesso a diritti fondamentali come il lavoro, la scuola, la sanità.

Quella della mobilità non è solo una questione infrastrutturale. È una questione di equità, di giustizia territoriale, di cittadinanza piena. Dove non ci si muove, non si cresce. Dove i collegamenti sono inadeguati, le imprese non riescono ad attrarre forza lavoro, i giovani se ne vanno, i servizi chiudono. E così si alimenta un circolo vizioso: meno abitanti, meno domanda, meno trasporti.

Le piccole e medie imprese che operano in queste aree lo sanno bene. Ogni giorno affrontano ritardi, costi logistici maggiori, difficoltà nel ricevere merci o raggiungere clienti. Ogni chilometro di distanza dai grandi assi di comunicazione si trasforma in una penalizzazione competitiva. Eppure, troppo spesso, le politiche pubbliche continuano a concentrarsi sulle tratte ad alta redditività, lasciando fuori proprio quelle zone che avrebbero più bisogno di investimenti.

Non basta più parlare di “infrastrutture strategiche”. Bisogna tornare a considerare strategico il principio di coesione. Significa investire nelle ferrovie secondarie, nei collegamenti intermodali, nei servizi minimi garantiti per le aree rurali e montane. Ma significa anche adottare soluzioni innovative: trasporto a chiamata, mobilità elettrica condivisa, logistica sostenibile di prossimità.

C’è poi un altro aspetto spesso sottovalutato: la mobilità è anche un tema culturale. Dove i trasporti pubblici funzionano, le persone si muovono di più, incontrano, collaborano, studiano, producono. Si costruisce capitale sociale. Dove invece la mobilità è scarsa o inefficiente, cresce la solitudine, la marginalità, la sfiducia.

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La transizione ecologica, di cui tanto si parla, passa anche da qui. Ma non può tradursi in un’ulteriore penalizzazione per chi vive in territori già fragili. Non si può chiedere di abbandonare l’auto privata senza offrire alternative reali. La mobilità è il sistema circolatorio del Paese. Se non raggiunge ogni parte del corpo, prima o poi l’organismo si ammala. Ricucire le distanze fisiche è anche il primo passo per ridurre quelle economiche e sociali.

E dare davvero a tutti, ovunque si trovino, la possibilità di partecipare allo sviluppo del Paese. Una nazione coesa si misura anche dalla possibilità – concreta, quotidiana – di muoversi liberamente. Senza dover migrare per vivere, lavorare, studiare o curarsi. Far viaggiare i territori significa far camminare l’Italia. Tutta intera.

Ufficio Stampa Unimpresa
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