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“Contratti premianti, non salario minimo. Così si cresce”


Nel pieno del dibattito nazionale sui referendum promossi dalla Cgil, la ministra del Lavoro Marina Calderone lancia un messaggio chiaro al mondo produttivo: nessuna apertura al salario minimo legale, ma pieno sostegno alla contrattazione collettiva e agli accordi di produttività. In un’intervista a La Stampa, Calderone rassicura le imprese che il governo continuerà sulla strada già tracciata, puntando a una politica del lavoro che valorizzi le performance aziendali e premi le intese su misura. “A prescindere dai risultati referendari, continueremo il confronto con tutte le parti sociali”, spiega, “ma la rotta è definita”.

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Calderone agli imprenditori: “Contratti premianti, non salario minimo. Così si cresce”

Nel mirino del governo c’è una visione del mercato del lavoro che rifiuta schemi rigidi. Calderone si schiera apertamente contro l’introduzione di un salario minimo per legge, che – secondo la ministra – minerebbe il cuore del sistema: la capacità delle parti di negoziare autonomamente trattamenti retributivi coerenti con i settori, i territori, e le specificità delle imprese.

Imprese premiate dalla legge di bilancio

Dal gennaio 2025 è entrato in vigore uno dei provvedimenti centrali della strategia Calderone: la tassazione agevolata al 5% per i contratti di produttività. La misura ha avuto, secondo il Ministero, un impatto diretto sull’incremento degli accordi che legano una parte della retribuzione agli obiettivi raggiunti. “Una circolarità virtuosa”, la definisce Calderone, dove l’impresa beneficia fiscalmente e il lavoratore partecipa ai risultati. Un sistema che – nelle intenzioni – stimola competitività, efficienza e senso di appartenenza.

L’appello al mondo industriale è trasparente: usare la contrattazione come leva di crescita, non subirla. “Il nostro obiettivo è sostenere le imprese che investono in capitale umano e performance”, afferma. Nessuna penalizzazione per chi crea valore e redistribuisce in modo mirato, ma incentivi per rafforzare l’autonomia gestionale. Il modello che il governo propone prende le distanze dalle dinamiche retributive imposte per legge, considerate “un appiattimento che non tiene conto delle differenze produttive”.

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Il salario minimo viene bollato dalla ministra come una scorciatoia inefficace. Secondo Calderone, non solo non alzerebbe realmente gli stipendi, ma costituirebbe un pericolo per l’intero sistema della contrattazione collettiva, depotenziandolo. In questo contesto, la linea dell’esecutivo è netta: difesa del ruolo delle rappresentanze sindacali, ma dentro un quadro negoziale fluido e adattabile, non rigido e centralizzato.

“A breve il Senato approverà una legge delega che affiderà al Ministero nuovi strumenti per individuare soluzioni sostenibili”, anticipa. Le priorità? Difendere i contratti esistenti, rilanciare quelli scaduti e spingere verso intese innovative, capaci di coniugare produttività e benessere organizzativo. Il futuro, per Calderone, passa da una riforma costruita con gli attori del sistema, non calata dall’alto con meccanismi uniformi.

Riformismo pragmatico e dialogo selettivo

Anche sul fronte del dialogo con la Cgil, promotrice dei quesiti referendari sul lavoro, Calderone adotta toni concilianti ma fermi. “Non voglio polemizzare”, dice, “ma i numeri vanno letti in modo articolato”. La denuncia della Cgil – secondo cui oltre sei milioni di lavoratori guadagnerebbero meno di mille euro netti al mese – non viene negata, ma contestualizzata: la discontinuità, il part time femminile, le basse qualifiche incidono, ma il mercato oggi mostra segnali di ripresa.

Calderone rivendica come molti datori di lavoro siano tornati a preferire contratti a tempo indeterminato e sottolinea l’attivazione del bonus assunzionale per le donne: un esonero totale dai contributi per due anni per ogni contratto stabile firmato entro il 31 dicembre 2025. “Gli abusi vanno perseguiti – aggiunge – ma la maggior parte delle aziende sta già scegliendo la stabilità”.

Un messaggio al sistema delle imprese

In filigrana, l’intervento della ministra è anche un messaggio al sistema produttivo italiano, in particolare alla parte più strutturata e innovativa. La stabilità normativa, la valorizzazione del merito e il rifiuto di imposizioni retributive sono pensati per dare alle imprese un quadro più prevedibile e competitivo. La scommessa del governo è che le aziende, libere da vincoli rigidi, possano assumere, formare e premiare meglio i propri dipendenti.

Non si tratta solo di politica del lavoro, ma di un vero indirizzo economico. L’intento è spingere l’Italia fuori da una stagnazione fatta di lavori precari e salari piatti, incentivando chi innova e rischia. Calderone punta su un’alleanza nuova tra imprese e lavoratori, mediata da contratti intelligenti, e non da tabelle minime imposte per legge.

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Il referendum potrà dire molto sulla percezione del Paese, ma non cambierà la rotta del governo. E la ministra lo ribadisce: “La via italiana per salari più alti passa da produttività, detassazione e buona contrattazione”. Un messaggio diretto agli industriali: ora la partita si gioca anche nei loro uffici.



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