Nell’editoriale pubblicato su Piazza Levante, Antonio Gozzi (presidente di Federacciai e special advisor di Confindustria con deleghe a autonomia strategica europea, Piano Mattei e competitività) prende di mira la narrativa negativa che da anni avvolge l’economia italiana, sostenendo che essa non solo è infondata, ma anche pericolosa. Lo fa partendo da un presupposto centrale: in economia, la fiducia è un elemento fondamentale. “Pessimismo e negatività spesso si auto-avverano”, scrive, spiegando come le scelte di consumatori, imprese e investitori siano influenzate dal clima generale, e quindi anche da rappresentazioni distorte.
Questa visione distorta, secondo Gozzi, viene alimentata non solo dalle opposizioni in Parlamento, che “utilizzano lo stato dell’economia come strumento di propaganda”, ma anche da un racconto mediatico che tende ad amplificare i problemi e oscurare i progressi. L’autore non risparmia neppure le forze di governo, colpevoli a suo avviso di non saper costruire “una narrazione positiva del nostro Paese”. A ciò si aggiunge un’antica tendenza delle élite italiane a sottovalutare le capacità del Paese per una forma di “esterofilia” radicata.
A sostegno della sua tesi, Gozzi si affida a uno studio realizzato dal Centro Studi di Confindustria, presentato alle principali agenzie internazionali di rating e accolto con favore – tanto da contribuire, ad esempio, al miglioramento del rating dell’Italia da parte di Standard & Poor’s. Il titolo dello studio, “Unveiling Italy’s Economic Potential”, parla chiaro: si tratta di mettere in luce un potenziale sottovalutato, fatto di dati concreti e tendenze positive.
Uno degli elementi più sorprendenti riguarda la crescita del PIL. Contrariamente alla tradizione che voleva l’Italia fanalino di coda in Europa, nel periodo 2018-2023 il Paese ha registrato una crescita media dell’1% annuo, superando Germania, Regno Unito, Francia e persino il Giappone. Ancora più impressionante la crescita del reddito pro capite nello stesso periodo, con un +1,3% annuo, secondo solo agli Stati Uniti.
Altro punto di forza è stato l’aumento degli investimenti produttivi: +17,8% in cinque anni, contro il +6% della Francia e il -4,5% della Germania. Questo slancio, ricorda Gozzi, è dovuto anche alla politica “Industria 4.0” introdotta dal governo Renzi, che ha incentivato l’adozione di tecnologie avanzate da parte delle imprese.
L’export continua a rappresentare un asse portante della competitività italiana. Nel 2023, oltre il 52% del fatturato industriale nazionale è stato destinato ai mercati esteri. Un risultato ottenuto senza le “svalutazioni competitive” della Lira, e reso possibile da un sistema manifatturiero altamente diversificato e specializzato, con eccellenze nei settori della meccanica, della farmaceutica, dell’agroalimentare, del design e della moda. Le imprese italiane – in particolare le PMI a controllo familiare – spiccano per flessibilità, innovazione e produttività, che in alcune fasce supera quella di tutti i partner europei.
Il quadro positivo include anche la sostenibilità. Le emissioni industriali italiane sono inferiori del 5,1% alla media UE e il Paese è primo in Europa per economia circolare, sia in termini di valore aggiunto sia per numero di occupati. Gli investimenti in energie rinnovabili, inoltre, ammontano a oltre 200 miliardi entro il 2030.
Le imprese italiane hanno poi rafforzato il proprio assetto patrimoniale. Dal 2011 al 2024 hanno quasi dimezzato l’indebitamento bancario, passando dal 53,9% al 27,4% del capitale investito. La capitalizzazione complessiva è ora pari al 47,3%, superiore a quella delle imprese francesi e in linea con quelle tedesche e spagnole.
Anche il mercato del lavoro, secondo Gozzi, smentisce la retorica del declino. La relazione del Governatore della Banca d’Italia, Fabio Panetta, indica che la crescita dell’occupazione è trainata dai contratti a tempo indeterminato, nonostante il rallentamento economico. “La crescita dell’occupazione è stata trainata dal lavoro dipendente a tempo indeterminato, a fronte di un calo di quello a termine”, scrive Panetta. Inoltre, la disoccupazione giovanile è scesa al 6%, il valore più basso degli ultimi 17 anni.
L’attrattività dell’Italia per gli investimenti esteri ha segnato un altro segnale in controtendenza: nel 2024 è cresciuta del 5%, mentre in Europa il dato generale è negativo. La Francia, ad esempio, ha registrato un calo del 14%. Questo – osserva Gozzi – “è il termometro che misura l’attrattività industriale, tecnologica e strategica di un Paese”.
Importanti anche i progressi sul fronte delle riforme. In ambito giudiziario, il numero di cause pendenti si è drasticamente ridotto grazie all’introduzione di strumenti digitali e alla semplificazione procedurale. Sul piano fiscale, l’adozione della fatturazione elettronica ha permesso un recupero dell’evasione IVA stimato in 10 miliardi annui, con il VAT compliance gap sceso dal 21,6% al 10,6%.
Per quanto riguarda la finanza pubblica, Gozzi sottolinea due elementi decisivi: da un lato, la crescita contenuta del rapporto debito/PIL (+1,2% tra 2019 e 2023), migliore di tutti i grandi Paesi avanzati; dall’altro, il continuo avanzo primario previsto nei prossimi anni, con un valore medio dell’1% del PIL, ben al di sopra della Germania (0,1%) e Francia (-3,3%). Inoltre, la composizione del debito è migliorata: la quota detenuta da soggetti stranieri è scesa sotto il 28%, mentre è calata anche la quota in mano alle banche italiane.
Infine, il Paese mostra segnali di crescente stabilità politica. L’indice della Banca Mondiale è salito da 0,33 (2018) a 0,50 (2023), più alto di Francia e Spagna, e vicino a quello della Germania. Questo, insieme alla solidità dell’apparato produttivo e alle riforme, contribuisce a rendere l’Italia più attrattiva per i capitali internazionali.
A chiudere, Gozzi ricorda il patrimonio privato degli italiani: più dell’80% delle famiglie è proprietaria della casa in cui vive e la ricchezza finanziaria cresce costantemente. “Gli italiani sono grandissimi risparmiatori”, sottolinea.
Non mancano certo i problemi: bassi salari, scarsa partecipazione femminile al lavoro, fuga di cervelli e scarsità di immigrazione qualificata. Ma da qui a parlare di un Paese in crisi irreversibile ce ne corre. “Presentare tutto come una tragedia è una menzogna formidabile”, conclude Gozzi. E invita a un racconto più equilibrato, rispettoso della realtà e utile alla costruzione di una nuova fiducia collettiva.
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