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Quali citt� e regioni italiane pagano nel 2025 chi si trasferisce per lavorare. C’� Varese, ma non solo


Non è un borgo abbandonato dell’Appennino né una remota isola in cerca di ripopolamento: Varese, con i suoi quasi un milione di abitanti, sorprende per un’iniziativa che sembra uscita da una strategia di marketing territoriale delle aree interne. E invece si tratta di una delle province più ricche e industrializzate della Lombardia, che per prima nel Nord produttivo ha deciso di invertire la rotta e affrontare il problema della fuga di cervelli e di manodopera qualificata.

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A guidare questo cambio di passo è il bando Vieni a vivere a Varese, lanciato dalla Camera di Commercio. L’obiettivo è t offrire 6.000 euro in tre anni a chi si trasferisce per lavorare in provincia con un contratto regolare, anche a tempo determinato. I beneficiari riceveranno unvoucher territoriale, da spendere in esercizi commerciali e artigianali locali, per creare una filiera economica virtuosa. Il tutto in un contesto che, nonostante i numeri da capogiro in termini di Pil e occupazione, perde ogni anno decine di migliaia di giovani attratti dai salari più alti della vicina Svizzera o di Milano.

Il punto è proprio questo: gli stipendi, che in media in Italia si attestano attorno ai 24.000 euro annui, mentre appena oltre il confine elvetico superano i 70.000. Di fronte a questa forbice salariale, anche un territorio efficiente, con due università, Its e scuole tecniche d’eccellenza, non basta più a trattenere i lavoratori. Per questo l’iniziativa di Varese è una chiamata esplicita a credere in una nuova forma di cittadinanza attiva, fondata su lavoro, qualità della vita e appartenenza al territorio.


  • Il modello si espande, città e regioni in prima linea

  • Tra fuga di cervelli e attrattività locale

Il modello si espande, città e regioni in prima linea

Varese non è un’eccezione solitaria, ma il segnale più visibile di un movimento che si sta estendendo in tutto il Paese. A guidarlo sono regioni e comuni di ogni dimensione, mossi dalla necessità di reagire allo spopolamento, alla carenza di profili professionali e al rischio di desertificazione economica. Il Molise ha da tempo attivato contributi economici fino a 8.000 euro per chi si trasferisce e apre una microimpresa in borghi con meno di 2.000 abitanti. In Calabria, alcune iniziative regionali offrono fino a 28.000 euro a fondo perduto a chi decide di avviare un’attività imprenditoriale nelle zone interne.

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Ancora più articolato è il caso della Sardegna, che ha stanziato fondi regionali destinati a chi acquista o ristruttura una casa in piccoli comuni colpiti da un forte calo demografico. Le cifre possono arrivare a 15.000 euro, e il beneficio è cumulabile con altre agevolazioni locali. Anche le zone montane dell’Emilia-Romagna stanno puntando sulla leva economica con bonus fino a 30.000 euro destinati a nuovi residenti che avviano un’impresa o che si trasferiscono con la propria famiglia. Persino in Piemonte e Veneto sono stati attivati fondi per incentivare il ritorno di giovani e professionisti nei territori dell’arco alpino, dove i servizi ci sono ma le case restano spesso vuote.

Si tratta di una strategia a lungo termine, che punta sulla capacità di queste aree di creare ecosistemi resilienti, capaci di accogliere nuovi cittadini non solo con contributi una tantum, ma con scuole, infrastrutture digitali, spazi di co-working, assistenza sanitaria e mobilità sostenibile.

Tra fuga di cervelli e attrattività locale

Il fenomeno degli incentivi economici per il trasferimento lavorativo è il sintomo di una crisi strutturale che investe tutta l’Italia: da un lato la difficoltà nel trattenere le nuove generazioni, dall’altro l’urgenza di riempire le caselle vuote nelle imprese, soprattutto nei settori tecnici, artigianali e digitali. A maggio 2025, secondo i dati Unioncamere, su 460.000 posti di lavoro disponibili, ben la metà rischiava di restare vacante per mancanza di candidati adeguati.

Il problema non è solo formativo. Le scuole e gli istituti tecnici funzionano e, come nel caso di Varese, il tasso di occupazione post-diploma raggiunge il 94%. L’ostacolo è la combinazione letale di salari bassi, carenza di servizi, difficoltà abitative e scarsa attrattività territoriale.

Per questo, le città e i territori che decidono di pagare per lavorare fanno una scelta strategica. Investono sul capitale umano come primo motore di sviluppo. Offrono una visione, un patto sociale, un’idea concreta di comunità attiva e sostenibile.



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