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Il bilancio Ue e la nuova politica di coesione


di Annapaola Voto

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Cominciamo col dire che mai come adesso l’Europa è centrale nella discussione pubblica internazionale per il suo patrimonio di valori soggetto a continue insidie, per l’improvvisa virata delle politiche di difesa comune sopraggiunte all’indomani dei mutati scenari americani e mondiali. Vedremo che cosa significa e che cosa succederà. In premessa è obbligatorio precisare (mai come questa volta!) che la fotografia e le valutazioni qui compiute potrebbero nel volgere di pochissimo tempo risultare superate dagli eventi. Serve ancora di più quindi conoscere lo stato dell’arte per capire a cosa eventualmente potremmo rinunciare.

Mi sento di dire che abbiamo più che mai bisogno della politica di coesione che ha avuto un ruolo centrale nelle risposte alle crisi che hanno colpito l’Europa, le crisi economiche susseguitisi dal 2008 in poi, la crisi pandemica, la guerra e la crisi energetica. Ma proprio questi eventi straordinari, per lo sforzo di rispondere alle contingenze, hanno messo in discussione il contributo delle politiche di coesione alle sfide strutturali e socioeconomiche di lungo termine. Il Covid-19, le guerre e una miriade di altri conflitti hanno determinato uno “shock di globalizzazione” dalle profonde implicazioni per le economie globali ed europee.

Partiamo da una domanda: qual è stato l’impatto delle politiche di coesione sullo sviluppo delle regioni europee? Un working paper di IFEL sottolinea che lo storico allargamento dell’UE del 2004 è un chiaro esempio dell’impatto positivo della politica di coesione. Vent’anni dopo, il PIL medio pro capite negli Stati membri che hanno aderito all’UE è passato da circa il 52% della media dell’UE nel 2004 a quasi l’80% nel 2023.

I tassi di disoccupazione in tali Stati membri sono diminuiti, passando da una media del 13% al 4% in tale periodo. Tuttavia, la convergenza è stata disomogenea all’interno dell’UE: ciò vale soprattutto per le regioni negli Stati membri meridionali, in particolare dopo la crisi finanziaria del 2008, ma anche per un gruppo di regioni in transizione negli Stati membri più sviluppati. Di fatto, circa un terzo delle regioni dell’UE non ha ancora registrato un ritorno ai livelli del PIL pro capite del 2008.

È fuori discussione che la politica di coesione abbia svolto un ruolo chiave nel sostenere gli investimenti pubblici. Finanzia, infatti, quasi il 13% degli investimenti pubblici totali nell’UE nel suo complesso e il 51% negli Stati membri meno sviluppati. I principali beneficiari delle politiche di coesione risultano essere le imprese, a seguire i comuni: la ricerca e l’innovazione, le reti e i servizi culturali, la competitività delle imprese, l’energia e l’ambiente, i trasporti e la mobilità, l’occupazione e il lavoro, l’inclusione sociale e la salute, l’istruzione e la formazione, la rigenerazione delle città, gli interventi nelle aree interne e la capacità amministrativa della PA: non c’è settore della vita associata che non sia stata interessata da investimenti delle politiche di coesione. Purtuttavia, proprio le grandi crisi di cui parlavo all’inizio, hanno frenato la linearità dell’avanzamento dello sviluppo generando un senso di sfiducia estrema nei confronti del progetto europeo. Una delle criticità è stata sicuramente il fallimento del coordinamento con altre politiche dell’UE e nazionali. Nei regolamenti dei fondi dell’ultimo ciclo non compare più il principio di addizionalità della politica di coesione rispetto alle politiche ordinarie degli Stati membri. Ho partecipato, in sede di commissione Coter (ne parliamo a parte in questo stesso numero) alla discussione sul progetto di parere presentato dal consigliere di Milano Carmine Pacente sugli investimenti di coesione nelle aree metropolitane e in generale sui rischi di un accentramento dei processi di gestione dopo il ciclo del 2027.

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È questo che bisogna scongiurare. La riforma della politica di coesione post-2027 non dovrebbe, in nessun caso, implicare un indebolimento della gestione concorrente e della governance multilivello, continuando ad assicurare il coinvolgimento attivo e pieno delle autorità regionali, locali e territoriali, delle parti sociali, degli imprenditori e della società civile. In questo mi sento di dire che azioni di rafforzamento della capacità amministrativa come quella che viene svolta da IFEL e, a livello territoriale, da IFEL Campania, sono fondamentali. Rafforzare lo sviluppo di capacità nell’intero ecosistema amministrativo è viceversa una condizione essenziale per rendere più efficace la politica di coesione. Essa dovrebbe investire ancora più decisamente di come faccia ora nel potenziamento della leadership e della professionalizzazione del personale di tutto l’ecosistema amministrativo, dalle autorità di gestione, ai soggetti attuatori, ai beneficiari.

Non bisogna perdere di vista la capacità di misurazione dell’impatto delle politiche. Il working paper di cui parlavo all’inizio nel suggerire che “i modelli basati sui risultati, in cui i pagamenti si basano sulla piena realizzazione di traguardi e obiettivi prestabiliti precedentemente concordati, forniscono una soluzione più rapida e, in alcuni casi, migliorano l’efficienza”, mette però in guardia dalle “insidie dell’autorità eccessivamente centralizzata nei governi nazionali”. Tornando al bilancio Ue senza vincolo c’è il rischio che le risorse di coesione siano destinate in urgenza allo sforzo bellico e alla difesa comune. Il quadro è in evoluzione e mutevole. Tutte da capire le reali ricadute in termini di indirizzo programmatico, amministrativo e finanziario.



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