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“Il venture capital funziona solo se vive i tempi delle startup, non quelli della politica”


“Il venture capital è un mercato lento. Serve pazienza e un orizzonte a lungo termine. Cose che spesso alla politica e alla mano pubblica in questo settore mancano”. Salvo Mizzi lavora nell’industria del digitale dalla metà degli anni Novanta. È una figura di riferimento nel mondo delle startup, da quando nel nostro Paese si è cominciato a parlare di startup. Prima con Tim Ventures, poi con Invitalia Ventures, ha dato vita a Cdp Venture e Enea Tech, di cui è stato direttore generale. Mizzi conosce bene il ruolo del pubblico nel mondo delle neo imprese innovative perché quel ruolo lo ha in qualche modo creato. E il prossimo mese tornerà alla guida di un fondo di fondi di venture capital, ma con una matrice diversa. Si chiama Radical Partner. Un fondo di fondi è un fondo di venture capital che non investe direttamente in startup, ma in altri fondi di venture capital che a loro volta investono in startup. Un po’ come fanno alcuni rami di Cdp Venture, il fondo di venture capital di Cassa Depositi e Prestiti. Radical Partner vuole fare lo stesso, ma per la prima volta in Italia con risorse interamente prese dal privato. Rappresentando in qualche modo una sfida e uno stimolo al mercato degli investimenti in capitale di rischio. Per Mizzi il momento per farlo è adesso: “Oggi ci sono le condizioni. L’Europa sta vivendo un momento ‘churchilliano’. Gli Usa finora hanno dominato anche grazie ai cervelli europei. Oggi tocca a noi”.

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Mizzi, perché Radical Partner?

“Il progetto ha una gestazione non breve. Con i miei soci (Cristiano Garocchio e Daniele Vecchi, ndr) abbiamo ragionato un po’ e ci siamo convinti che il sistema del venture capital italiano non gira come dovrebbe perché è troppo basato su risorse e soldi pubblici. Io lo so e lo conosco bene perché ho contribuito a crearlo. Ciò che manca in Italia è un fondo di fondi privato e indipendente in grado di riequilibrare il focus del venture capital che oggi è troppo spostato sul pubblico”.

Cosa c’è che non va con il venture capital pubblico?

“Vive in un orizzonte troppo legato alla politica. E la politica prende decisioni, cambia vertici, manager, non sempre per merito ma spesso per spoil system (assegnazione di incarichi in base a vicinanza politica, ndr). Io ho lavorato in quel settore, ho contribuito a crearlo. Ma a differenza di quello che è avvenuto in Francia, dove a guidare il corrispettivo di Cdp Venture (Bpi France, ndr) ci sono da 15 anni le stesse persone, qui in Italia cambiano i vertici come cambiano i governi”.

Lei però – come diceva – quel sistema pubblico di investimenti ha contribuito a crearlo. Mi convinca che il suo non vuole essere un tentativo di rivincita.

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“Nessuna rivincita, è solo una questione di mercato. Il venture capital deve essere un capitale paziente. Ha bisogno di tempi lunghi. Ha bisogno di persone che sanno aspettare e tenere il timone per molto tempo. Non si viene subito ripagati degli investimenti fatti. C’è bisogno di tempo e orizzonti lunghi, quelli che la politica in questo Paese ha dimostrato di non avere. Per questo sono convinto che un’azione privata possa servire da stimolo”.

Solo da stimolo?

“Anche come alternativa al pubblico, che è più lento nelle decisioni e nei processi”.

In chi investirete?

“Investiremo il 60-70% in fondi italiani e il resto in Europa. In Italia cercheremo di investire in nuovi fondi di venture capital, ne stanno nascendo anche in Italia. Sono guidati da giovani trentenni molto bravi. Vogliamo metterli alla prova, vogliamo aumentare il numero di operatori in Italia perché sul numero esiguo di fondi VC si gioca tutta la partita che ci tiene ancora lontani da paesi come la Germania e la Francia”.

Quale sarà la dotazione del fondo?

“400 milioni”.

Quasi quanto il fondo di fondi di Cdp Venture. Tutto sembra descrivere un quadro che vi vede come alternativa per il mercato del venture.

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“Senza nulla togliere alla bravura dell’operatore pubblico, Radical si pone come un fondo che è sia alternativo sia complementare rispetto a Cdp Venture. In ogni caso un interlocutore elettivo. Perché per le regole europee ogni volta che si usa capitale pubblico si dovrà comunque fare matching con un privato indipendente. Il problema per l’Italia è che oggi la parte capitale privato è troppo debole. Questo rallenta la velocità di allocazione del capitale”.

Solo una questione di tempi di gioco?

“C’è una questione di tempi e una di dinamica effettiva. E poi c’è il tema di un cambio di governance che incombe su Cdp Venture, ancora non risolto. Tutte cose che rallentano”.

Da dove arriveranno le risorse di Radical?

“L’obiettivo è di fare mezza raccolta in Europa e mezza nei Paesi del Golfo. Nel fundraising punteremo solo al capitale privato, niente vettori o soggetti pubblici. Solo investitori istituzionali e family office”.

Perché l’area del Golfo?

“Perché lì c’è molta pressione degli investitori sulle tecnologie emergenti. E noi pensiamo di poter essere un soggetto ideale per questa strategia. Gli investitori istituzionali generalmente hanno tempi più lunghi, sono fondi pensione, e sanno aspettare”.

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Che arrivino soldi da lì è in qualche modo un’opportunità per le startup italiane?

“Daniele Vecchi conosce molto bene il Golfo, lavora lì da anni come Cfo (chief financial officer, direttore finanziario, ndr) di grandi fondi globali. In quella zona c’è una crescita enorme e rappresenta un mercato potenziale per le nostre startup. Uno dei limiti del VC italiano è che spesso abbiamo sostenuto startup con ambizioni limitate al mercato interno – ma non puoi diventare un campione globale restando nel tuo giardino”.

Il suo sguardo sembra più rivolto a Oriente che alla sponda Usa.

“Lì oggi ci sono mercati che possono integrare i nostri. Qualche mese fa a Palazzo Chigi c’è stato un incontro con rappresentanti dell’area del Golfo con investimenti per 40 miliardi con tutto il sistema Italia: è un segnale chiaro, dobbiamo scalare e guardare fuori dal solo mercato domestico”.

È un frame che si sente ripetere spesso in Europa, soprattutto in questo momento politico di odio e amore con gli Usa. Che momento sta vivendo il Vecchio continente?

“È un momento ‘churchilliano’ per l’Europa (un momento di grande difficoltà, come quello che visse l’Europa dopo la seconda guerra mondiale, ma anche di potenziale rinascita e responsabilità storica con una leadership forte, come quella di Winston Churchill, nda). Dopo la Seconda guerra mondiale, gli USA hanno dominato grazie anche a un brain drain dall’Europa, hanno preso da noi le migliori menti. Oggi tocca a noi: i punti di riferimento classici sono saltati, dobbiamo cercare nuovi mercati, fare base con noi stessi e riportare talenti. Anche per sostenere i grandi piani europei come quello di rientro del capitale umano, dei cervelli”.

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