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L’Ue ha tracciato la strada: da una parte si punta al riarmo europeo come strumento di deterrenza dopo le recenti crisi geopolitiche; dall’altra parte, dopo decenni di delocalizzazione, si aspira a un massiccio piano di reindustrializzazione. Entrambi i percorsi, che sono intrecciati fra loro, non sono privi di ostacoli, a partire dal reperimento delle risorse, dalle criticità organizzative e da un dibattito interno spesso dai toni aspri.

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Ed entrambi i percorsi aprono nuove prospettive per le aziende italiane e per il sistema Paese in generale. QuiFinanza ne ha discusso con Carlo Russo, Ceo e founder di Affariesteri.it. Russo guida un pool di professionisti che accompagnano le aziende nei processi di crescita e internazionalizzazione.

Quali sono le nuove prospettive per l’Unione europea, fra riarmo e reindustrializzazione?

Oggi ci si chiede se sia giusto riarmare l’Europa. La domanda che occorrerebbe porsi, in realtà, è un’altra: “È giusto difendersi?”. Ci si dia pure la risposta che si ritiene, tuttavia, oltre a riarmarsi, l’Europa dovrebbe anche capire quale percorso intraprendere per reindustrializzarsi. Il problema cruciale è proprio questo: in Europa, di fatto, non si produce quasi più nulla. In più, i vari Paesi non marciano compatti ma a velocità differenti.

Il venire meno della capacità produttiva spingerà inevitabilmente l’Europa sempre più verso la Cina, oggi il principale attore nelle manifatture. Non si può negare che l’India stia recuperando terreno, ma ha di fronte a sé ancora una lunga strada per diventare competitiva con la Cina.

Nel breve periodo c’è poi un’altra criticità, correlata ai dazi introdotti da Trump, ovvero il rischio che complicandosi l’accesso al mercato americano, la Cina inondi l’Europa di merci a basso costo, facendo un’ulteriore concorrenza alla nostra manifattura. Trump, tuttavia, non vuole spingere l’Europa fra le braccia della Cina: vuole, semmai, isolarla e sa che con i dazi riuscirà a ricondurla a un compromesso. I dazi non sono altro che uno strumento negoziale.

Oggi, tolta la Turchia, nell’area europea non c’è nessuno in grado di produrre grandi quantità a piccoli prezzi.

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L’Europa è pronta alla sfida rappresentata dalla reindustrializzazione?

La reindustrializzazione europea, ad oggi, non esiste. È, piuttosto, un obiettivo che va certamente perseguito. Ma ne vanno capiti i modi e i tempi. Detto ciò, l’Europa deve riconquistare il ruolo che le spetta. Si prenda l’esempio della Germania, dove scellerate politiche sindacali hanno indebolito il Paese e contribuito alla crisi di quella che era la più grande potenza industriale del Continente. Lo testimonia anche il caso Merz (con il cancelliere designato che per la prima volta in assoluto non è riuscito ad essere eletto al primo turno, venendo impallinato da franchi tiratori; oggi Merz è alla guida di un governo di compromesso nato all’insegna dell’instabilità, ndr). Solo pochi anni fa la Germania di Angela Merkel godeva di tutt’altra autorevolezza ed era in grado di imporre le sue scelte agli interlocutori.

Questo scenario apre nuove possibilità per l’Italia?

Oggi l’Italia vive una condizione favorevole che potrebbe, potenzialmente, venire tradotta in vantaggi concreti: da una parte il Paese è in dialogo diretto con gli Usa, grazie al rapporto Meloni-Trump. Comunque lo si consideri, si tratta di un punto a favore. Dall’altra parte, come detto, c’è la debolezza tedesca alla quale si sommano le difficoltà della Francia, che dopo avere fronteggiato una crisi politica oggi perde Pil e potere. L’Italia può sfruttare tali situazioni per candidarsi a diventare la nuova locomotiva d’Europa, come lo era la Germania fino a una decina d’anni fa. Possiamo certamente farcela, sono ottimista.

Quale percorso dovrebbe seguire l’Italia per una nuova industrializzazione?

Per raggiungere un ruolo centrale in Europa dobbiamo necessariamente reindustrializzarci e ciò prevede una serie di step intermedi, a partire da una aggressiva politica industriale, dalla riduzione del costo del lavoro e dallo sfoltimento di molti adempimenti burocratici che portano via tempo, risorse e denaro alle aziende. Diciamolo: il vero dramma di chi fa impresa in Italia è la burocrazia, per questo è necessario introdurre delle semplificazioni. Qualcosa, in tal senso, è stato già fatto. Penso, ad esempio, alle Zes. E penso alle iniziative del ministro per la Pubblica amministrazione Paolo Zangrillo, la cui visione è certamente quella giusta, ma la strada che porta ad ammodernare il sistema Italia è ancora lunga.

E non è tutto: già Mario Draghi, nella sua relazione stilata per conto della Commissione europea, chiariva che l’Europa non può mancare l’appuntamento con una recuperata competitività industriale. Per l’Ue, così come anche per l’Italia, occorre prima di tutto ridurre i costi dell’energia. Ma è necessario anche reperire la forza lavoro. Molto spesso le aziende sarebbero pronte ad assumere, ma non riescono a reperire profili professionali adeguati.

Quali strumenti finanziari sono oggi disponibili per supportare le Pmi nei loro progetti di internazionalizzazione in settori strategici come energia, difesa, digitalizzazione o manifattura?

Ce ne sono molti. In particolare, per chi ha rapporti finanziari con l’estero, è fondamentale il ruolo di Sace (Servizi assicurativi e finanziari per le imprese). Sace attiva coperture assicurative anche in caso di mancato pagamento, fra le altre cose. È particolarmente importante, anche perché chi vende o costruisce all’estero non sempre riesce ad avere tutte le informazioni del caso sul cliente o il committente.

Come incide il nuovo contesto geopolitico, con l’Europa che mira a diventare più autonoma da Usa e Cina?

Un’Europa più indipendente dagli Usa è pura utopia. Ed è utopico sperare in una maggiore indipendenza dalla Cina, a meno che, come detto, non si avvii un processo di reindustrializzazione.

ReArm Europe prevede una forte spinta alla produzione interna nel settore della difesa. Un’occasione per cavalcare il trend per le Pmi che operano nell’indotto (materiali, componentistica, logistica, software)?

Sicuramente. Abbiamo due fiori all’occhiello rappresentati da Leonardo e Fincantieri, quindi possiamo prevedere che queste due realtà italiane gestiranno una buona fetta del denaro che l’Ue metterà a disposizione per il riarmo. Queste due grandi aziende, poi, riassegneranno a cascata le commesse ai loro fornitori, che molto spesso sono Pmi italiane.

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