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Dispositivi medici e payback, dalla sconfitta al rilancio


La sentenza chiude una battaglia legale dal finale quasi scontato. Un esito che, forse, si sarebbe potuto evitare cogliendo per tempo la prima apertura offerta dal governo per risolvere la questione

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08/05/2025

Ieri, 7 maggio 2025, il Tar del Lazio ha respinto i ricorsi presentati dalle aziende produttrici di dispositivi medici contro il meccanismo del payback, confermando l’obbligo per oltre 1.800 imprese di contribuire al ripiano degli sforamenti dei tetti di spesa sanitaria regionali per il periodo 2015-2018.

La sentenza ha suscitato forti reazioni da parte delle associazioni di categoria, che hanno annunciato l’intenzione di ricorrere al Consiglio di Stato e sollecitato un intervento urgente del governo per evitare gravi ripercussioni sul settore e sulla fornitura di dispositivi essenziali al Servizio sanitario nazionale.

Eppure questa strategia – sconfitta ora dal Tar – difficilmente avrebbe potuto avere un esito diverso. Non solo sul piano strettamente giuridico, ma anche su quello del buon senso. Il meccanismo del payback applicato ai dispositivi medici resta una stortura – lo abbiamo scritto più volte – tanto diabolica nella sua costruzione quanto cieca nel suo impatto. È un’anomalia sistemica che genera disordine nei bilanci delle aziende e incertezza nella programmazione pubblica. Ma, per la prima volta, il governo aveva aperto uno spiraglio. Aveva dato segnali chiari di voler correggere il tiro, riconoscendo che qualcosa non funzionava.

È stato del resto proprio l’esecutivo di Giorgia Meloni a rinviare lungamente i pagamenti, individuando di volta in volta le coperture necessarie, nel tentativo poi di individuare una soluzione di lungo termine. “Ho sempre detto che questa norma era assurda”, aveva dichiarato lo scorso anno a Formiche.net Ylenja Lucaselli, impegnata in prima persona per il superamento del payback dispositivi medici. “Finalmente si può iniziare a ragionare su una revisione che non sospenda il meccanismo, ma che lo elimini del tutto”, aveva aggiunto.

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Proprio per questo lascia perplessi la scelta di non valorizzare pienamente quell’apertura, preferendo una linea più difensiva e di contrapposizione. In un momento in cui si intravedeva la possibilità di costruire un percorso condiviso con il Mef, e probabilmente anche con la Ragioneria dello Stato – orientato a soluzioni compatibili con la tenuta dei conti pubblici – sarebbe forse stato più utile rafforzare le convergenze piuttosto che alimentare il contenzioso. Un’occasione che, sul piano tattico e politico, rischia di essere stata mancata.

Ora la partita è chiusa. Ne inizia un’altra, ed è bene che sia impronta all’insegna del dialogo e di una rinnovata consapevolezza reciproca. Tanto più in un momento storico in cui – anche alla luce di quanto avviene sul piano globale, con un occhio agli Usa – cresce l’attenzione verso le politiche capaci di attrarre investimenti esteri, ma soprattutto di trattenere quelli già presenti sul nostro territorio.



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