Una demografia mutata che sta ridefinendo i contorni della forza lavoro, le nuove tecnologie che impongono un rapido adattamento da parte dei lavoratori e le crisi geopolitiche che accentuano il senso di insicurezza e aumentano il rischio di precarietà. Il mondo del lavoro sta attraversando una fase complessa e nonostante i dati Istat abbiano fotografato nel 2024 un tasso di occupazione in crescita, ad aumentare sono anche le persone che pur lavorando non riescono ad avere un tenore di vita dignitoso. La Festa dei lavoratori accende i riflettori sulle sfide e sui nodi che attanagliano il mercato, ma soprattutto sulla dignità del lavoro.
Il presidente della Repubblica Sergio Mattarella, proprio ieri, mercoledì 30 aprile, in occasione del suo discorso pronunciato a Latina in vista del 1° maggio, ha richiamato l’attenzione sulle retribuzioni dei lavoratori, che ha definito inadeguate e che costituiscono, secondo il capo dello Stato, un problema per il Paese, come riportato dalle cronache nazionali.
Francesco Orazi dell’Univpm: «Il lavoro torni al centro dell’agenda politica»
I ‘working poor’, ossia i lavoratori poveri, le cui retribuzioni sono basse da esporli al rischio povertà, sono in aumento e dunque «la Festa dei lavoratori non deve essere un fatto retorico, ma una pratica di riflessione per il recupero della centralità di un mondo da tempo messo ai margini» spiega il professor Francesco Orazi, docente di Sociologia dei Processi Economici all’Università Politecnica delle Marche. «Il lavoro, ormai da diversi anni, è stato totalmente estromesso dall’agenda politica – prosegue – è diventato oggetto delle trattative categoriali tra sindacati, rappresentanze padronali e Stato, un fatto da regolare, ma non da politicizzare. Credo che questa sia stata la svolta decisiva che ha portato alla frammentazione e all’annichilimento, da un lato delle grandi forze politiche che avevano nel lavoro il fulcro della loro azione politica, e dall’altro lo ha frammentato anche come espressione di una pratica umana univoca che invece poi è stata ridotta in mille rivoli e situazioni ‘taskizzart’, con il lavoro industriale ridotto a pratiche ripetitive».
L’esperto evidenzia «oggi non possiamo più parlare al singolare di lavoro, dobbiamo parlare invece di lavori», e di lavoratori che hanno tutele differenti. «Queste profonde differenze lavorative, accentuate rispetto al passato, creano disparità e diseguaglianze. Occorre ridare dignità al lavoro, perequare socialmente i lavoratori (distribuire equamente le retribuzioni, ndr). Oggi i differenziali tra i redditi di un manager e quelli di un operaio hanno un rapporto 1 a 240, memntre quarant’anni fa era 1 a 25. Il lavoro che sta alla base della filiera è stato clamorosamente attaccato e poco retribuito e molte persone hanno un lavoro malremunerato, sfruttato e poco interessante che diventa un passaggio obbligato, mentre la realizzazione personale e la costruzione della loro identità avviene sempre più spesso fuori dal lavoro. Una massa crescente di persone non considera più il lavoro come deputato alla formazione della loro coscienza e della loro individualità, del loro stare nel mondo».
Massimiliano Santini, CNA Ancona: «Il piccolo è affidabile»
«Il territorio della provincia di Ancona, in generale, ed in particolare le aree a forte vocazione produttiva e connotate dalla presenza di imprese strutturate, hanno ormai ceduto il passo a quel profondo cambiamento nel tratto identitario economico e sociale che gli esperti avevano già previsto e preannunciato diversi anni fa, nel quale la diversificazione economica verso il terziario, il rafforzamento delle infrastrutture e il cambio di passo verso green e innovazione, insieme al mantenimento della coesione sociale e dell’equilibrio territoriale tra mari e monti erano gli assi sui quali bisognava puntare per far risalire gli standard di vita e di lavoro del territorio, uscendo dal pantano della transizione verso il Sud Italia e agganciando le regioni del Centro Nord Italia – spiega Massimiliano Santini, direttore della CNA di Ancona – . Purtroppo, stiamo pagando a caro prezzo la fragilità e la vulnerabilità di alcune aree storicamente solide, penso al Fabrianese e alla Vallesina: facciamo fatica, seppur con tanti sforzi positivi, a sfruttare le nostre validissime infrastrutture per far decollare il territorio sul fronte turistico, ricettivo e commerciale e sebbene alcuni indicatori ci suggeriscono di non gettare alle ortiche ciò che è stato fatto, di cui ne riconosciamo i meriti, rileviamo la necessità di cambiare passo nell’impostare una politica di sviluppo e di crescita che debba riconoscere e valorizzare il peso specifico delle micro e piccole attività, che nel loro operoso e silenzioso impegno quotidiano possono inaugurare una nuova stagione per questo territorio. Il motto che dovremmo condividere è: il grande è auspicabile, ma il piccolo è affidabile».
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