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Made in Italy, pensare oltre il prodotto


Innovare è un esercizio complesso. Un’esperienza sensibile e scientifica che, al tempo stesso, spinge l’impresa ad andare oltre ciò che è concretamente visibile. Anzi, è proprio nel non visibile che l’innovazione realizza le sue maggiori potenzialità. Per questo, la prima azione che dovremmo compiere per rendere l’innovazione di prodotto nuovamente centrale per le nostre imprese è il distacco. Dovremmo anzitutto imparare a distaccarci da ciò che diamo per certo oggi, per spingere lo sguardo più avanti. Molto più avanti.

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Ci attendiamo un salto dal Made in Italy

L’Italia sta affrontando, come molti altri Paesi, innegabili difficoltà nel campo dell’innovazione. Secondo il TEHA Global Innosystem Index 2024 realizzato dalla InnoTech Community di The European House – Ambrosetti, su 37 Paesi a elevata performance innovativa, l’Italia si dimostra indietro nella capacità di fare ecosistema e di far evolvere il capitale umano. Nonostante il nostro Paese si classifichi al 12esimo posto per numero di ricercatrici e ricercatori, infatti, laureati e laureate nelle materie Stem sono ancora una quota contenuta (il 21,1% rispetto al numero totale). Inoltre, le risorse messe in campo per la ricerca e lo sviluppo vedono l’Italia appena in 25esima posizione. Indubbiamente, a livello di sistema Paese, dovremmo lavorare su entrambi questi fronti.

Come ben sappiamo, però, la qualità della ricerca accademico-scientifica misurata dalle pubblicazioni e dalle citazioni per ricercatore e per tasso di successo dell’attività brevettuale è molto alta. Il prestigio del Made in Italy, il saper far bene le cose, è indiscusso in tutto il mondo. Sommando queste due eccellenze, accademica e artigianale, possiamo creare un nuovo sistema. In una dimensione dominata dalla digitalizzazione e dall’automazione, in cui Paesi come gli Stati Uniti o la Cina primeggiano in maniera naturale, l’Italia può proporre un modello peculiare. La lunga tradizione di creatività e qualità nel settore manifatturiero italiano, unitamente alle straordinarie capacità nel campo della ricerca e della ricerca applicata, possono essere, se adeguatamente indirizzate, un valore unico per rilanciare la scommessa dell’innovazione di prodotto, che duri nel tempo e sappia distinguersi per qualità. Vediamo come.

Cosa significa innovare?

Come si legge scorrendo le pagine dell’enciclopedia Treccani: “L’innovazione è ogni novità, mutamento o trasformazione che modifichi radicalmente o provochi un efficace svecchiamento in un ordinamento politico o sociale, in un metodo di produzione, in una tecnica”. In questa definizione, la parola ‘radicale’ è centrale. Le nostre imprese, infatti, sono sempre state bravissime a innovare in maniera incrementale, modificando i propri prodotti di volta in volta per incontrare e soddisfare con più efficacia i gusti dei propri consumatori.

Oggi questo non basta più. Dobbiamo guardare molto avanti nel tempo, immaginare quali potranno essere le esigenze non in un futuro prossimo, ma in un futuro lontano, anche in ambiti apparentemente distanti dal core business dell’impresa in questione. Per riuscirci, è fondamentale ‘applicare distanza’ nel tempo e nello spazio. La distanza è uno strumento essenziale per riuscire a inquadrare una possibile innovazione. Se siamo troppo vicini a ciò che facciamo oggi, la nostra immaginazione rischia di essere limitata e i nostri giudizi compromessi da schemi stantii già nel presente, oppure attualmente validi, ma destinati a diventare obsoleti in futuro.

Molte aziende leader utilizzano, solitamente, analisi avanzate per segmentare il mercato e sviluppare prodotti che rispondano in modo preciso alle aspettative dei clienti, anticipando tendenze e adattandosi rapidamente ai cambiamenti nel comportamento dei consumatori. Il suggerimento che diamo con il mio team al NOI Techpark è, invece, quello di evitare di coinvolgere i clienti attuali nel processo di innovazione radicale e di fare riferimento ai cosiddetti future interpreters, ovvero a coloro che sono capaci di farsi interpreti del futuro perché, semplicemente, lo abitano già. L’ispirazione arriva da Henry Ford e dalla sua celebre frase: “If I had asked people what they wanted, they would have said faster horses” (“Se avessi chiesto alle persone cosa volessero, avrebbero risposto cavalli più veloci”).

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Ecco perché dovremmo coinvolgere nel processo di innovazione persone in grado di pensare al di là del presente, perché la loro esperienza lavorativa o di ricerca si colloca in ambiti che possono fare tendenza per il settore. Gli interpreti del futuro possono essere manager in settori all’avanguardia, ricercatrici e ricercatori, esperti ed esperte internazionali. Sono persone che possono aiutare l’imprenditrice o l’imprenditore a farsi contaminare e a cogliere i segnali all’orizzonte, uscendo dalla scatola in cui opera quotidianamente.

L’articolo integrale è pubblicato sul numero di Marzo2025 di Sistemi&Impresa.
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