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Santanocito, Ohoskin: «La chiave per l’industria conciaria è l’innovazione»


Un punto di domanda dà forma all’orizzonte dell’industria conciaria italiana. Per il 2025, infatti, è ancora tutta da definire la prospettiva del settore, che aveva chiuso il 2024 in sofferenza. Gli ultimi dati elaborati dal Servizio Economico UNIC – Concerie Italiane, risalenti a dicembre dello scorso anno, non lasciano spazio a dubbi. Le stime relative ai primi tre trimestri del 2024 mostrano complessivamente un calo dell’8,5% nei volumi di produzione e del 4,1% in termini di fatturato rispetto al 2023. Un momento ancora più negativo se, poi, il confronto viene fatto sul 2022: negli ultimi 24 mesi, infatti, il settore ha perso il 17,2% di produzione e il 10,3% di fatturato.

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Per quanto riguarda le esportazioni, l’ultimo dato disponibile riguarda il periodo gennaio-agosto 2024 ed è inevitabilmente negativo. I flussi italiani di export di pelli finite evidenziano un calo complessivo, con un ribasso del 2,7% in fatturato e del 5% in metri quadri. Nonostante il segno negativo delle esportazioni totali, l’analisi dei principali Paesi di destinazione mostra andamenti differenziati. Per esempio, secondo UNIC, in valore crescono Francia (+3%, primo Mercato estero delle pelli italiane), Spagna (+20%), Cina (+4%), inclusa Hong Kong), Vietnam (+23%), Germania (+5%) e Corea del Sud (+7%).

Fondi in arrivo per l’industria tessile e conciaria

Nel frattempo sono in arrivo fondi dedicati alla valorizzazione della filiera delle fibre tessili naturali e della concia della pelle, con l’obiettivo di potenziare l’autonomia di approvvigionamento delle materie prime naturali nell’industria tessile nazionale. È quanto previsto dal decreto interministeriale firmato dal ministero delle Imprese e del Made in Italy. La misura, rivolta alle micro, piccole e medie imprese operanti nei settori del tessile (codice ATECO 13) e della concia del cuoio (codice ATECO 15.11), ha una dotazione finanziaria iniziale di 15 milioni di euro, di cui 10 milioni per la concessione di contributi a fondo perduto e 5 milioni per la concessione di finanziamenti agevolati.

La misura è stata rifinanziata dalla Legge di Bilancio per l’anno 2025 (Legge 30 dicembre 2024, n. 207) per un ammontare pari a 15,5 milioni di euro per il triennio 2025-2027. Le linee di intervento della misura riguardano i programmi di Crescita e innovazione, con investimenti finalizzati all’aumento della capacità produttiva, nel rispetto dei criteri di sostenibilità ambientale e riduzione degli sprechi e certificati da soggetti qualificati. E riguardano anche i programmi di Sostenibilità ambientale, con l’acquisizione di beni strumentali, certificazioni ambientali di prodotto e di processo, utilizzo di fibre tessili di origine naturale e di materiali provenienti da processi di riciclo e di scarto di lavorazioni.

«L’impatto ambientale dell’industria conciaria è tra i più inquinanti all’interno del settore tessile: richiede grandi quantità d’acqua, energia e sostanze chimiche per la lavorazione della pelle animale, con significativi impatti sulla salute e sull’ambiente. Oltre alle emissioni di CO₂, genera rifiuti solidi e acque reflue difficili da trattare. Per questo motivo, è sempre più urgente ripensare i materiali in chiave sostenibile, riducendo la dipendenza da fonti fossili e le pratiche ad alto impatto», dice Adriana Santanocito, CEO di Ohoskin.

Di cosa si occupa Ohoskin?

«Ohoskin è l’azienda italiana che ha brevettato e sviluppato un materiale sostenibile alternativo alla pelle, realizzato con sottoprodotti di arancia rossa siciliana e fico d’India. È destinato ai settori moda, arredo, nautica e automotive. La nostra missione è offrire un’alternativa di lusso che unisca estetica, innovazione e sostenibilità, raccontando al tempo stesso una storia legata al territorio e all’economia circolare».

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Come è nata la Startup attenta all’industria conciaria?

«Dall’intuizione ed esperienza nel settore tessile, un’idea per dare nuova vita ai sottoprodotti dell’industria agroalimentare siciliana e creare un’alternativa sostenibile alla pelle. Insieme al fondatore Stefano Mazzetti, ho trasformato una visione in un’azienda in crescita, fondata su prodotto, brevetti e partnership industriali. Il progetto ha ricevuto il supporto di molte realtà istituzionali del panorama italiano, tra cui Motor Valley Accelerator e CDP Venture Capital, ed è oggi una realtà riconosciuta a livello nazionale e internazionale».

In quanto donna e imprenditrice, come ti sei fatta strada?

«Farsi strada come donna in un settore tecnico e industriale non è semplice, richiede determinazione e una forte visione. Nei contesti ostili ho imparato a trasformare gli ostacoli in opportunità e a costruire alleanze con chi crede in un cambiamento reale. Con Ohoskin ho voluto dimostrare che si può fare impresa partendo da valori e innovazione, indipendentemente dall’essere donne o uomini. Il mio percorso è anche una testimonianza, quella che il futuro passa dal coraggio di osare».

In che modo si concretizza il concetto di economia circolare nell’industria conciaria?

«Nel nostro caso, l’economia circolare si realizza trasformando sottoprodotti agricoli, come le bucce d’arancia e le pale di fico d’India, in alternativa alla pelle animale di valore. Lavoriamo localmente, con una filiera produttiva interamente italiana, valorizzando ciò che altrimenti sarebbe stato scartato, senza sottrarre risorse all’alimentazione. Il risultato è un materiale premium che restituisce valore al territorio, crea occupazione e riduce gli impatti ambientali del settore della concia, in un modello rigenerativo che crea impatto positivo anche in altri settori come la moda, l’arredamento o l’automotive».

Come si integrano alimentazione e cosmetica?

«Oggi molte materie prime utilizzate nell’alimentazione trovano impiego anche nella cosmetica e nei materiali innovativi. Ohoskin nasce proprio dalla lavorazione di sottoprodotti agroalimentari, valorizzando ciò che viene scartato dalle industrie alimentari e cosmetiche. Il legame tra i settori è sempre più stretto: dalla filiera agroalimentare derivano ingredienti funzionali, profumi, principi attivi e biopolimeri, dando vita a sinergie virtuose tra industria, ricerca e sostenibilità».

Qual è il futuro per questi settori?

«Il futuro sarà guidato da biomateriali, tracciabilità e impatti ambientali misurabili. I brand cercano soluzioni che riducano le emissioni e abbiano un valore etico, oltre che estetico. In questo contesto, realtà come Ohoskin – che emette solo 2,57 Kg di CO₂ per metro quadrato di materiale – rappresentano un ponte tra tecnologia e manifattura, tra innovazione industriale e rispetto per il Pianeta. Moda, design e automotive stanno già investendo in materiali circolari, crediamo che il cambiamento non sia più una nicchia, ma un nuovo standard per la sostenibilità globale».

Le aziende come possono raggiungere la carbon neutrality?

«Per raggiungere la carbon neutrality, le imprese devono misurare il proprio impatto e intervenire sull’intera filiera, materie prime, energia, trasporti, packaging e fine vita del prodotto. Fondamentale è scegliere fornitori sostenibili e materiali innovativi, bio-based o riciclati. La trasparenza e la rendicontazione degli impatti, oggi, fanno la differenza sul Mercato».

A che livello sono le industrie conciarie in termini di sostenibilità?

«Le industrie stanno facendo passi avanti, ma il grado di maturità varia molto. Le grandi aziende sono più strutturate e sensibili alle normative ESG, mentre le PMI spesso mancano di strumenti e risorse. Tuttavia, la spinta dei consumatori e dei regolatori sta accelerando l’adozione di pratiche sostenibili. Le Startup rappresentano un motore di innovazione cruciale, capaci di portare soluzioni flessibili e ad alto impatto in tempi rapidi».

Rispetto al panorama europeo e mondiale, come si colloca l’Italia?

«Il nostro Paese è leader nella manifattura, grazie al suo patrimonio artigianale, alla creatività e con una crescente attenzione verso l’economia circolare possiamo diventare leader verso la sostenibilità. Tuttavia, per spingere e mantenere questa posizione servono investimenti in innovazione, formazione e politiche industriali di lungo periodo. Nel settore dei materiali alternativi l’Italia ha tutte le carte in regola per guidare la transizione se riuscirà a connettere imprese, Startup e territori in modo sistemico. Le grandi aziende hanno il compito di guidare questo cambiamento ponendosi come primi utilizzatori di materiali innovativi e sostenibili».

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Quali sono le ripercussioni del Greenwashing?

«Il Greenwashing mina la fiducia dei consumatori e danneggia le aziende davvero impegnate nella sostenibilità. Per evitare che il concetto di Green perda valore servono regole chiare. Oggi i consumatori vogliono trasparenza, dati verificabili e coerenza. La credibilità è il vero asset del futuro ed è per questo che noi abbiamo reso pubblici i nostri dati sull’analisi della carbon footprint del materiale, della nostra supply chain italiana e del nostro impatto sul territorio».                                  

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📸 Credits: Canva.com

Articolo tratto dal numero del 15 giugno 2025 de il Bollettino. Abbonati!





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