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Israele vs Iran: i rischi per la stabilità del Golfo


L’attacco di Israele ai siti di arricchimento dell’uranio e militari, nonché alla leadership militare dell’Iran (regolare e paramilitare) e ad alcuni scienziati nucleari, avvenuto la notte del 13 giugno, segna un nuovo livello nello scontro fra Tel Aviv e Teheran. Il precedente attacco (ottobre 2024) aveva infatti colpito soltanto obiettivi militari dell’Iran, indebolendo inoltre le difese aeree a protezione degli impianti energetici e dei siti militari legati al programma nucleare e alla fabbricazione di missili. Come ritorsione, l’Iran ha fin qui lanciato oltre un centinaio di droni contro Israele, in gran parte intercettati dagli israeliani.

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Mentre l’evoluzione dello scenario è ancora incerta – come dimostrano il rapido rialzo del prezzo del greggio e l’ulteriore aumento dell’oro – gli eventi delle ultime ore accrescono i rischi per la stabilità del Golfo, ormai divenuto un centro di gravità globale. Evidenziando quanto la sicurezza di questo quadrante sia, sempre più, anche un interesse europeo.

La sicurezza del Golfo

In questa fase di tesa incertezza, la difesa dei confini nazionali e stabilità del Golfo sono le priorità dell’Arabia Saudita e delle monarchie del Consiglio di cooperazione del Golfo. Stabilità significa, innanzitutto, sicurezza energetica, infrastrutturale e marittima. Dopo il 2019 (attacchi iraniani a Saudi Aramco e alle petroliere nel Golfo dell’Oman), la stabilità regionale è diventata un mantra politico per le monarchie. E dal momento che lo scontro, prima nell’ombra e poi aperto, coinvolge Iran e Israele, stabilità regionale significa stabilità del Golfo. Come già avvenuto nell’ottobre 2024, la Giordania ha affermato di avere intercettato nel proprio spazio aereo alcuni dei droni che l’Iran ha lanciato verso Israele dopo gli attacchi della notte. Un’azione di difesa nazionale e, insieme, un contributo alla stabilità regionale, Golfo compreso.

Proprio per evitare un’escalation nel Golfo, l’Arabia Saudita e prima gli Emirati Arabi hanno ristabilito fra il 2022 e il 2023 le relazioni diplomatiche con l’Iran, continuando a parlarsi dopo il 7 ottobre e la guerra a Gaza. Nell’aprile 2025 il ministro della difesa saudita Khalid bin Salman si è persino recato a Teheran, il primo leader saudita di rango a farlo dal 1997: in quell’occasione il fratello del principe ereditario Mohammed bin Salman incontrò proprio Mohammad Bagheri, il capo di stato maggiore iraniano (già pasdaran), ucciso stanotte in uno dei raid di Israele. Con la stessa finalità di de-escalation regionale, le monarchie del Golfo sostengono i colloqui fra Stati Uniti e Iran (mediati dall’Oman) sul dossier nucleare, nonostante la proliferazione missilistica e l’attività delle milizie filo-iraniane nella regione – due questioni importanti di sicurezza per Riyadh e Abu Dhabi – rimangano fuori dalla trattativa. Di certo, dopo il 7 ottobre Israele ha significativamente indebolito le leadership, le strutture nonché le capacità offensive di Hamas (Gaza), Hezbollah (Libano), in misura minore gli Houthi (Yemen), e il regime di Bashar Al Assad in Siria è caduto. Nuovi equilibri di potere che sono favorevoli anche all’Arabia Saudita: a patto, però, che la stabilità del Golfo non venga messa a rischio.

Gli interessi europei

In questo scenario di aumentato rischio la sicurezza energetica, quella infrastrutturale e quella marittima del Golfo sono priorità anche per le istituzioni e i Paesi europei. Dopo l’invasione russa dell’Ucraina nel 2022, il Golfo è diventato ancora più centrale nelle dinamiche energetiche ed economiche dell’Europa, come evidenziato dal primo vertice Unione europea-Consiglio di cooperazione del Golfo svoltosi nell’ottobre 2024 a Bruxelles. Una centralità che si riscontra anche nella percezione stessa della sicurezza europea, dell’estensione dei suoi confini meridionali. Gli accordi per l’importazione di gas naturale liquefatto (GNL) da Paesi come il Qatar hanno contribuito al graduale sganciamento europeo dal gas russo, dando poi slancio alla cooperazione su idrogeno e rinnovabili nell’intera area.

Di crisi in crisi, il Golfo è diventato per l’Europa il luogo a cui guardare nei passaggi regionali e internazionali critici: dalla mediazione internazionale (Russia-Ucraina) ai conflitti in Medio Oriente, fino al rischio dei dazi americani che ora spinge Stati e imprese a “diversificare” rafforzando la presenza commerciale nei mercati del Golfo. Progetti come IMEC (2023), il Corridoio economico India-Medio Oriente-Europa, nascono proprio dalla consapevolezza, anche europea, che dal Golfo passano e passeranno le rotte principali delle materie prime e dell’economia, dunque delle ambizioni strategiche europee. Non è un caso che l’Europa abbia attivato negli ultimi anni due missioni navali, EMASoH-Agenor (dal 2020, Stretto di Hormuz e Golfo dell’Oman) e EUNAVFOR Aspides (dal 2024, Mar Rosso meridionale, Bab el-Mandeb e Golfo di Aden). Missioni difensive e di mitigazione del rischio marittimo che costruiscono – tra molti limiti operativi e di risorse – la sicurezza europea, rafforzando indirettamente anche quella delle monarchie Golfo. Nell’attuale escalation è assai probabile, però, che i principali sforzi di mediazione tra Iran e Israele verranno dalle capitali arabe del Golfo. Oltreché dalla Cina, primo importatore di petrolio dal quadrante nonché del 90% del greggio iraniano, già garante dell’intesa diplomatica del 2023 tra sauditi e iraniani. Guardando alla crescente interdipendenza fra Europa e Golfo, mai come ora sarebbe opportuna un’iniziativa diplomatica europea per contenere i rischi regionali e proteggere i propri interessi strategici, di oggi e di domani.

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