È un’istituzione poco conosciuta dal grande pubblico, ma che svolge un ruolo sempre più centrale nelle politiche europee. La Banca europea per gli investimenti (BEI), banca pubblica dell’Unione con sede in Lussemburgo ha finanziato progetti per un totale di 84 miliardi di euro nel 2023. Il suo ruolo potrebbe crescere ulteriormente se venissero attuate le raccomandazioni del rapporto Draghi sulla competitività dell’Europa. Alcuni propongono persino di aggiungere al suo mandato il sostegno all’industria europea degli armamenti.
Un motivo in più per analizzare come funziona la BEI e chi beneficia dei suoi finanziamenti. È quanto fa un rapporto coordinato dall’ong di Bruxelles Counter Balance, con il contributo dell’Observatoire des multinationales. A partire da alcune multinazionali che figurano tra i principali clienti della BEI dal 2010 – tra cui Orange, Stellantis (PSA/FiatChrysler), Iberdrola e altre – il rapporto mette in luce le falle dell’approccio dominante nella banca pubblica, che consiste nel “de-rischiare” i progetti presentati dalle imprese. L’idea è che, grazie a condizioni di finanziamento molto favorevoli, la BEI stimoli i grandi attori economici a contribuire agli obiettivi ufficiali della banca – come il finanziamento della transizione climatica, delle infrastrutture essenziali e della competitività economica europea – rendendo i progetti meno “rischiosi” dal punto di vista finanziario. Attraverso questo meccanismo, i fondi pubblici dovrebbero fungere da leva per ulteriori investimenti privati. Almeno in teoria.
Quando i finanziamenti pubblici aiutano chi non ne ha bisogno
Purtroppo, tra la teoria e la pratica c’è un divario enorme. Poiché la BEI non utilizza criteri chiari né vincolanti per selezionare progetti che contribuiscano effettivamente ai suoi obiettivi, la strategia del “de-risking” si traduce in un enorme effetto di opportunità per le grandi imprese, che ottengono tassi agevolati e altre facilitazioni per progetti che avrebbero spesso sviluppato comunque e che avrebbero potuto finanziare da sole. Le sette multinazionali analizzate nel rapporto hanno accumulato 100 miliardi di euro di profitti dal 2020, gran parte dei quali è stata destinata ad azionisti tramite dividendi e riacquisti di azioni, ricevendo allo stesso tempo oltre 13 miliardi di euro di prestiti preferenziali dalla BEI.
Il settore delle energie rinnovabili è emblematico. Sulla carta, la BEI può vantarsi di aver reso possibile lo sviluppo di nuovi progetti eolici, solari e nel campo delle batterie. Ha ad esempio finanziato la più grande centrale solare d’Europa, guidata dalla multinazionale petrolifera spagnola Iberdrola. Ma proprio Iberdrola ha accumulato super-profitti negli ultimi anni, che avrebbero potuto essere reinvestiti direttamente nel progetto. Peggio ancora: la costruzione della centrale sarebbe avvenuta tramite frodi ed espropri illegali. Anche l’esempio della svedese Northvolt, presentata come il futuro campione europeo delle batterie, è indicativo: nonostante un massiccio sostegno della BEI, l’azienda è oggi sull’orlo del fallimento a causa dei ripetuti problemi del progetto di “gigafactory” in Svezia e, più in generale, di una strategia mal pianificata e mal coordinata.
Se i finanziamenti della BEI vanno a armi e greenwashing
Lo stesso vale per l’alleanza Gavi, creata per facilitare l’accesso ai vaccini anti-Covid nei Paesi poveri, ma che ha accettato di acquistarli a prezzi molto alti, a beneficio del laboratorio Moderna. Licenziamenti, stipendi esorbitanti per i dirigenti, priorità agli azionisti, inquinamento, frodi, greenwashing… Gli esempi raccolti nel rapporto di Counter Balance mostrano che, in assenza di condizionalità e garanzie rigorose, i progetti e le imprese finanziate dalla banca pubblica europea spesso adottano pratiche tutt’altro che virtuose, in contrasto con i principi che la BEI dovrebbe promuovere. La BEI ha perfino finanziato l’azienda bellica italiana Leonardo per la ricerca e sviluppo nel settore degli elicotteri, poi venduti anche all’esercito israeliano e probabilmente usati a Gaza.
Non sarebbe stato meglio destinare queste risorse a progetti promossi da attori diversi dalle multinazionali – come servizi pubblici, enti locali, cooperative e altre realtà dell’economia sociale e solidale? È questa la domanda di fondo posta dal rapporto. Dietro ai frequenti appelli per aumentare gli investimenti pubblici – in Francia come in Europa, anche nel contesto del rapporto Draghi – la strategia del “de-risking” si traduce in realtà nel mettere ancora di più il denaro pubblico al servizio della redditività del settore privato, come se non esistesse alternativa alle multinazionali per raggiungere i nostri obiettivi economici, ecologici o sociali.
La Banca europea per gli investimenti potrebbe essere uno strumento formidabile per promuovere le trasformazioni profonde di cui abbiamo bisogno. Al momento, però, la sua missione risulta in gran parte snaturata da scelte economiche e politiche discutibili.
Questo articolo è stato pubblicato in francese su Multinationales.org.
***** l’articolo pubblicato è ritenuto affidabile e di qualità*****
Visita il sito e gli articoli pubblicati cliccando sul seguente link