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Agricoltura

 

186 mila imprese e il 40% del Pil regionale, ma poca industria


Restringendo il campo alla sola parte produttiva (agricoltura, silvicoltura e pesca, trasformazione dei prodotti alimentari e industria delle bevande), i 10,6 miliardi di fatturato rappresentano il 4,1% della produzione nazionale, realizzata da oltre 144 mila imprese (12,7% di quelle nazionali), in prevalenza micro e piccole. Il tema dimensionale è molto rilevante, soprattutto nella parte di trasformazione industriale: le imprese siciliane mostrano infatti una dimensione media, rispettivamente per alimentare e bevande, di 0,8 e 2,4 milioni di euro di fatturato, contro una dimensione media nazionale tre volte superiore (3,4 e 6,8 milioni). Il tessuto produttivo è estremamente frammentato anche nell’agricoltura, ma nel comparto primario si raggiungono numeri assoluti di rilievo (quasi il 7% del fatturato nazionale e il primato nelle coltivazioni), mentre le fasi industriali risultano molto sottodimensionate (solamente il 3,2% della produzione nazionale) rispetto alla disponibilità di materie prime del territorio. Un’evidenza che emerge con forza anche dal peso delle fasi industriali sulla filiera allargata: solamente il 16,7% dei ricavi complessivi, contro una media del 26,2% per l’Italia.

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Il sottodimensionamento della componente industriale può quindi risultare un limite per la valorizzazione e commercializzazione delle tante eccellenze delle terre e dei mari siciliani. Il comparto primario ha infatti molto investito nella riconoscibilità e promozione dei propri prodotti, con 36 Indicazioni Geografiche Protette e oltre 100 altre certificazioni a carattere agricolo-territoriale (presidi, strade dei sapori, …), garantendosi una riconoscibilità sui mercati e la possibilità di sostenere valore aggiunto, prezzi e margini (ancora inferiori a quelli delle altre regioni, ma con un percorso di crescita costante).

Sul mercato domestico, un’alternativa con grandi potenzialità di sviluppo per le eccellenze agricole è rappresentata dal turismo, in crescita nell’isola anche grazie alla componente estera, su cui le aziende potrebbero intensificare gli investimenti, sia per accedere a un canale diretto di vendita dei propri prodotti, sia per diversificare le fonti di reddito (con questa finalità, anche gli investimenti nelle fonti di energia rinnovabili sembrano una strada non ancora sfruttata appieno dalle imprese siciliane, nonostante le favorevoli condizioni ambientali).

Più difficile invece la strada dei mercati esteri, senza l’apporto di un solido sistema industriale e di distribuzione. La quota di produzione esportata per l’intera filiera agrifood si ferma al 15% proprio a causa della predominanza di prodotti agricoli, che per loro natura hanno limitate possibilità di export e per lo più possono accedere solo a mercati vicini (oltre il 95% dell’export delle produzioni agricole è destinato all’Europa). L’industria alimentare e delle bevande garantisce solamente il 59% dell’export della filiera, contro una quota dell’84% a livello nazionale, e risulta in questo particolare periodo di turbolenze internazionali anche molto esposta ai rischi geopolitici: oltre il 20 delle vendite è infatti rivolto al Nord America (dove ha raddoppiato i fatturati nell’ultimo quinquennio) e quindi passibile di subire nuove barriere tariffarie.

Il ruolo del comparto industriale è di primo piano in un settore dove le logiche di filiera sono così forti e i capifila hanno anche il compito di guidare le trasformazioni e gli investimenti necessari allo sviluppo. Investimenti che non possono prescindere dalla difesa del territorio, esposto agli effetti dei cambiamenti climatici: negli ultimi dieci anni, la Sicilia è stata la seconda regione italiana più colpita da eventi climatici estremi. Sfide, e molte opportunità, di una filiera che nei prossimi anni dovrà anche fare i conti con un importante passaggio generazionale, in particolare nel comparto primario, dove le aziende a conduzione famigliare sono la stragrande maggioranza.

 

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Foto di Freddy da Pixabay



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