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Sulla cannabis light il governo fa testacoda


Rovina gli imprenditori, molti dei quali suoi elettori, rinuncia a un settore legale e favorisce indirettamente quello clandestino. Effetti di una crociata senza senso, diventata legge con l’approvazione del decreto Sicurezza

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Hanno ricevuto persino dei fondi pubblici dall’Europa, dallo Stato e dalle Regioni per aprire nuove imprese agroindustriali. Il governo Meloni, adesso, decide che quei soldi sono stati erogati per delle attività illegali. È il decreto Sicurezza e, tra i suoi articoli, ce n’è uno che uccide la filiera della canapa. Perché il provvedimento, già approvato alla Camera e che dal Senato riceve il via libera definitivo, vieta importazione, lavorazione, detenzione, cessione, distribuzione, commercio, trasporto, invio, spedizione, consegna e vendita al pubblico delle infiorescenze di canapa. 

 

Se tutte le piante fioriscono, ed è uno dei paradossi di questo decreto, anche chi ha scelto questa coltura per ricavarne prodotti di bioedilizia, ad esempio, diventa fuorilegge nel momento in cui sboccia un fiore nel proprio campo. La crociata dell’esecutivo sarebbe rivolta verso la cannabis light, benché la sua componente principale, il cannabidiolo (Cbd), sia considerata una sostanza sicura dall’Organizzazione mondiale della sanità. Non è psicotropa, non provoca alterazioni menta- li, quindi non è equiparabile a uno stupefacente. Inoltre, interdire le infiorescenze nei terreni coltivati significa proibire a coltivazione di canapa tout court. Così Lorella Mitch, che in Trentino ha convertito alcuni campi di famiglia, sta già pensando alla delocalizzazione, «magari in Austria». Nel 2019, un piccolo investimento iniziale di 20mila euro. Le prime piantine che resistono alle nevicate di maggio e crescono forti. Poi la raccolta in autunno, la trasformazione in inverno e l’immissione nel mercato di una serie di prodotti omeopatici. «Il nostro best seller è la pomata di Nonna Uccia. Lei, per la comunità montana, faceva creme a base di erbe. Usiamo l’antica ricetta di mia nonna, aggiungendo il Cbd che ricaviamo dalla lavorazione manuale delle infiorescenze». I principi attivi miorilassanti, antinfiammatori e antidolorifici «sono utili anche per pazienti affetti da psoriasi». È una soluzione naturale, afferma Mitch, «alternativa o coadiuvante del cortisone».

 

L’età media dei dipendenti della sua Dolomiti Biohemp è di 26 anni. Sono dieci nei periodi meno carichi di lavoro, aumentano durante la raccolta e di inverno, quando i prodotti raggiungono i mercatini di Natale dell’arco alpino. Il fatturato è in crescita: «L’obiettivo è arrivare al milione entro il 2027», dice fiduciosa. L’assurdità della situazione di questa piccola eccellenza trentina è che ha ricevuto contributi pubblici per lo sviluppo dell’e-commerce e per l’alternanza scuola-lavoro. «Soldi nazionali e regionali che, ora, rischiamo di dover restituire: molti finanziamenti sono a fondo perduto se l’attività resta operativa per dieci anni. Se chiude, invece, bisogna darli indietro». Il governo non ha previsto ammortizzatori sociali per i circa 30mila lavoratori della filiera che potrebbero perdere il lavoro con il decreto Sicurezza. 

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Sandra D’Alessio, che ha investito nel settore ed è membro dell’associazione Imprenditori canapa Italia, confessa che la sua società ha dovuto avviare la pratica di licenziamento collettivo. «Si tratta di circa 20 dipendenti stabili, che arrivano a un centinaio nei picchi di produzione». Lamenta l’arretratezza dell’Italia rispetto ai Paesi vicini: «Distribuiamo in tutta Europa grandi quantità che vengono lavorate per l’industria del benessere. In Francia, ad esempio, le istituzioni riconoscono gli effetti positivi del Cbd». E il mezzo miliardo di indotto che genera la coltivazione di canapa, in Italia, rischia di traslocare altrove.

 

«È da imbecilli proibire un prodotto privo di qualsiasi sostanza drogante. Il governo ammazza una filiera che all’estero, invece, viene valorizzata per i suoi molteplici aspetti positivi. Sono sbalordita che a prendere una decisione così liberticida sia il centrodestra, che dovrebbe essere liberale, pro industria». Marco Quilleri è un imprenditore bresciano che ha investito nella produzione di Cbd. La sua azienda, partendo dalla canapa, realizza cosmetici, materiale per la bioedilizia e commercia le infiorescenze. Non nasconde la lunga adesione della sua famiglia a un partito liberale di centrodestra, con un impegno in prima persona in politica. Da qui deriva la delusione per la repressione che il governo sta imponendo al settore. «Sono stato ricevuto, negli scorsi mesi, da diversi parlamentari della maggioranza. Tutti sembravano aver compreso l’importanza della produzione di canapa, ma nessuno ha speso una parola per fermare questo decreto». E si chiede su quali basi scientifiche il governo basi la propria lotta al Cbd. «È solo una perdi- ta di denaro per lo Stato e per gli imprenditori. Non ci guadagna nessuno, se non la filiera dell’illegale. Il consumatore me- dio cosa farà, tornerà a comprare cannabis illegale?».

 

Tra i parlamentari che stanno cercando di difendere la filiera c’è Fabrizio Benzoni di Azione. Ha partecipato alle manifestazioni organizzate queste settimane, ha incontrato i lavoratori del settore e, ormai, è convinto che «l’iniziativa del governo è mossa soltanto da una cieca ricerca di consenso elettorale». Non ci possono essere altre ragioni, afferma: «Per bloccare la cannabis light, che non ha effetti psicotropi, si uccide un mercato riconosciuto in tutti gli altri Paesi – che ha delle regole di tracciamento rigide del pro- dotto, dà lavoro a migliaia di cittadini – e si fanno chiudere industrie di eccellenza che realizzano centinaia di prodotti utili alle persone. Bloccare la produzione in Italia significa aprire le porte a merci realizzate con canapa europea, anziché locale. Favorendo, peraltro, il consumo delle droghe tradizionali, che non han- no alcuna filiera verificata, sulle quali non vengono pagate tasse e, anzi, servono da cassaforte per la criminalità organizzata».



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