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Philip Morris International, Storm Reply, Servitly e Sirti Digital Solution: strategie concrete per trasformare i dati industriali in valore


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Il vero ostacolo della trasformazione digitale dell’industria è sotto gli occhi di tutti: le aziende hanno i dati, ma non sanno cosa farsene. Secondo una ricerca dell’Osservatorio IoT del Politecnico di Milano, montagne di informazioni restano inutilizzate, disordinate, senza impatto concreto. A bloccare tutto: competenze insufficienti, incentivi incerti, paura di investire al buio. La tecnologia c’è, i sistemi anche. Ciò che manca è la capacità di trasformare i dati in azione, valore, decisioni. E senza questo passaggio cruciale, la rivoluzione digitale rischia di restare solo sulla carta. Un rischio che realtà come Philip Morris International, Storm Reply, Servitly e Sirti Digital Solution stanno già provando a superare, offrendo modelli concreti e approcci scalabili alla valorizzazione dei dati industriali.

Philip Morris International ha costruito un’architettura dati proprietaria che le consente di sviluppare soluzioni di intelligenza artificiale in meno di 10 settimane. Ma non si è fermata qui. Ha creato digital twin capaci di intervenire in tempo reale, riducendo errori, sprechi e consumi. Sempre grazie a questa particolare architettura, il dato in PMI è diventato strumento quotidiano: accessibile anche a chi non ha competenze tecniche. Fabrizio Ciaramella, Industrial IoT Engineering Lead di Philip Morris International, «la nostra visione per il futuro è quella di creare un ecosistema digitale in cui virtualizzare una linea significhi poi farlo con l’intera fabbrica», rendendo la produzione sempre più integrata, predittiva e gestibile da remoto. Philip Morris International – 30 miliardi di dollari di fatturato e guidata da guidata dal Ceo Jacek Olczak – è presente nel Belpaese con Philip Morris Italia: questa ha realizzato un investimento negli ultimi anni di oltre 1 miliardo di euro, ha più di 1.500 dipendenti nello stabilimento di Crespellano (Bologna) dedicato ai prodotti senza combustione e una rete estesa di fornitori. A Bologna ha dato vita ad una manifattura 4.0 tra le più avanzate al mondo e il centro di formazione IMC (Institute for Manufacturing Competences). Peraltro, Philip Morris Italia ha inaugurato a Taranto il Digital Information Service Center (DISC), un polo che fornirà servizi digitali e amministrativi a livello globale, con circa 400 nuovi posti di lavoro nel Mezzogiorno. In sintesi, l’Italia è un hub strategico globale per innovazione, produzione e sostenibilità.

Sul fronte dell’offerta, alcune aziende tecnologiche stanno già aiutando l’industria a superare i blocchi della trasformazione digitale. Storm Reply, specializzata in cloud e AI, accompagna le grandi imprese con soluzioni scalabili e subito integrabili nei processi. La tech company Servitly supporta i produttori di macchinari nella creazione di servizi digitali evoluti, preparandoli anche alle sfide del Data Act. La società di ingegneria tecnologica Sirti Digital Solution applica tecnologie predittive e IoT alle infrastrutture civili, puntando su efficienza e sicurezza urbana. In tutti i casi, l’obiettivo è chiaro: trasformare i dati in azione concreta. L’articolo trae spunto dal convegno “Industrial IoT: la nuova fabbrica 5.0, tra AI e nuovi modelli di businesstenuto qualche giorno fa a Sps Parma, la fiera dell’automazione e del digitale per l’industria. All’evento hanno partecipato, oltre al citato Fabrizio Ciaramella, anche Giulio Salvadori, Direttore Osservatorio Internet of Things, Politecnico di Milano; Davide Rossi e Camilla Scarpino, Ricercatori all’Osservatorio; Anna Buttaboni, Senior Manager di Storm Reply; Stefano Butti, Ceo di Servitly; e Massimiliano Vitale, Head of Engineering & Operation Unit – Technological Solutions, Sirti Digital Solution.

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Osservatorio IoT 2025: solo il 14% dei crediti del Piano 5.0 erogati e appena il 17% dei produttori connette tutta la gamma. Troppi ritardi su competenze, strategia e Data Act 

Come si diceva, la citata ricerca 2025 dell’Osservatorio Internet of Things del Politecnico di Milano, analizza lo stato di adozione delle tecnologie digitali — in particolare Industrial IoT e Industria 5.0 — nelle aziende italiane. Il lavoro ha coinvolto due gruppi distinti: oltre 160 imprese (grandi e medie) e più di 300 produttori di macchinari industriali. Il quadro che emerge è complesso e stratificato: da un lato una crescita costante degli investimenti digitali, dall’altro una valorizzazione ancora parziale e disorganica dei dati raccolti, vera chiave per trasformare la tecnologia in valore. Secondo Giulio Salvadori, il digitale è l’unico settore che cresce in un comparto manifatturiero in affanno: «Il mercato italiano della smart factory ha superato 1 miliardo di euro nel 2024, con una crescita media del +15% annuo». Eppure, la diffusione effettiva delle soluzioni IoT e 5.0 è rallentata da diverse barriere: i citati ritardi nel Piano Transizione 5.0, scarsa chiarezza normativa, difficoltà a stimare i benefici energetici, ma soprattutto carenza di competenze e scarsa strategia sui dati. Ad oggi, «solo il 14% dei crediti previsti dal Piano 5.0 è stato erogato», mentre si è registrata una recente accelerazione: «+70% di ordinativi di macchine utensili nel primo trimestre 2025 rispetto al 2024». Sempre in riferimento alle imprese manifatturiere, per Camilla Scarpino le grandi aziende mostrano una «sufficiente consapevolezza delle tecnologie 4.0», ma sono ancora «indietro sull’Industria 5.0». Le medie imprese, invece, sono molto più arretrate: «Non raggiungono un livello sufficiente né in termini di conoscenza né di implementazione». Manca una visione di medio-lungo periodo, e l’intelligenza artificiale è ancora poco integrata: «Sia le grandi che le medie imprese sono leggermente più indietro» nell’uso dell’AI nei processi. Come si diceva, anche nella fase operativa, il limite principale resta «la valorizzazione del dato». Le aziende raccolgono dati da macchinari e impianti, ma fanno fatica a trasformarli in strumenti decisionali o in leve di business. Si tratta di un punto nevralgico: «I dati non vengono sempre trasformati in informazioni utili, in grado di migliorare i processi o generare servizi nuovi».

Quanto ai produttori di macchinari, per Davide Rossi il 67% di loro produce macchinari connessi, ma solo il 17% lo fa per tutta la gamma. Il 26% connette la maggior parte dei prodotti, e un altro 24% solo alcuni impianti. Questo significa che, nella maggioranza dei casi, la digitalizzazione non è ancora sistemica. Inoltre, solo «poco più di un produttore su due ha accesso ai dati raccolti dai macchinari presso i clienti». Quando questi dati sono disponibili, il loro utilizzo è limitato: 42% per il supporto post-vendita, 34% per il monitoraggio dello stato macchina, e solo il 25% per migliorare il design dei prodotti. Le motivazioni principali all’adozione digitale sono tre: «Vantaggio competitivo, accesso agli incentivi e miglioramento della relazione post-vendita». Tuttavia, i limiti tecnici e culturali sono ancora forti. Per esempio, l’81% dei produttori ritiene che l’intelligenza artificiale sarà sempre più integrata nei macchinari nei prossimi 2-5 anni, ma le competenze per farlo mancano, così come le architetture digitali pronte ad accogliere questi sistemi. Un elemento cruciale emerso trasversalmente è l’impatto del nuovo Data Act europeo, che entrerà in vigore il 12 settembre 2025. La normativa obbligherà i produttori a «condividere i dati grezzi generati dai macchinari con le terze parti», aprendo nuove possibilità ma anche forti rischi per chi non è preparato. Ad oggi, molte aziende non hanno adeguato i propri sistemi né aggiornato i contratti con clienti e partner, mentre aumentano le possibilità di sanzioni e contenziosi. In conclusione, la ricerca dell’Osservatorio IoT fotografa un ecosistema industriale italiano in movimento ma ancora disomogeneo. Serve una strategia più solida sulla gestione dei dati, un investimento mirato sulle competenze e un supporto istituzionale che sia davvero abilitante. Il digitale non basta più “di per sé”: va governato, strutturato e reso utile, altrimenti il rischio è di avere tante macchine intelligenti, ma pochi processi davvero trasformati.

Osservatorio IoT Polimi: investimenti al rilento. Ad oggi, solo il 14% dei crediti previsti dal Piano 5.0 è stato erogato.

L’approccio Philip Morris International: 6 anni di dati, AI sviluppata in 10 settimane, formazione interna e agenti intelligenti per ottimizzare produzione e sostenibilità

Da sx Anna Buttaboni, Senior Manager di Storm Reply e Fabrizio Ciaramella, Industrial IoT Engineering Lead di Philip Morris International

Per Fabrizio Ciaramella la citata Philip Morris International sta invece affrontando la transizione digitale con un approccio sistemico e centrato sui dati. In particolare, il percorso è iniziato sei anni fa, con l’avvio un progetto ampio di Industrial IoT. «Abbiamo iniziato a investire nell’IIoT a partire dal 2019, creando un’architettura proprietaria che permette molta flessibilità nell’acquisizione, gestione e utilizzo dei dati», afferma Ciaramella. «Questa si è rivelata una scelta corretta perché ci ha permesso di sviluppare algoritmi di machine learning e intelligenza artificiale già da diverso tempo». Si accennava al fatto che l’azienda è oggi in grado di sviluppare sistemi di AI in tempi brevissimi: per Ciaramella, ciò dipende dal fatto che PMI è stata «tra le prime aziende a creare una cultura data-driven interna». Ma a quali applicazioni dell’AI si riferisce Ciaramella? Ad applicazioni che vanno dalla manutenzione predittiva all’ottimizzazione dei processi produttivi, fino alla sostenibilità ambientale. Particolarmente rilevante è il caso di una fase produttiva critica, in passato fonte di sprechi significativi: «Abbiamo sviluppato un digital twin del macchinario, in grado di operare in modo predittivo, avvisando l’operatore anticipatamente in caso di rischio di scarto dovuto al mancato adeguamento di un parametro specifico» – aferma Ciaramella. Il beneficio è stato immediato: «Non solo siamo riusciti a ridurre gli sprechi di materiale, ma abbiamo anche diminuito i consumi energetici, aumentando l’efficienza complessiva del processo». Uno degli assi portanti della strategia di PMI è la democratizzazione del dato, cioè la possibilità per ogni figura aziendale, anche non tecnica, di accedere e usare i dati. «Pensiamo che sia fondamentale fornire strumenti che permettano anche a persone non esperte di accedere ai dati e comprenderne il valore. Solo così possiamo colmare il gap tra chi conosce i processi produttivi e chi sviluppa le tecnologie digitali» – continua Ciaramella. Questa filosofia favorisce la collaborazione trasversale e il superamento delle classiche barriere tra reparti. Ma Philip Morris International guarda anche oltre: per Ciaramella «la visione per il futuro è quella disporre di una rete globale interconnessa e controllabile anche da remoto». Questo approccio apre la strada a un nuovo paradigma produttivo, dove la fabbrica fisica e quella digitale coesistono e si influenzano in tempo reale.

Produzione nello stabilimento Philip Morris di Crespellano.

Inoltre, uno degli sviluppi più avanzati in corso riguarda l’Agentic AI. Ciaramella spiega: «Il nostro obiettivo non è più soltanto quello di digitalizzare il processo produttivo, ma di ottimizzarlo liberando risorse umane da attività a basso valore aggiunto. Attraverso l’uso di agenti intelligenti vogliamo eliminare la burocrazia e automatizzare le attività ripetitive, così da lasciare spazio alla creatività e alla strategia». Questo tipo di approccio, afferma, «può davvero trasformare il modo in cui le persone lavorano e decidono». Dal punto di vista organizzativo, PMI ha messo al centro la formazione. «Per rimanere al passo con le nuove tecnologie, stiamo svolgendo molte attività di co-sviluppo con aziende leader nel settore, stringiamo partnership con start-up, manteniamo un dialogo continuo con le università e investiamo in corsi di formazione avanzata per il personale» – dichiara Ciaramella. Serve peraltro una cultura dell’innovazione autentica. «Una delle chiavi del successo del nostro modello di business è l’aver stabilito una cultura che abbraccia l’accettazione del fallimento. Se si vuole davvero fare qualcosa di innovativo, bisogna accettare che non tutte le idee avranno successo. L’importante è imparare da ogni errore e capitalizzare l’esperienza per migliorare». In termini di competitività, PMI raccoglie oggi i frutti di una strategia pionieristica: «Avendo ormai sei anni di dati a disposizione, possiamo sviluppare nuovi prodotti anche in pochi mesi». Questo vantaggio si estende anche alla catena di fornitura. «Abbiamo iniziato a collaborare con i nostri fornitori per ripensare il design dei nuovi macchinari. In passato, la componente digitale veniva aggiunta sopra il macchinario esistente, oggi, invece, puntiamo a integrarla direttamente nella fase di progettazione. Questo approccio ci permette di generare maggiore valore e aprire la strada a una nuova rivoluzione industriale». Infine, la visione di PMI si intreccia fortemente con la sostenibilità e la responsabilità sociale. Ciaramella conclude: «Le soluzioni digitali devono essere d’aiuto, ma mettendo sempre l’uomo al centro. La tecnologia è uno strumento al servizio della sostenibilità, dell’efficienza e del benessere delle persone».

Storm Reply: AI per snellire la produzione e personalizzare l’offerta, gestione in cloud di dati disordinati, progetti scalabili abilitati da Aws e incentivi del Piano 5.0

Si diceva di Storm Reply, società del gruppo Reply e partner di riferimento di Amazon Web Services, con cui sviluppa soluzioni scalabili per l’industria. Si accennava al fatto che l’azienda lavora principalmente con clienti di grandi dimensioni, con un focus specifico sull’industria manifatturiera. Come spiega Anna Buttaboni, l’approccio è basato su «progetti pilota pensati fin dall’inizio per essere scalabili», evitando così soluzioni isolate difficili da replicare su altre linee o impianti. L’AI viene applicata in due aree principali: «Efficienza operativa, cioè l’automazione di decisioni e processi per rendere più snella la produzione» e «personalizzazione del prodotto, adattando l’offerta alle esigenze specifiche del cliente finale». In questo, Storm Reply si inserisce come partner tecnico-strategico, aiutando le imprese a integrare l’AI all’interno di processi complessi. Tuttavia, le barriere sono ancora molte. «Spesso i dati non ci sono, oppure ci sono ma sono tanti, disordinati, non strutturati e sparsi», spiega Buttaboni. Per questo è essenziale «centralizzarli, ripulirli e portarli in cloud», attività che Storm Reply facilita grazie alla sua esperienza e all’uso di infrastrutture scalabili.

Altro problema è la difficoltà nel reperire risorse formate: «Mancano talenti con competenze specifiche sull’AI, ed è necessario investire in formazione». Anche il tema economico è rilevante: «Non tutte le aziende sanno stimare il ritorno sull’investimento», ma «per chi riesce a farlo, il ROI è comunque positivo». Per facilitare l’avvio dei progetti, Storm Reply sfrutta le agevolazioni previste dal Piano Transizione 5.0 e le opportunità offerte da partner come il citato AWS, con cui collabora per «abbattere le barriere all’ingresso e accelerare l’adozione delle tecnologie». L’obiettivo finale è «fare innovazione ingegnerizzata, cioè creare soluzioni pronte per la produzione, integrabili con l’intero ecosistema digitale dell’azienda». Non solo prototipi, quindi, ma strumenti concreti, scalabili e sostenibili, che abilitano un nuovo modello industriale, intelligente e flessibile.

Maturity assessment: consapevolezza. La ricerca 2025 dell’Osservatorio Internet of Things del Politecnico di Milano, analizza lo stato di adozione delle tecnologie digitali nelle aziende italiane. Il lavoro ha coinvolto due gruppi distinti: oltre 160 imprese (grandi e medie) e più di 300 produttori di macchinari industriali. Il quadro che emerge è complesso e stratificato: da un lato una crescita costante degli investimenti digitali, dall’altro una valorizzazione ancora parziale e disorganica dei dati raccolti, vera chiave per trasformare la tecnologia in valore.

Servitly: 13 archetipi di servizi connessi, AI e notifiche in tempo reale, filiera inclusa e Data Act come leva per ripensare la gestione dei dati

Da sx Stefano Butti, Ceo di Servitly; e Massimiliano Vitale, Head of Engineering & Operation Unit – Technological Solutions, Sirti Digital Solution.

La citata Servitly non si limita a fornire semplici dashboard per monitorare i macchinari industriali. Visualizzare i dati è solo il primo passo. Come sottolinea Stefano Butti, «sviluppare servizi basati sui dati non è un’attività breve, né improvvisabile», ma un processo che richiede tempo, metodo e visione strategica. Per supportare questo percorso, l’azienda ha sviluppato un modello proprietario che identifica «13 web archetipici di servizi connessi»: si tratta di schemi ricorrenti che le aziende possono adottare per creare valore a partire dai dati raccolti dalle macchine, trasformandoli in servizi digitali personalizzati, evoluti e scalabili. Il salto qualitativo consiste nel passare da una semplice visualizzazione a funzionalità intelligenti e automatizzate, come «analisi predittive, uso di intelligenza artificiale, gestione proattiva delle parti di ricambio, notifiche in tempo reale e integrazione con i sistemi gestionali interni».

Un altro elemento decisivo è il coinvolgimento delle terze parti della filiera — installatori, distributori, centri assistenza — che vengono spesso escluse nei primi progetti digitali. Ma, avverte Butti, «se non coinvolte, queste realtà reagiscono negativamente, ostacolando la diffusione delle soluzioni». Servitly aiuta quindi le aziende a strutturare i progetti in modo collaborativo e inclusivo, così che ogni attore della catena possa accedere ai dati e contribuire all’erogazione del servizio. L’approccio assume ancora più rilievo in vista del citato Data Act. Una svolta definita da Butti come un «terremoto normativo e tecnico», perché costringerà le aziende a «prepararsi a livello contrattuale e tecnologico, cambiando i sistemi per supportare la condivisione e la monetizzazione del dato». In pratica, sarà necessario riprogettare il modo in cui si gestiscono i dati, non solo per conformarsi alla legge, ma per trasformare l’obbligo in un’opportunità concreta di business e innovazione.

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Sirti Digital Solution: sensori su ponti e viadotti, algoritmi predittivi, smart city con servizi pubblici digitalizzati e sfida del 5G per gestire i big data urbani

Come si accennava, la citata Sirti Digital Solution opera all’intersezione tra tecnologia, infrastrutture e servizi digitali, offrendo soluzioni avanzate per il monitoraggio strutturale e la gestione intelligente delle reti. Come racconta Massimiliano Vitale, l’azienda ha collaborato con i principali operatori italiani per sviluppare sistemi di sorveglianza su ponti e viadotti, progettando «soluzioni end-to-end, partendo dallo studio dell’infrastruttura fino alla scelta della sensoristica più opportuna». I sensori installati sul campo raccolgono dati in tempo reale, che vengono inviati a una piattaforma centrale dove «algoritmi confrontano le sollecitazioni reali con modelli previsionali», consentendo un monitoraggio costante della stabilità strutturale. Secondo Vitale, «il valore si esprime in due momenti: nella gestione operativa in tempo reale e nella possibilità di prevedere anomalie grazie all’analisi predittiva». Questo approccio permette di «intervenire prima che il problema diventi critico, riducendo costi, rischi e tempi di inattività», portando benefici concreti in termini di sicurezza e manutenzione.

Maturity assessment. La ricerca dell’Osservatorio IoT fotografa un ecosistema industriale italiano in movimento ma ancora disomogeneo. Serve una strategia più solida sulla gestione dei dati, un investimento mirato sulle competenze e un supporto istituzionale che sia davvero abilitante. Il digitale non basta più “di per sé”: va governato, strutturato e reso utile, altrimenti il rischio è di avere tante macchine intelligenti, ma pochi processi davvero trasformati.

Ma Sirti guarda oltre. Sta infatti estendendo queste tecnologie all’universo delle Smart Cities, con l’obiettivo di digitalizzare i servizi pubblici — dalla mobilità all’illuminazione, dalla raccolta rifiuti al monitoraggio ambientale — rendendoli «più efficaci, sostenibili e meno costosi». Il nodo, però, resta la gestione della mole di dati generata da centinaia di dispositivi distribuiti sul territorio. Vitale evidenzia che «serviranno edge computing, reti 5G e data center efficienti» per poter elaborare le informazioni in tempo reale, senza sovraccaricare le infrastrutture esistenti. In pratica, la visione di Sirti è questa: «Tecnologie collaudate in ambito industriale possono essere la base per un’evoluzione urbana intelligente». Tuttavia, per realizzarla, saranno necessari piani nazionali, investimenti infrastrutturali e una governance strutturata, in grado di accompagnare le città verso un futuro davvero connesso, resiliente e sostenibile.



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