Roma, 5 giu. (askanews) – Per banche e intermediari l’addebito diretto – quello che ad esempio alcuni consumatori accettano di utilizzare per le bollette – risulta lo strumento di pagamento meno costoso tra quelli che offrono in Italia, con 0,19 euro per operazione. Seguono i pagamenti effettuati con carte di debito e prepagate, con 0,32 euro di costo per le banche su ogni operazione. E poi i bonifici ordinari (in media 0,70 euro), i pagamenti con carta di credito (1,07 euro), i bonifici allo sportello bancario (2,11 euro), i pagamenti in contante (2,44 euro) e, infine, più costosi di tutti, i pagamenti con assegni, che costano 5,28 euro per singola operazione.
La graduatoria è contenuta nel terzo Rapporto sul costo degli strumenti di pagamento pubblicato dalla Banca d’Italia. Se invece del costo unitario per operazione si guarda al costo che gli intermediari devono fronteggiare in percentuale del valore del pagamento, allora lo strumento meno costoso risulta essere di gran lunga quello dei bonifici ordinari, con lo 0,01%; seguiti dagli addebiti diretti (0,04%), gli assegni (0,14%), i contanti (0,48%), le carte di debito e le prepagate (0,74%) e stavolta, più costose di tutto, le carte di credito con l’1,54%.
I costi indicati sono stati calcolati intervistando un campione di prestatori di servizi di pagamento composto da 15 gruppi bancari e finanziari che coprono, complessivamente, circa l’80% del mercato, con un volume di oltre 10 miliardi di transazioni l’anno.
La graduatoria cambia leggermente se si passa a considerare il costo medio di accettazione dei pagamenti per esercenti e imprese: in questo caso il valore più basso riguarda bonifici e addebiti diretti, con 0,15 euro per operazione e uno 0,02% rispetto al valore del pagamento. Seguono i pagamenti in contanti con 0,23 euro per operazione, quelli con carte di debito o di credito con 0,28 euro e gli assegni, con 2,91 euro per operazione. Se si guarda al costo in percentuale rispetto al pagamento, il livello più basso (dopo bonifici addebiti) è quello degli assegni con lo 0,08%, seguiti da carte di debito e di credito, con lo 0,57%, e il contante, con l’1,05%.
L’obiettivo dello studio è aggiornare l’analisi di un settore chiamato ad affrontare crescenti pressioni concorrenziali e regolamentari, spiega Bankitalia nel sommario. L’indagine ha coinvolto operatori come i prestatori di servizi di pagamento e le imprese commerciali).
E uno dei capitoli riguarda i costi complessivi sostenuti dalla collettività (cd. “costi netti complessivi” o “costo sociale”) per la produzione e l’accettazione degli strumenti di pagamento. In Italia si stimano attorno a 12 miliardi di euro, pari allo 0,61% del Pil, con un risparmio di 0,1 punti percentuali di Pil rispetto alle precedenti indagini sul 2016 (0,73%) e sul 2009 (0,75%).
Il costo complessivo sostenuto dagli intermediari è stato pari a quasi 7 miliardi, con una crescita del 26% rispetto alla precedente indagine del 2016 a fronte, nel periodo intercorrente tra le due indagini, di un raddoppio del numero delle transazioni (+106%), trainato in particolare dai pagamenti con carte. Il costo per operazione si è sensibilmente ridotto, da 1,01 a 0,62 euro (1,39 euro nel 2009).
Questi andamenti, dice Bankitalia, riflettono il conseguimento di importanti economie di scala, oltre che i processi di innovazione digitale e di razionalizzazione che hanno interessato l’offerta degli strumenti di pagamento. La flessione dei costi unitari si registra per tutti gli strumenti considerati, con la sola eccezione dell’assegno, che sembra risentire di diseconomie di scala a fronte della riduzione dell’utilizzo.
Al complessivo risparmio generato dalla flessione dei costi unitari ha contribuito anche il processo di sostituzione di operazioni tradizionali (es. allo sportello fisico) con quelle svolte attraverso canali telematici o digitali (es. home/mobile banking) la cui quota sul totale è salita a oltre il 93% (da 83 e 74%, nel 2016 e nel 2009, rispettivamente). L’incidenza del costo degli strumenti cartacei (contante e assegni) su quello complessivo si è ridotta al 31%, dal 41% del 2016, osserva l’analisi, anche in relazione al minor peso sull’operatività totale.
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