L’ennesimo, ottavo taglio consecutivo dei tassi d’interesse da parte della Banca Centrale Europea è arrivato puntuale come previsto: 25 punti base in meno, con il tasso sui depositi che scende al 2%, il livello più basso da dicembre 2022. Una mossa “attesa”, ma non per questo priva di conseguenze – anzi, è il momento di interrogarsi su cosa questo significhi per le famiglie italiane, il tessuto produttivo nazionale e, più in generale, per l’interesse del nostro Paese in un’Europa economica sempre più sbilanciata.
BCE: perché ha tagliato ancora?
A giustificare il taglio è stata, come sempre, l’inflazione. I dati di maggio mostrano un tasso annuo nell’area euro sceso all’1,9%, molto vicino all’obiettivo ufficiale della BCE. Secondo le stime diffuse da Francoforte, l’inflazione resterà sotto controllo anche nei prossimi anni, con una media del 2% nel 2025, dell’1,6% nel 2026 e nuovamente del 2% nel 2027.
La presidente Christine Lagarde ha parlato di una politica monetaria “arrivata in zona neutrale”, lasciando intendere che potrebbe esserci una pausa nei prossimi mesi, ma non escludendo nuove mosse al ribasso.
Dietro le formule e le previsioni, tuttavia, si cela un’Europa ancora lontana dalla crescita reale, e soprattutto un’Italia che paga un prezzo doppio: quello della moneta unica e quello dell’asimmetria economica.
Cosa cambia per le famiglie italiane
Il taglio dei tassi porta con sé effetti immediati e altri più lenti, ma tutti rilevanti nella vita quotidiana di milioni di cittadini.
Mutui e prestiti: sconti in arrivo (forse)
Chi ha un mutuo a tasso variabile potrebbe vedere un lieve calo nella rata mensile nei prossimi mesi, dato che il tasso BCE influenza indirettamente l’Euribor, a cui molti mutui sono indicizzati.
Anche i prestiti personali o i finanziamenti per auto e beni di consumo potrebbero diventare più convenienti – a patto, però, che le banche decidano di trasferire ai clienti questo sconto, cosa tutt’altro che scontata.
Risparmiatori penalizzati
Chi ha investito in conti deposito, libretti o strumenti di risparmio a basso rischio vedrà probabilmente scendere ulteriormente i rendimenti. In termini semplici: chi risparmia guadagnerà ancora meno, mentre il costo della vita resta alto.
Una dinamica che, in Italia, dove la propensione al risparmio è ancora forte, rischia di penalizzare soprattutto anziani, famiglie prudenti e piccoli risparmiatori, cioè la classe media conservatrice su cui si regge la coesione del Paese.
Effetti macroeconomici: crescita o dipendenza?
In teoria, i tassi bassi dovrebbero stimolare gli investimenti e i consumi, spingere le imprese a produrre e assumere, e rilanciare l’economia.
Ma l’Italia non è la Germania. E la politica monetaria unica, pensata per economie fortemente industrializzate e meno indebitate, spesso ha effetti distorti sul nostro sistema.
- Le PMI italiane, cuore produttivo del Paese, vedono tassi più bassi sui prestiti ma faticano ad accedervi, ostacolate da regole bancarie sempre più rigide.
- I giovani italiani continuano a vedersi negati mutui e prestiti nonostante il “denaro facile” della BCE, mentre le multinazionali possono approfittarne senza fatica.
- La bilancia tra Nord e Sud Europa continua a pendere verso Berlino e Bruxelles, dove i tassi bassi si traducono in profitti finanziari, mentre a Roma si traducono in austerità e rischio inflattivo.
Una riflessione sull’interesse nazionale
Dopo otto tagli consecutivi, la domanda è: a chi giova davvero questa politica monetaria? E, soprattutto, l’Italia ha ancora margini di sovranità nel decidere la sua strategia economica?
Abbassare i tassi può essere utile, ma non basta. Saranno la politica industriale nazionale, gli investimenti strategici pubblici, la vera visione di sviluppo italiano avviati dal Governo Meloni a sanare una ferita aperta da anni su cui le mosse della BCE a volte sono come spargere sale e altre volte solo un mero cerotto.
Questo esecutivo ha avuto il coraggio di rimettere al centro l’interesse nazionale, anche sul piano monetario ed economico. La difesa del risparmio, il sostegno al lavoro, la tutela del potere d’acquisto e la crescita delle imprese italiane non possono essere subordinate agli algoritmi di Bruxelles.
Se l’Europa vuole essere davvero unita, deve rispettare le differenze profonde tra le economie degli Stati membri. La via italiana per tornare a crescere è stata tracciata.
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