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Noci (Polimi): «Trump sta distruggendo l’innovazione, il vero motore degli Usa. Per attrarre talenti l’Italia aumenti gli stipendi»


di
Valentina Iorio

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Il prorettore del Politecnico di Milano: «La più importante arma geopolitica è il sistema educativo. I talenti in fuga dagli Usa? Per attrarli l’Italia deve cambiare le regole del gioco, a partire dagli stipendi»

«Su individui, imprese e politica insistono una serie di forzanti che mai si sono sovrapposti così nella storia dell’umanità». A cominciare dalla transizione digitale che vede nell’Ai la chiusura del cerchio e «non è interpretata in modo adeguato da una parte significativa del mondo tra cui l’Europa», spiega  Giuliano Noci, prorettore del Politecnico di Milano, che affronta questi temi nel libro di fresca uscita «Disordine. Le nuove coordinate del mondo», con prefazione di Ferruccio De Bortoli (edito dal Sole 24 Ore). 
Una seconda fonte di squilibrio profondo è la variabile demografica: l’Africa cresce a ritmi vertiginosi (+250% dal 1970), mentre l’Europa fatica persino a mantenere i numeri di mezzo secolo fa (+20%). 
Un terzo squilibrio è quello valoriale: abbiamo uno scontro di civiltà a due, da un lato società turbo-capitalistiche e individualiste, dall’altro società in cui l’individuo si riconosce ancora con la società. Un quarto elemento sono gli organismi multilaterali che non si sono adeguati ai cambiamenti di contesto. «Faccio solo un esempio: i Brics rappresentano il 33% del Pil mondiale, i Paesi del G7 il 27%». Da questo caos è possibile costruire un nuovo ordine, servono però coordinate diverse da quelle che si sono usate finora. Noci ne è convinto

Una globalizzazione «diversa»

«Se a questi ingredienti che ho citato in precedenza aggiungiamo la variabile Trump, il disordine è massimo. Quella che stiamo vivendo è una situazione che merita attenzione, una tale sovrapposizione di crisi o variabili non c’è mai stata. Questo non significa però che la globalizzazione è finita», prosegue il professore. «I livelli di produttività raggiunti dall’industria fanno sì che se le aziende non hanno di fronte a sé mercati larghi saltano. Di sicuro però entriamo in una globalizzazione diversa. E la soluzione non è chiudersi dietro barriere doganali o dissolvere la sovranità nazionale in un mercato senza regole. Serve una nuova sintesi», dice Noci.

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Un nuovo «momento Bretton Woods»

«Serve un nuovo momento Bretton Woods, un’architettura globale in
grado di equilibrare libero scambio e protezione sociale
. Occorre un cambio di paradigma: non più la massimizzazione della ricchezza globale come fine ultimo, ma un modello che tenga conto dell’occupazione, della produzione e della stabilità sociale nei vari Paesi», spiega il prorettore del Politecnico di Milano. Ma questo significa anche accettare che esistono altre potenze oltre agli Stati Uniti. Per Noci: «L’mperialismo americano è dannoso. Una nuova governance multilaterale non può rappresentare solo gli interessi di vecchie potenze occidentali, ma deve includere attori come la Cina, l’India e l’Africa».

L’arma della conoscenza

Le società si stanno polarizzando tra chi possiede le chiavi del sapere
e chi resta tagliato fuori. «Trump è il punto di sfogo di un pezzo di società che si sente fuori dal mondo, un pezzo di società che è rimasta indietro sul fronte delle competenze e non è più occupabile, malgrado l’0ccupazione negli Usa sia in crescita», evidenzia Noci.  «La più importante arma geopolitica è il sistema educativo», prosegue il professore, evidenziando che  le emarginazioni del futuro saranno soprattutto cognitive e «creeranno dei veri e propri ghetti». 

I talenti in fuga dagli Usa e i ritardi dell’Italia

In questo contesto l’attacco del presidente Trump agli atenei statunitensi e al sistema della ricerca, rischia di costare molto caro agli Usa. «Trump sta distruggendo l’unico vero motore degli Stati Uniti che è l’innovazione», sottolinea Noci e rispetto al piano Ue da mezzo miliardo per attirare talenti in fuga dagli Usa frena i facili entusiasmi: «Bisogna vedere se è davvero un piano europeo o una corsa di singoli Stati, che diventerebbe un’ulteriore fonte di squilibrio all’interno dell’Unione». Il punto è che per riuscire ad attrarre talenti bisogna creare le condizioni. «I Paesi scandinavi, la Germania sono attrezzati per attrarre studiosi e ricercatori. Anche la Spagna ha avuto il coraggio di fare delle scelte che possono dare buoni risultati – conclude il prorettore del Politecnico di Milano – . Ma l’Italia, con gli stipendi che offre, non ce la fa ad attrarre talenti. Per farlo deve cambiare le regole del gioco». 


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