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In braccio al padrone. Partecipazione alla gestione delle imprese: scambio CISL-fascisti –


La legge 15 maggio 2025 n. 76 contiene disposizioni per la partecipazione dei lavoratori alla gestione, al capitale e agli utili delle imprese.

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La pubblicazione in Gazzetta Ufficiale  è la conclusione di una proposta di legge di iniziativa popolare promossa dalla CISL con l’intenzione di disciplinare in ogni dettaglio la partecipazione delle maestranze alla vita delle imprese, pretendendo di dare piena attuazione all’art. 46 della Costituzione.
Secondo la propaganda della CISL, la partecipazione dei lavoratori alle imprese non è solo il vettore di uno sviluppo economico, ma anche un mezzo per la realizzazione di un progresso sociale e che avrebbe ricadute sull’aumento dei salari, sulla qualità e stabilità dell’occupazione, sulla sostenibilità sociale, sulla sicurezza e salute nei luoghi di lavoro. Questi ambiti appena citati verrebbero ad essere sottratti alla contrattazione, offrendo ai capitalisti una piena coesione sociale, una maggiore produttività e competitività, nonché fondi per nuovi investimenti e tutto ciò porterebbe a zero delocalizzazioni e al rientro delle imprese dall’estero.

La notizia dell’approvazione della legge è stata accolta con toni trionfalistici da Fumarola, segretario della CISL, salutandone ancora una volta gli effetti palingenetici.

A parte l’insistenza sul temine “lavoratori”, quasi che solo i lavoratori di genere maschile siano meritevoli di attenzione, non si può fare a meno di notare che ci troviamo di fronte innanzi tutto ad un’operazione propagandistica sul tema della collaborazione di classe, collaborazione che va oltre la Costituzione che pretende di attuare.

Sia la propaganda della CISL sia il testo di legge fanno riferimento all’attuazione del dettato costituzionale, affermando che la legge opera “in attuazione dell’articolo 46 della Costituzione […] al fine di rafforzare la collaborazione tra i datori di lavoro e i lavoratori” Peccato che né l’articolo 46 né nessun altro articolo della Costituzione parlino di questa collaborazione. In particolare, l’articolo 46 si limita ad affermare che “la Repubblica riconosce il diritto dei lavoratori a collaborare, nei modi e nei limiti stabiliti dalle leggi, alla gestione delle aziende”. Tale articolo va letto insieme all’articolo 3, che afferma “È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese”.

In altre parole, partecipazione e collaborazione sono concetti diversi. La legge, sostenendo la collaborazione, e la CISL, promuovendo la legge e difendendone acriticamente il contenuto, svolgono di fatto una funzione reazionaria, richiamandosi in sostanza ai principi affermati dalla Rerum Novarum di Leone XIII, ribaditi successivamente da Pio XI con l’enciclica “Quadragesimo anno” che realizza i principi della Rerum Novarum nell’ordinamento corporativo promosso dal regime fascista.  E la collaborazione tra datori di lavoro e maestranze è il punto centrale del corporativismo.

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L’esperienza del corporativismo fascista si inseriva in un quadro definito dal regime attraverso la legge del 1926 che vietava lo sciopero e di fatto assicurava la prevalenza alle organizzazioni di categoria dei capitalisti agrari e industriali. Anche in questo caso la propaganda descriveva l’ordinamento corporativo come destinato a realizzare, sotto il controllo e il coordinamento dello Stato, l’autogoverno delle categorie produttrici e volto a conciliare sia gli interessi delle classi, sia quelli dei vari rami della produzione, sia quelli dell’individuo e dello Stato. In pratica le corporazioni si limitarono a discutere molti problemi e nella maggior parte dei casi ad approvare le deliberazioni degli organi governativi, spesso sulla base di proposte elaborate dalle confederazioni e dalle federazioni nazionali degli imprenditori.

Il sostanziale fallimento del sistema corporativo, riconosciuto da molti di coloro che più avevano creduto all’importanza e all’efficacia di esso, è testimoniato dal costante peggioramento delle condizioni di vita del proletariato e dei ceti popolari che, pur con alti e bassi, ha caratterizzato tutto il periodo fascista senza interruzione.

Questa legge, comunque, ha una portata molto limitata, innanzi tutto perché riguarda solo le società che hanno personalità giuridica, le società che prevedono almeno un consiglio di amministrazione; poi perché esclude i dipendenti indiretti, che oggi soprattutto nelle grandi aziende costituiscono buona parte della forza lavoro, e di fatto comprendono anche i dipendenti non a tempo indeterminato. Se fosse attuata quindi si tradurrebbe solo in un legame più stretto di una sorta di aristocrazia operaia con le direzioni aziendali.

Il testo della legge, al di là delle dichiarazioni altisonanti, riconosce ai rappresentanti delle maestranze un ruolo solo simbolico negli organismi di gestione e di controllo, rappresentanti a cui sono comunque richiesti i requisiti professionali previsti dalle relative cariche. Le definizioni delle regole di partecipazione, inoltre, vengono demandate alla contrattazione nazionale ed aziendale. Nel caso delle società più grandi, che hanno diverse unità produttive e dove è più probabile che questa legge trovi attuazione, resta da capire come la partecipazione minoritaria delle maestranze al consiglio di amministrazione si ripercuota sulla organizzazione del lavoro nella singola unità produttiva.

L’utile aziendale costituisce un ulteriore vincolo ad ogni interpretazione della partecipazione in un senso più favorevole alla forza lavoro. Nella parte dedicata alla partecipazione economica e finanziaria dei lavoratori, ogni beneficio economico per essi è legato al risultato economico della società, che solo in parte è legato alla prestazione lavorativa, e in gran parte all’andamento dei mercati, per il costo e la disponibilità del materiale da lavoro e per lo sbocco delle merci, e all’andamento finanziario. Sarebbe logico che, in vista di un miglior utile, il consiglio di amministrazione decida un maggior sfruttamento della forza lavoro, di fronte a cui i rappresentanti delle maestranze sarebbero impotenti. Teniamo comunque presente che in questo capo è contenuto uno dei pochi elementi concreti di questa legge, cioè l’elevamento a 5.000 euro del limite al di sotto del quale, ai premi di risultato legati all’utile corrisposti ai dipendenti, viene applicata solo l’imposta sostitutiva. A questo fine saranno destinati 70 milioni già stanziati in bilancio come fondo per la partecipazione dei lavoratori. A questo proposito, secondo la legge 76, possono   essere   previsti   piani   di partecipazione finanziaria dei lavoratori dipendenti.  Tali piani possono individuare, oltre agli strumenti di partecipazione dei lavoratori al capitale della società, anche l’attribuzione di azioni in sostituzione di premi di risultato. Anche in questo caso, per l’anno 2025, i dividendi relativi a queste azioni beneficeranno di sgravi fiscali.

Un altro punto che probabilmente sarà attuato ed eccita la cupidigia della burocrazia sindacale è quello della formazione. Il testo della legge sulla partecipazione prevede che “per coloro che partecipano agli organi societari […] è prevista una formazione, anche in forma congiunta, di durata non inferiore a dieci ore annue”. Questo punto probabilmente si concretizzerà, perché per la formazione di lavoratrici e lavoratori è stato costituito fin dagli anni del COVID un fondo apposito, con cui finanziare non solo le attività di formazione, ma gli oneri derivanti dalle ore passate in formazione, quindi al di fuori del processo produttivo. Si tratta del Fondo Nuove Competenze, finanziato in parte con il PNRR, La dotazione finanziaria del Fondo nuove competenze 3, relativo al 2025, ammonta complessivamente a 731 milioni di euro, integrabili con altre fonti di finanziamento. Inoltre è bene ricordare che l’ente accreditato per la formazione professionale più importante in Italia è l’ENAIP, che fa capo all’Associazione Cattolica dei Lavoratori Italiani (ACLI), di cui anche la CISL è un’organizzazione collaterale.

Dunque, riepilogando, la legge sulla rappresentanza è innanzitutto uno spot propagandistico per il governo e per il suo partito di maggioranza, Fratelli d’Italia. La CISL, difendendo questa legge, si presta a dare dignità costituzionale alle utopie corporative che non solo riportano ad uno dei periodi più bui della storia d’Italia e delle condizioni del proletariato, ma sono completamente estranee al dettato costituzionale. Anche Sergio Mattarella, Presidente della Repubblica e quindi garante in prima istanza della correttezza costituzionale delle leggi, si è prestato al gioco di Meloni e Fumarola e alle loro chiacchiere sulla collaborazione fra capitale e lavoro salariato. Per le parti in cui non è solo fuffa, nella misura in cui sarà applicata, questa legge dividerà la forza lavoro tra i dipendenti diretti a tempo indeterminato delle grandi società da tutta l’altra forza lavoro. Non solo, aumenterà gli strumenti di controllo a disposizione della burocrazia sindacale: i rappresentanti delle maestranze negli organi societari non potranno che appoggiarsi alle strutture sindacali, perché sono queste che daranno loro la formazione necessaria e, attraverso organismi come il Consiglio Nazionale dell’Economia e del Lavoro (CNEL), daranno loro le necessarie indicazioni operative, per non essere solamente succubi dei rappresentanti della proprietà. Impossibilitate ad intervenire sostanzialmente sui problemi che caratterizzano la condizione proletaria sul posto di lavoro, le rappresentanze delle lavoratrici e dei lavoratori si trasformeranno in un centro di clientele, contribuendo ulteriormente alla divisione di classe. Le federazioni di categoria e le strutture confederali, intanto, metteranno le mani sui fondi previsti per la partecipazione all’azionariato e sul fondo per la formazione.

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Non possiamo certo aspettarceli da una legge. In attesa di espropriare i capitalisti, solo l’unità del movimento operaio, l’autonomia dalle forze politiche parlamentari, l’azione diretta ce li possono dare.

Tiziano Antonelli



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