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Unimpresa: la riforma dell’irpef e quella del cuneo non includono gli autonomi, costo di 18 miliardi con coperture parziali


Le modifiche strutturali all’Irpef e la riconfigurazione del taglio al cuneo fiscale introdotte con la legge di bilancio 2025 costeranno allo Stato quasi 18 miliardi di euro l’anno nel triennio 2025-2027, pari allo 0,8% del Pil annuo. Ma i benefici si concentrano esclusivamente sui lavoratori dipendenti, mentre risultano completamente esclusi i lavoratori autonomi, i professionisti e gli incapienti.

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È quanto evidenzia il Centro studi di Unimpresa, che denuncia l’inefficacia redistributiva e la fragilità delle coperture previste dalla riforma Irpef. Si tratta di un intervento che riduce da quattro a tre gli scaglioni e amplia la no-tax area, generando un calo strutturale del gettito di 5,2 miliardi di euro l’anno, compensato solo parzialmente da 0,6 miliardi di euro attraverso il taglio alle detrazioni per familiari a carico; e da 0,3 miliardi di euro dall’introduzione di tetti agli oneri detraibili in base al reddito e al numero di figli.  Il saldo netto è dunque negativo per oltre 4 miliardi, senza misure correttive equivalenti sul lato delle entrate.

Sul cuneo fiscale, la sostituzione della decontribuzione del 2024 con una detrazione fissa di 1.000 euro per redditi tra 20.000 e 40.000 euro (costo: 8,6 miliardi), e con un bonus proporzionale per chi guadagna meno di 20.000 euro (costo: 4,4 miliardi), comporta un impegno complessivo annuo di 13 miliardi, che beneficia esclusivamente i lavoratori dipendenti con contratto regolare e continuativo. Restano fuori oltre 6 milioni di partite IVA, oltre agli oltre 4 milioni di lavoratori poveri o discontinui che non hanno sufficiente capienza fiscale per trarre vantaggio dalle detrazioni.

Secondo i calcoli del Centro studi di Unimpresa, che ha analizzato dati Banca d’Italia, l’aliquota media Irpfe effettiva si riduce di appena lo 0,9% per i redditi superiori a 42.800 euro, un dato che mette in luce l’efficacia marginale della riforma per la fascia medio-alta del ceto medio. Al contrario, il bonus per i redditi sotto i 20.000 euro, pur significativo, non è strutturale e non contribuisce alla costruzione di una curva fiscale stabile e coerente nel lungo periodo.  La riforma fiscale confermata nella legge di bilancio 2025 rappresenta, senza dubbio, un passo significativo nella direzione di un fisco più moderno, più semplice e più orientato alla crescita.

L’accorpamento degli scaglioni Irpef, l’estensione della no-tax area ai lavoratori dipendenti, e l’introduzione di strumenti alternativi alla decontribuzione, come la nuova detrazione fissa e il bonus per i redditi più bassi, vanno letti come un segnale positivo di attenzione verso il lavoro e il reddito disponibile delle famiglie. Tuttavia, proprio l’ampiezza dell’intervento e le risorse mobilitate – quasi 18 miliardi l’anno nel triennio 2025-2027 – impongono una riflessione più profonda.

Per quanto strutturali, queste misure continuano a escludere una vasta platea di contribuenti, in particolare le partite Iva, i lavoratori autonomi, i professionisti e gli incapienti. Categorie che, nonostante svolgano un ruolo centrale nel tessuto economico del Paese, non beneficiano né della rimodulazione delle aliquote né dei nuovi strumenti di sgravio. Questo elemento rischia di compromettere l’equità orizzontale e di generare nuove asimmetrie, difficilmente giustificabili in una riforma che si dichiara organica. Inoltre, resta il tema cruciale della sostenibilità finanziaria di queste misure: il loro impatto sul gettito e sul bilancio pubblico dovrà essere compensato da un’effettiva razionalizzazione della spesa e da un potenziamento della lotta all’evasione. In caso contrario, l’effetto espansivo sul reddito disponibile rischia di essere controbilanciato da futuri interventi correttivi o da tensioni sulla finanza pubblica.

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Il sistema fiscale italiano resta frammentato e disomogeneo, con una pressione selettiva su chi produce reddito autonomo e contribuisce con regolarità, ma non viene premiato. La riforma ignora milioni di lavoratori e piccoli imprenditori, mentre i costi strutturali delle misure approvate rischiano di pesare sulla finanza pubblica senza reali effetti propulsivi sull’economia. In sintesi, il giudizio è positivo, ma condizionato. Serve uno sforzo ulteriore per allargare la platea dei beneficiari, riordinare il sistema di detrazioni e deduzioni, e costruire un’imposta personale sul reddito davvero equa, neutra e trasparente. Il sistema fiscale del futuro non può più permettersi di essere segmentato e parziale. Un paese competitivo ha bisogno di un fisco che non faccia distinzioni tra chi lavora, ma premi il merito, il valore prodotto e la contribuzione effettiva alla crescita” commenta il consigliere nazionale di Unimpresa, Manlio La Duca.

Immagine di freepik



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