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Chimica, perché Sabic, Shell e Bp vogliono disfarsi degli impianti in Europa


A causa degli altri prezzi dell’energia, diverse aziende chimiche stanno valutando la vendita dei loro impianti in Europa e l’apertura di stabilimenti in Asia. Tutti i dettagli.

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Diverse aziende chimiche, tra cui il gruppo saudita Sabic e le compagnie britanniche Shell e Bp, stanno valutando la vendita dei loro impianti in Europa: gli alti prezzi dell’energia – ben al di sopra dei valori degli Stati Uniti, ad esempio – stanno rendendo la regione sempre meno competitiva a livello internazionale.

Questa volontà di distacco dall’Europa, o quantomeno di ridimensionamento della presenza, giunge peraltro in una fase di espansione dell’industria chimica, che ha in programma l’apertura di nuovi stabilimenti in altre parti del mondo, specialmente in Cina e in Medioriente.

LA CRISI DELL’INDUSTRIA CHIMICA EUROPEA

Secondo le stime dell’European Chemical Industry Council, un’associazione di categoria, negli ultimi due anni negli ultimi due anni è stata programmata la chiusura di oltre 11 milioni di tonnellate di capacità in Europa, con un impatto su ventuno grandi stabilimenti. Questa perdita di capacità rappresenterebbe un serio problema economico-industriale per l’Europa, visto che il settore chimico vale all’incirca il 5-7 per cento del fatturato manifatturiero e dà lavoro a oltre 1,2 milioni di persone

Stando all’associazione, i prezzi elevati del gas naturale – quattro-cinque volte più alti che negli Stati Uniti – stanno mettendo “sotto pressione” la competitività del settore.

IL SETTORE NON È PIÙ COMPETITIVO?

“Molte persone”, ha spiegato al Financial Times Alasdair Nibet, consulente per Natrium Capital, “dicono che ci sono degli impianti inefficienti o isolati in Europa e stanno cercando di trovargli una casa. Stiamo assistendo a un ripensamento di ciò che è competitivo”.

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– Leggi anche: Perché in Germania l’industria chimica vede nero

COSA FARÀ SABIC

Quanto al gruppo saudita Sabic, controllato dalla compagnia petrolifera statale Saudi Aramco, non ha ancora preso una decisione sulla cessione degli asset europei, che generano – stando alle cifre riportate dal Financial Times – entrate per circa 3 miliardi di dollari all’anno, con un margine operativo lordo di 250 milioni.

LA MOSSA DI DOW E LYONDELLBASELL

Nei mesi scorsi anche le aziende chimiche statunitensi Dow e LyondellBasell hanno avviato un processo di revisione strategica delle loro attività europee.

INEOS: DICHIARAZIONI, CESSIONI E ACCORDI

Jim Ratcliffe, il miliardario britannico che possiede la società petrolchimica Ineos, ha dichiarato che “stiamo assistendo all’estinzione di una delle nostre industrie principali, in quanto la produzione di sostanze chimiche è stata privata della sua vita”, e ha invitato le autorità del Regno Unito a “ripensare” le tasse sulle emissioni di CO2: quella chimica è un’industria energivora e difficile da elettrificare e decarbonizzare.

A marzo Ineos ha venduto la sua divisione dedicata ai materiali compositi per le plastiche – possiede diciassette stabilimenti tra Europa, Nordamerica, Sudamerica, Medioriente e Asia – al fondo di investimento americano Kps Capital Partners per 1,7 miliardi di dollari. Con l’obiettivo di ridurre i costi operativi e proteggersi dalla volatilità dei prezzi europei del gas, la settimana scorsa Ineos ha firmato un contratto di fornitura di combustibile statunitense con il gruppo tedesco Covestro.

– Leggi anche: Isab, guerra interna nella raffineria di Priolo tra Goi Energy e Trafigura



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