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Mediterraneo, da linea di frattura a spazio strategico. Il commento dell’amb. Castellaneta


La geografia ci ricorda che l’Italia è al centro di tutto, ponte naturale tra continenti e civiltà. Sta a noi decidere se essere architetti o spettatori del futuro. Il commento dell’ambasciatore Giovanni Castellaneta

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02/06/2025

C’è stato un tempo, non troppo lontano, in cui il Mediterraneo veniva raccontato solo come frontiera: rotta di migranti, teatro di crisi, periferia instabile dell’Europa. Eppure, come Fernand Braudel suggeriva già negli anni Quaranta, “il Mediterraneo è quale lo fanno gli uomini”: esiste per come lo si decide di vivere, attraversare, trasformare. Oggi, questa narrazione, tutta ripiegata su instabilità e minacce, lentamente ma in modo sempre più determinato, si sta rovesciando. E l’Italia, più di altri Paesi, ha l’interesse e la responsabilità di favorire questo cambio di paradigma: trasformare il Mediterraneo da linea di faglia a piattaforma strategica.

Il contesto internazionale lo impone. Il mondo del 2025 è segnato da una molteplicità di crisi intrecciate: le guerre “calde” – sul fronte russo-ucraino e israelo-palestinese, e l’ombra dei conflitti latenti nell’Indo-Pacifico, le tensioni nel Mar Rosso, la competizione globale tra G7 e Brics, la pressione migratoria che non conosce tregua. È una fase che alcuni analisti chiamano di “perma-crisi”, dove tutto sembra instabile e reversibile. Eppure, proprio in questa complessità, si aprono opportunità storiche.

Il Mediterraneo non è più – se mai lo è stato – il cortile sul retro dell’Europa. È una cerniera geopolitica tra Africa, Europa e Medio Oriente, ma anche “medioceano”, via più breve di congiunzione tra Oceano Atlantico e Oceano Indo-Pacifico. È il punto di incontro di interessi che vanno dalla sicurezza energetica alla sostenibilità ambientale, dalla cooperazione economica all’innovazione tecnologica. Uno spazio dove si gioca non solo il futuro delle relazioni tra Nord e Sud del mondo, ma anche la capacità dell’Europa di esistere come attore geopolitico autonomo.

In questo scenario, l’Italia sta tentando di recuperare un protagonismo che negli ultimi quindici anni era andato affievolendosi. Lo fa attraverso una pluralità di strumenti. Da un lato, rilancia il proprio ruolo nei Balcani occidentali, dove continua a promuovere l’integrazione europea di Paesi come Albania, Macedonia del Nord, Montenegro, Serbia e Bosnia-Erzegovina. Dall’altro, punta sulla proiezione africana con il Piano Mattei, l’ambiziosa iniziativa di Palazzo Chigi che mira a costruire un partenariato paritario con il continente africano, andando oltre le logiche di assistenzialismo o controllo migratorio.

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Parallelamente alle politiche governative si dirama poi una diplomazia dei territori, delle imprese, della conoscenza. Strumenti come l’Iniziativa Adriatico-Ionica (Iai) e la Strategia Eusair mostrano come la cooperazione regionale possa produrre risultati concreti. Nata nel 2000 con la Dichiarazione di Ancona, la IAI riunisce oggi dieci Paesi dell’area adriatico-ionica – dai Balcani occidentali all’Italia e alla Grecia – con l’obiettivo di promuovere stabilità, integrazione europea e sviluppo sostenibile. La Strategia Eusair, lanciata nel 2014, ne rappresenta il braccio operativo a livello Ue: quattro i pilastri di intervento – economia blu, connettività, ambiente e turismo – per rendere l’area più integrata e competitiva.

Entrambe le iniziative rappresentano modelli di governance multilivello capaci di connettere governi, regioni, imprese e università in una rete di cooperazione strutturata.

La crescita economica del Mediterraneo passa anche – e soprattutto – da qui: dalla capacità di attrarre investimenti, favorire il dialogo tra settori produttivi, generare sinergie tra turismo, agroalimentare, tecnologie verdi e formazione. È su questo terreno che si gioca la sfida più importante: fare del Mediterraneo un’area di sviluppo condiviso, e non solo di contenimento delle crisi.

Oggi, il rischio è che i grandi forum multilaterali come il G7 – pur restando fondamentali – diventino palcoscenici di parole più che di decisioni. Serve invece uno sforzo di concretezza, che parta dai territori e coinvolga attori pubblici e privati, giovani, imprese, centri di ricerca. Non vetrine, non slogan, ma laboratori dove i 24 Paesi che si affacciano sul Mediterraneo possano riconoscersi in un progetto comune di integrazione economica, sostenibilità e pace duratura.

Il Mediterraneo è sempre stato attraversato da rotte: commerciali, culturali, religiose. Oggi è il momento di ridisegnarle. Non da soli, ma con chi vorrà percorrerle con noi, su un terreno di rispetto reciproco, pari dignità e obiettivi condivisi. In fondo, è la geografia stessa a ricordarcelo: l’Italia è lì, al centro di tutto, ponte naturale tra continenti e civiltà. Sta a noi decidere se restare spettatori del cambiamento o diventare architetti del futuro mediterraneo.

Delle sfide e opportunità dell’area si parlerà dal 25 al 28 settembre ad Olbia, in occasione del MedFest, per celebrare l’unicità dei Paesi che si affacciano sul Mediterraneo e favorire il dialogo tra istituzioni, imprese e giovani con conferenze, incontri e spettacoli



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