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Strategie Scope 3: vincoli normativi e opportunità per le aziende


Nel percorso verso la decarbonizzazione e il raggiungimento dell’obiettivo Net Zero, le strategie per la riduzione delle emissioni Scope 3 rappresentano una delle sfide più complesse per le imprese.

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Questa categoria comprende tutte le emissioni che, pur non essendo sotto il controllo diretto dell’azienda, sono strettamente connesse alle sue attività. Secondo il Carbon Disclosure Project (CDP), possono addirittura rappresentare fino al 95% dell’impronta carbonica complessiva. Sebbene questa percentuale vari a seconda del settore, si tratta comunque di una componente preponderante, troppo spesso trascurata o trattata in modo marginale nei bilanci di sostenibilità.

Strategie Scope 3: l’importanza di comprendere e misurare

Comprendere e misurare le emissioni Scope 3 è quindi un passaggio imprescindibile per qualsiasi strategia di riduzione delle emissioni credibile. Farlo significa non solo rispondere a una normativa ESG in evoluzione e soddisfare le aspettative di stakeholder sempre più attenti, ma anche rafforzare la competitività e facilitare l’accesso ai mercati.

Una volta identificate le categorie emissive più impattanti per l’azienda, è possibile sviluppare una strategia di decarbonizzazione efficace.

Le emissioni Scope 3: un quadro di rendicontazione complesso

Secondo il Greenhouse Gas Protocol (GHG Protocol), lo standard internazionale più diffuso per la contabilità delle emissioni, una strategia Scope 3 deve comprendere tutte le emissioni indirette generate lungo la catena del valore, sia a monte (upstream) che a valle (downstream).

Le 15 categorie previste includono, tra le altre, la produzione e il trasporto delle materie prime, i viaggi di lavoro, gli spostamenti casa-lavoro, la gestione dei rifiuti, l’uso e il fine vita dei prodotti venduti, i beni in leasing e gli investimenti.

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Una rendicontazione complessa che pesa sulle strategie Scope 3

È proprio l’eterogeneità di queste categorie a rendere complessa la loro rendicontazione: ciascuna richiede logiche di calcolo specifiche, spesso basate su dati difficili da reperire. Inoltre, molte aziende non hanno una visibilità completa sull’intera supply chain, e i loro fornitori potrebbero non raccogliere o non voler condividere i dati relativi alle proprie emissioni.

Strategie Scope 3

Il contesto normativo: semplificazioni, obblighi e nuovi incentivi

Negli ultimi mesi, il contesto normativo ha poi subito alcune modifiche che hanno generato non poca incertezza tra le imprese. Per fare chiarezza: il cosiddetto Pacchetto Omnibus UE, approvato definitivamente ad aprile a livello europeo, ha introdotto elementi di semplificazione, ma non ha eliminato l’obbligo di rendicontazione delle emissioni Scope 3.

Questo obbligo rimane in vigore per le imprese con oltre 1.000 dipendenti e 450 milioni di euro di fatturato, escludendo quindi le PMI. La semplificazione principale riguarda invece la possibilità di limitare il monitoraggio ai soli fornitori di primo livello (Tier 1), ovvero quelli con cui esiste un rapporto diretto.

Una semplificazione che non deve alleggerire le strategie Scope 3

Tuttavia, questa semplificazione non deve essere interpretata come un allentamento dell’impegno verso la sostenibilità. La direttiva CSRD (Corporate Sustainability Reporting Directive), pur aggiornata, continua a promuovere trasparenza e responsabilità. Inoltre, il Clean Industrial Deal, nuovo pilastro della strategia europea per la decarbonizzazione e competitività industriale, prevede incentivi pubblici e strumenti finanziari per sostenere l’innovazione sostenibile e la misurazione e monitoraggio delle emissioni.

Attenzione agli standard di mercato

Anche il mercato impone standard crescenti: grandi aziende, fondi di investimento e istituti di credito richiedono sempre più spesso dati ESG dettagliati anche a fornitori non direttamente soggetti agli obblighi normativi. Il rischio, per chi non si adegua, è quello di essere esclusi da filiere strategiche o opportunità di business.

Strategie Scope 3: la rendicontazione ESG come leva strategica

Per affrontare la complessità del calcolo delle emissioni Scope 3, le imprese devono dotarsi di strumenti digitali e metodologie adeguate al fine di raccogliere, gestire e analizzare i dati in modo coerente e integrato, nonché devono maturare competenze tecniche adeguate per applicare tali metodologie o per utilizzare tali strumenti. Inoltre, possono affidarsi a società di consulenza competenti in grado di affiancarle in questo percorso.

La stima delle emissioni si può basare sull’utilizzo di dati primari – per esempio, nella raccolta delle emissioni correlate alla supply chain, si tratta dei dati derivanti dal calcolo delle emissioni dirette da parte dei fornitori, che rappresentano emissioni Scope 3 per l’azienda – sebbene più difficili da reperire. Oppure si può basare su dati secondari derivanti da specifici database riportanti fattori emissivi medi di mercato. A patto di selezionare i database più appropriati ed aggiornati – ne esistono centinaia, applicabili specificatamente a precise situazioni – l’utilizzo di questi dati “secondari” consente di identificare le aree a maggiore impatto e pianificare interventi mirati.

Dalle strategie Scope 3 indicazioni per innovare e ottimizzare i processi

Misurare le proprie emissioni è poi un’opportunità per innovare, ottimizzare i processi e migliorare la resilienza del proprio modello di business. Tra i principali benefici per le aziende troviamo:

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  • l’ottimizzazione della supply chain, poiché identificando i fornitori più impattanti si possono orientare le politiche di approvvigionamento verso soluzioni più sostenibili;
  • l’accesso facilitato al credito e agli investimenti, dato che gli indicatori ESG sono sempre più rilevanti nella valutazione del rischio da parte di banche e fondi;
  • un ritorno positivo per la reputazione e quindi un posizionamento di mercato più competitivo.

Dalla misurazione all’azione

Conoscere le proprie emissioni Scope 3 significa prendersi la responsabilità dell’intero ciclo di vita del proprio business. Un impegno che richiede visione strategica, investimenti in tecnologie e competenze, ma che consente di costruire modelli aziendali più sostenibili e resilienti.

Per le aziende italiane – come quelle afferenti al settore manifatturiero, ma anche dei servizi – questo passaggio rappresenta una condizione essenziale per restare competitive in un contesto globale sempre più orientato alla sostenibilità. Oggi, non basta più “fare bene”: occorre dimostrarlo con dati solidi, integrando la rendicontazione ambientale nei processi decisionali e nei modelli di corporate governance.



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