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Banca d’Italia | Relazione annuale sul 2024


(AGENPARL) – Roma, 30 Maggio 2025

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(AGENPARL) – Fri 30 May 2025 esercizio
anno 2024
centotrentunesimo esercizio
Relazione annuale
Roma, 30 maggio 2025
CXXXI
Relazione annuale
anno 2024 – centotrentunesimo esercizio
Roma, 30 maggio 2025
© Banca d’Italia, 2025
Indirizzo
Via Nazionale, 91 – 00184 Roma – Italia
Telefono
Sito internet
http://www.bancaditalia.it
Tutti i diritti riservati.
È consentita la riproduzione a fini didattici e non commerciali, a condizione che venga citata la fonte
ISSN 1972-845X (stampa)
ISSN 2280-4129 (online)
Grafica e stampa a cura della Divisione Editoria e stampa della Banca d’Italia in Roma
Stampato nel mese di maggio 2025
Il bilancio della Banca d’Italia è disponibile sul sito internet dell’Istituto (www.bancaditalia.it).
L’Appendice alla Relazione annuale, contenente le tavole statistiche, le note metodologiche, la descrizione dei principali
provvedimenti in materia economica, il glossario e il siglario, è disponibile sul sito internet della Banca d’Italia.
INDICE
L’ECONOMIA INTERNAZIONALE
L’economia mondiale e le relazioni internazionali
Lo scenario macroeconomico internazionale
La finanza internazionale e le materie prime
La cooperazione internazionale
Riquadro: La situazione debitoria dei paesi poveri
L’ECONOMIA DELL’AREA DELL’EURO
L’economia e le politiche di bilancio dell’area dell’euro
La fase ciclica
I prezzi e i costi
I mercati finanziari
Le politiche di bilancio
Riquadro: La spesa per la difesa nei paesi della UE
La politica monetaria nell’area dell’euro
L’azione di politica monetaria
Riquadro: La politica monetaria nell’area dell’euro e l’approccio guidato dai dati
Le operazioni di politica monetaria
I tassi di interesse, le aspettative di inflazione e il cambio dell’euro
Riquadro: Gli andamenti dei tassi di interesse nell’area dell’euro:
determinanti e reattività alle notizie macroeconomiche
La moneta e il credito
Riquadro: La trasmissione dell’allentamento della politica monetaria nell’area
dell’euro attraverso il canale bancario
L’ECONOMIA ITALIANA
Il quadro di insieme
Gli andamenti nel 2024
Riquadro: Crescita del PIL e inflazione nel 2024: le determinanti dello scostamento
tra valori realizzati e valori previsti
Riquadro: Le recenti evoluzioni dei divari tra Centro Nord e Mezzogiorno
BANCA D’ITALIA
Relazione annuale
Riquadro: L’impatto del costo dell’energia sul settore industriale
Riquadro: Lo stato di attuazione del Piano nazionale di ripresa e resilienza
I primi mesi del 2025
Le famiglie
Il reddito e la sua distribuzione
I consumi
Riquadro: L’utilizzo dell’intelligenza artificiale generativa da parte delle famiglie italiane
La ricchezza immobiliare e il mercato delle abitazioni
La ricchezza e gli investimenti finanziari
Riquadro: Le attività finanziarie delle famiglie italiane nel periodo 2010-24
L’indebitamento
Le imprese
Gli andamenti settoriali e la struttura del sistema produttivo
Gli investimenti
La produttività e l’innovazione
Riquadro: Il sistema dell’innovazione in Italia nel confronto internazionale
Riquadro: L’utilizzo dell’intelligenza artificiale nelle imprese italiane
Riquadro: L’esposizione delle imprese manifatturiere italiane ai rischi idrogeologici
La redditività e il saldo finanziario
Le fonti di finanziamento
Riquadro: I prestiti bancari sindacati alle società non finanziarie
Il mercato del lavoro
L’occupazione
L’offerta di lavoro
Riquadro: Il recente andamento del tasso di attività in Italia:
determinanti demografiche e contesto economico
Riquadro: Immigrazione e politiche migratorie in Italia e nei principali paesi
dell’area dell’euro
La domanda di lavoro
I prezzi e i costi
I prezzi al consumo nel 2024
I prezzi alla produzione
Il costo del lavoro
Le prospettive dei costi e dell’inflazione nel 2025
L’interscambio con l’estero, la competitività e la bilancia dei pagamenti
Le esportazioni e le importazioni
Riquadro: L’andamento delle esportazioni dell’Italia nell’ultimo quinquennio
e le loro prospettive
Relazione annuale
BANCA D’ITALIA
La competitività di prezzo
La bilancia dei pagamenti e la posizione patrimoniale sull’estero
10. La finanza pubblica
La finanza pubblica nel 2024
Riquadro: Gli effetti redistributivi dei servizi pubblici in Italia
Le prospettive
Riquadro: Modifiche all’Irpef e altri interventi sul cuneo fiscale nell’ultima legge
di bilancio: un’analisi di microsimulazione
11. Il contesto istituzionale e la regolamentazione dell’attività di impresa
I fattori di contesto
Riquadro: Un indicatore della qualità del contesto istituzionale
La concorrenza e la regolamentazione dei mercati
Riquadro: Il commercio al dettaglio tra regolamentazione e commercio elettronico
La regolamentazione dell’attività di impresa
Riquadro: La remunerazione degli amministratori delegati e i fattori ESG
12. Gli intermediari creditizi e gli investitori istituzionali
La struttura dell’industria bancaria
Le attività delle banche
Riquadro: La dinamica dei finanziamenti bancari alle grandi e piccole imprese
La raccolta bancaria
La redditività e il patrimonio delle banche
La digitalizzazione e la transizione climatica dell’industria bancaria
Gli altri intermediari creditizi, i confidi e gli istituti di pagamento
Gli investitori istituzionali
13. I mercati monetari e finanziari
I mercati monetari e dei titoli pubblici
Riquadro: La domanda e l’offerta di titoli di Stato italiani nella fase di riduzione
del bilancio dell’Eurosistema
Il mercato delle obbligazioni delle imprese e delle banche
Il mercato azionario
Le infrastrutture di mercato
Riquadro: L’espansione dei servizi di clearing della controparte centrale italiana
SEZIONE MONOGRAFICA
14. Il commercio internazionale tra frammentazione e digitalizzazione
Le fasi del commercio internazionale: dalla nascita della globalizzazione al protezionismo
del XXI secolo
BANCA D’ITALIA
Relazione annuale
La frammentazione geopolitica dell’interscambio commerciale
Riquadro: Sicurezza nazionale e nuove politiche industriali nel settore dei chip
Le nuove politiche protezionistiche degli Stati Uniti
Il commercio di servizi e la digitalizzazione
Le implicazioni per l’economia italiana
Riquadro: La reazione delle imprese esportatrici italiane alla Brexit
AMMINISTRAZIONE DELLA BANCA D’ITALIA
CONSIDERAZIONI FINALI (in fascicolo separato)
AVVERTENZE
Segni convenzionali:
il fenomeno non esiste;
il fenomeno esiste, ma i dati non si conoscono;
i dati non raggiungono la cifra significativa dell’ordine minimo considerato;
i dati sono statisticamente non significativi.
Le elaborazioni dei dati, salvo diversa indicazione, sono eseguite dalla Banca d’Italia; per i dati dell’Istituto si omette
l’indicazione della fonte.
Nelle figure con differenti scale di destra e di sinistra viene richiamata in nota la sola scala di destra.
Per la denominazione dei paesi indicati in sigla all’interno della pubblicazione,
cfr. il Manuale interistituzionale di convenzioni redazionali dell’Unione europea
Pubblicazione aggiornata con i dati disponibili al 16 maggio 2025, salvo diversa indicazione.
Relazione annuale
BANCA D’ITALIA
L’ECONOMIA INTERNAZIONALE
1. L’ECONOMIA MONDIALE E LE RELAZIONI
INTERNAZIONALI
Nel 2024 la crescita globale è rimasta moderata e disomogenea. L’attività economica
si è espansa nei paesi avanzati, trainata dagli Stati Uniti; nelle economie emergenti ha
lievemente rallentato, mantenendo comunque ritmi di crescita elevati. È proseguito
il calo dell’inflazione nelle principali economie avanzate, creando le condizioni per
l’avvio di una graduale normalizzazione della politica monetaria nella seconda metà
dell’anno da parte della Banca centrale europea, della Federal Reserve e della Bank of
England. Al contrario, in Giappone il rialzo dell’inflazione ha indotto la banca centrale
ad aumentare i tassi di interesse per la prima volta da quasi due decenni. Tra i principali
paesi emergenti, Brasile e Turchia hanno mantenuto politiche monetarie restrittive per
contrastare un’inflazione ancora elevata, mentre in Cina, nonostante le diverse misure
espansive adottate dalla banca centrale, la dinamica dei prezzi è rimasta molto debole,
con un’inflazione al consumo intorno allo zero dagli inizi del 2023.
Nei primi mesi del 2025 il forte aumento dell’incertezza sulle politiche commerciali
e sul futuro delle relazioni internazionali, legato all’orientamento di maggior chiusura
da parte della nuova amministrazione statunitense, ha intaccato le prospettive di crescita
dell’economia globale per l’anno in corso. L’annuncio, lo scorso 2 aprile, di dazi sulle
importazioni negli Stati Uniti superiori alle attese ha innescato un calo degli indici
azionari e vendite di titoli del Tesoro statunitense. I mercati azionari hanno tuttavia
recuperato le perdite grazie alla sospensione per 90 giorni di alcune delle misure
annunciate e all’avvio delle negoziazioni con la Cina e con altri paesi; si sono invece
mantenuti elevati i tassi di interesse a lungo termine negli Stati Uniti. Questi andamenti,
e il contestuale deprezzamento del dollaro, rivelano le preoccupazioni dei mercati
per le conseguenze di un esteso e prolungato conflitto commerciale, oltre che per un
ulteriore peggioramento delle finanze pubbliche negli Stati Uniti. In tale congiuntura
le quotazioni dell’oro hanno toccato nuovi massimi storici, consolidandone il ruolo di
bene rifugio. L’incertezza continua a rimanere elevata anche per il susseguirsi di annunci
di nuovi dazi, sospensioni temporanee e accordi parziali da parte dell’amministrazione
statunitense.
Nel 2024 la cooperazione economica e finanziaria internazionale nelle sedi del
G7 e del G20 ha affrontato temi strategici come la crescita sostenibile, la sicurezza
energetica, la riforma delle istituzioni finanziarie internazionali e il sostegno ai paesi
più vulnerabili e altamente indebitati; i lavori si sono svolti in un contesto segnato dalla
crescente polarizzazione geopolitica e dalla pressione delle economie emergenti per
accrescere il proprio peso negli assetti multilaterali costruiti nel secondo dopoguerra.
Le politiche avviate all’inizio del 2025 dall’amministrazione statunitense, fortemente
imperniate sulla sicurezza economica nazionale, rischiano di accentuare la tendenza alla
frammentazione commerciale e di rendere più difficile un coordinamento efficace tra
blocchi di paesi con interessi divergenti.
BANCA D’ITALIA
Relazione annuale
Lo scenario macroeconomico internazionale
Crescita e commercio mondiale. – Nel 2024 l’economia globale ha registrato una crescita
moderata e disomogenea (tav. 1.1). Tra i paesi avanzati, l’espansione è stata più forte negli
Stati Uniti, grazie all’aumento degli investimenti nei settori tecnologico e manifatturiero e
alla dinamica robusta dei consumi privati, favorita dal buon andamento dell’occupazione e
dai guadagni ottenuti attraverso il forte apprezzamento dei titoli azionari. Nell’area dell’euro
e nel Regno Unito la crescita è stata più contenuta (cfr. il capitolo 2). In Giappone l’attività
economica ha ristagnato, rallentata dal lieve calo dei consumi, dalla debole dinamica degli
investimenti fissi e dal contributo negativo della domanda estera.
Tavola 1.1
PIL e inflazione nei principali paesi avanzati ed emergenti
(valori percentuali)
PAESI
Inflazione (1)
Paesi avanzati
Giappone
Regno Unito
Stati Uniti
Area dell’euro
Mondo
Paesi emergenti e in via di sviluppo
Brasile
India
Russia
Fonte: FMI, World Economic Outlook, aprile 2025 e dati nazionali.
(1) Indice dei prezzi al consumo. Per l’area dell’euro, indice armonizzato dei prezzi al consumo.
Tra le principali economie emergenti, l’India ha registrato l’espansione del prodotto
più ampia nonostante l’indebolimento degli investimenti privati. In Cina la domanda
interna è stata frenata dal protrarsi della crisi del settore immobiliare e dal deterioramento
della fiducia dei consumatori, mentre le esportazioni hanno accelerato negli ultimi mesi
dell’anno, contribuendo al raggiungimento dell’obiettivo di crescita del 5 per cento. Sulle
economie a basso reddito, cresciute meno dei paesi emergenti, continua a pesare l’elevato
debito pubblico, a cui si è associato un calo degli afflussi finanziari.
Il commercio globale nel 2024 ha continuato a risentire delle tensioni geopolitiche: il
confronto tra Stati Uniti e Cina ha portato a nuove limitazioni al trasferimento di tecnologie
avanzate (cfr. il riquadro: Sicurezza nazionale e nuove politiche industriali nel settore dei chip
del capitolo 14), mentre la crisi in Medio Oriente ha influito sulla sicurezza delle rotte di
navigazione nel Mar Rosso, determinando maggiori costi di trasporto. Questi fattori hanno
contribuito a rallentare gli scambi commerciali, la cui crescita è risultata debole.
Secondo le più recenti stime dell’FMI, l’attività economica globale nel 2025
si ridurrà più di quanto atteso all’inizio dell’anno. A tale revisione hanno contribuito
Relazione annuale
BANCA D’ITALIA
soprattutto il prospettato aumento delle barriere commerciali e l’incertezza sulle politiche
economiche della nuova amministrazione statunitense, fattori che provocherebbero una
diminuzione degli investimenti e dei flussi commerciali e finanziari globali. Tra febbraio e
marzo del 2025 gli Stati Uniti hanno introdotto nuovi dazi alle importazioni provenienti
da alcuni paesi e per specifiche categorie di beni, misure che sono state significativamente
inasprite ed estese verso tutti i partner commerciali all’inizio di aprile. Anche tenendo
conto delle successive sospensioni temporanee, i dazi introdotti hanno riportato le
barriere commerciali degli Stati Uniti al livello più alto dal protezionismo degli anni
trenta. Nel primo trimestre dell’anno le importazioni negli Stati Uniti sono fortemente
cresciute, anche a causa dell’atteso incremento dei prezzi dei beni provenienti dall’estero
dovuto ai dazi, causando una lieve contrazione del PIL rispetto al trimestre precedente.
Alla revisione delle stime sulla crescita globale contribuiscono anche le perduranti
tensioni legate ai conflitti in Ucraina e nel Medio Oriente (cfr. Bollettino economico, 1 e 2,
2024), che alimentano la tendenza alla frammentazione commerciale, con ulteriori effetti
negativi sull’attività economica (cfr. il capitolo 14).
Nel medio termine la crescita
potenziale dell’economia globale
stimata dall’FMI si ridurrebbe a circa il
3 per cento, mezzo punto percentuale
in meno rispetto alla media del periodo
che va dalla fine degli anni novanta
sino alla pandemia di Covid-19. Oltre
all’invecchiamento della popolazione
in molte economie avanzate e
in Cina, vi inciderebbe anche la
frammentazione degli scambi, che
limita la diffusione dell’innovazione
e l’adozione di tecnologie avanzate.
Questi fattori accrescerebbero anche i
rischi per la sostenibilità delle finanze
pubbliche: entro la fine del decennio
il rapporto tra il debito pubblico e
il PIL globale raggiungerebbe il 100
per cento, principalmente per effetto
dell’aumento previsto negli Stati
Uniti e in Cina (fig. 1.1).
Figura 1.1
Debito pubblico nelle economie avanzate
e in quelle emergenti e in via di sviluppo
(in percentuale del PIL)
’07 ’08 ’09 ’10 ’11 ’12 ’13 ’14 ’15 ’16 ’17 ’18 ’19 ’20 ’21 ’22 ’23 ’24 ’25 ’26 ’27 ’28 ’29 ’30
Stati Uniti
economie avanzate (1)
economie emergenti e in via di sviluppo (2)
Fonte: elaborazioni su dati FMI.
(1) Inclusi gli Stati Uniti. – (2) Inclusa la Cina.
Inflazione e politiche monetarie. – L’inflazione nelle principali economie avanzate
ha continuato a scendere rispetto ai picchi raggiunti nel biennio 2022-23 (fig. 1.2.a),
avvicinandosi ai livelli compatibili con gli obiettivi delle banche centrali. La BCE,
la Bank of England e la Federal Reserve hanno iniziato a ridurre i tassi di politica
monetaria nel secondo semestre del 2024 (fig. 1.3.a); negli Stati Uniti, dove l’inflazione
di fondo è diminuita più lentamente (fig. 1.2.b) in un contesto di crescita robusta, la
banca centrale ha allentato le condizioni monetarie con maggiore gradualità di quanto
inizialmente atteso dai mercati. Fa eccezione il Giappone, dove il rialzo dell’inflazione,
dovuto inizialmente all’aumento dei prezzi delle materie prime importate, ha creato le
condizioni perché la banca centrale desse avvio a un processo graduale di aumento dei
tassi ufficiali, portandoli al livello più alto da 17 anni.
BANCA D’ITALIA
Relazione annuale
Figura 1.2
Tassi di inflazione nelle principali economie (1)
(dati mensili; valori percentuali)
(a) inflazione complessiva
(b) inflazione di fondo (2)
area dell’euro
Regno Unito
Stati Uniti
Giappone
area dell’euro
Regno Unito
Stati Uniti
Fonte: statistiche nazionali.
(1) Indice dei prezzi al consumo, variazioni percentuali sul periodo corrispondente dell’anno precedente. – (2) Inflazione misurata al netto delle
variazioni dei prezzi dei beni energetici e alimentari.
Tra i paesi emergenti l’inflazione rimane molto debole in Cina, nonostante i
ripetuti interventi espansivi da parte delle autorità in risposta alla fiacca domanda
interna e alla crisi nel settore immobiliare; resta invece elevata in Argentina, Brasile
e Turchia, costringendo le banche centrali a mantenere condizioni monetarie
restrittive.
Figura 1.3
Tassi di interesse ufficiali e bilanci delle principali banche centrali
(a) tassi di interesse ufficiali (1)
(dati giornalieri; valori percentuali)
(b) bilanci delle principali banche centrali:
totale attività (2)
(dati settimanali; numeri indice)
area dell’euro
Regno Unito
Stati Uniti
settimane
Giappone
Federal Reserve
Bank of England
Eurosistema
Fonte: per il pannello (a), BCE e statistiche nazionali; per il pannello (b), BCE, Bank of England e Federal Reserve.
(1) Per l’area dell’euro, tasso sulle operazioni di rifinanziamento principali; per la Cina, tasso reverse repo a 7 giorni; per il Giappone, tasso sui
prestiti interbancari overnight non collateralizzati; per il Regno Unito, tasso sulle riserve delle banche commerciali presso la Bank of England; per
gli Stati Uniti, intervallo obiettivo per il tasso sui federal funds. – (2) L’indice è fissato pari a 100 per l’ultimo dato disponibile antecedente il primo
rialzo dei tassi ufficiali da parte delle banche centrali riportate nella figura; questo dato corrisponde al 15 luglio 2022 per l’Eurosistema, all’11 marzo
2022 per la Federal Reserve e al 10 dicembre 2021 per la Bank of England. Sull’asse delle ascisse è riportata la progressione delle settimane.
Relazione annuale
BANCA D’ITALIA
Le banche centrali dei paesi avanzati hanno continuato a ridurre i loro bilanci
(quantitative tightening; fig. 1.3.b). La Federal Reserve ha tuttavia diminuito il
ritmo di tale contrazione per garantire un livello sufficientemente ampio di
riserve nel sistema, prevenendo così eventuali tensioni sul mercato interbancario.
L’Eurosistema, la Federal Reserve e la Bank of England hanno ridotto i propri
bilanci di circa un quarto rispetto ai picchi raggiunti nel 2022 (cfr. il capitolo 3). La
Banca del Giappone ha abbandonato il controllo rigido della curva dei rendimenti
e alcuni programmi di acquisto di titoli; ha inoltre avviato la diminuzione degli
acquisti di titoli di Stato. La banca centrale cinese ha rafforzato le iniezioni di
liquidità attraverso riduzioni del coefficiente di riserva obbligatoria e misure di
credito agevolato per sostenere il settore immobiliare e le piccole imprese.
La finanza internazionale e le materie prime
La finanza internazionale. – Nel 2024 le condizioni sui mercati finanziari globali si
sono mantenute distese, anche grazie al graduale allentamento delle politiche monetarie
nelle principali economie avanzate e alla solidità dell’economia statunitense.
Negli Stati Uniti i mercati azionari hanno beneficiato del buon andamento degli
utili e del dinamismo delle imprese tecnologiche, il cui peso nella capitalizzazione
complessiva dell’indice di borsa Standard & Poor’s 500 (S&P 500) è ulteriormente
aumentato; episodi di correzione, come quello osservato in agosto in corrispondenza
dell’uscita di dati macroeconomici statunitensi inferiori alle attese (cfr. Bollettino
economico, 4, 2024), sono rimasti temporanei. Gli spread sulle obbligazioni societarie
statunitensi nel segmento investment grade (BBB) e in quello high-yield (rating
inferiore) si sono mantenuti su livelli storicamente bassi. I mercati azionari si sono
apprezzati anche nelle altre principali economie avanzate (soprattutto in Giappone,
guidati da utili elevati) ed emergenti; sono inoltre aumentati i flussi finanziari verso
queste ultime economie, in particolare la Cina.
I rendimenti dei titoli pubblici sono saliti nelle economie avanzate (fig. 1.4.a);
sono diminuiti in Cina e in India, dove hanno raggiunto un minimo storico, mentre
sono cresciuti in Brasile in seguito all’aumento dei tassi ufficiali e al peggioramento
del quadro dei conti pubblici. Il dollaro si è apprezzato rispetto alle principali valute
(fig. 1.4.b), sostenuto dal differenziale di crescita atteso con gli altri paesi avanzati e
dal favore degli investitori, in un contesto di maggiori tensioni internazionali. Dopo
le elezioni presidenziali negli Stati Uniti queste dinamiche si sono rafforzate, con
nuovi aumenti dei tassi di interesse e dei corsi azionari statunitensi e un ulteriore
apprezzamento del dollaro.
Il 2 aprile del 2025 l’amministrazione statunitense ha annunciato un drastico
aumento dei dazi verso quasi tutti i paesi, commisurato al loro avanzo commerciale
nei confronti degli Stati Uniti (“dazi reciproci”). Tale annuncio ha peggiorato il clima
di fiducia e indotto una revisione al ribasso delle prospettive di crescita negli Stati
Uniti. A differenza di precedenti fasi di incertezza globale, i rendimenti dei titoli
del Tesoro statunitense, che erano scesi nel primo trimestre, sono saliti; all’aumento
hanno anche contribuito i timori di un ulteriore deterioramento delle finanze
pubbliche statunitensi. La maggiore incertezza ha provocato il deprezzamento del
dollaro e sostenuto il prezzo dell’oro, che ha rafforzato il proprio ruolo di bene
BANCA D’ITALIA
Relazione annuale
rifugio. Le tensioni, inoltre, hanno indotto un marcato calo delle quotazioni nei
mercati azionari a livello internazionale (fig. 1.5.a) e un aumento della volatilità sui
mercati finanziari, che ha raggiunto i livelli più elevati dalla pandemia (fig. 1.5.b). In
seguito alla decisione dell’amministrazione statunitense di sospendere per 90 giorni
alcune delle misure annunciate il 2 aprile e all’avvio delle negoziazioni commerciali
con il Regno Unito e con la Cina, i mercati azionari hanno recuperato le perdite e la
volatilità è tornata su livelli contenuti.
Figura 1.4
Tassi di interesse a lungo termine e tassi di cambio
(dati settimanali)
(a) rendimenti delle obbligazioni
pubbliche decennali
(valori percentuali)
(b) cambi bilaterali nominali
(indici: 1° gen. 2020=100)
Germania
Regno Unito
Stati Uniti
Giappone
euro/dollaro
yen/dollaro
yuan/dollaro
sterlina/dollaro
Fonte: elaborazioni su dati LSEG.
Figura 1.5
Indici azionari nei principali mercati e indice di volatilità dei mercati
(dati settimanali; indici: 1° gen. 2020=100)
(a) indici azionari (1)
(b) CBOE VIX (2)
2024 ’25
2024 ’25
area dell’euro: Dow Jones Euro STOXX
Cina: Shangai Shenzen CSI 300
Giappone: Nikkei 225
Regno Unito: FTSE All Share
Stati Uniti: S&P 500
Fonte: BCE, LSEG e statistiche nazionali.
(1) Indici azionari espressi in valuta locale. – (2) Il Chicago board options exchange volatility index (CBOE VIX) è un indicatore sintetico
della volatilità attesa del mercato azionario statunitense a 30 giorni, derivato dai prezzi delle opzioni sull’indice S&P 500. È comunemente
utilizzato come misura del grado di incertezza o di avversione al rischio degli investitori.
Relazione annuale
BANCA D’ITALIA
Le materie prime. – Nella prima parte del 2024 il prezzo del Brent ha registrato un
aumento (fig. 1.6.a) riconducibile ai rischi geopolitici, successivamente compensato
da una domanda più debole, in particolare dalla Cina, e da un’ampia offerta
proveniente specialmente dai produttori non appartenenti all’OPEC (fig. 1.6.b);
ha poi terminato l’anno su valori vicini a quelli prevalenti nell’anno precedente (75
dollari al barile). Nei primi mesi del 2025, dopo un nuovo temporaneo aumento,
è sceso bruscamente in aprile, riflettendo l’indebolimento delle prospettive
macroeconomiche e del commercio mondiale, nonché la graduale riduzione dei
tagli di produzione annunciata dall’OPEC. I futures sul Brent indicano prezzi poco
superiori a 60 dollari al barile entro la fine dell’anno; pressioni al ribasso potrebbero
anche provenire dal calo progressivo della domanda di petrolio in Cina, a seguito
della crescente diffusione di autoveicoli elettrici.
Figura 1.6
Indicatori del mercato del petrolio
(a) prezzo della qualità Brent e volatilità
(dati medi mensili)
(b) sbilancio tra offerta e domanda mondiale
di petrolio e andamento delle scorte
(dati mensili; milioni di barili al giorno)
Brent (1)
indice di volatilità (2) (3)
eccesso di domanda
produzione mondiale (3)
domanda mondiale (3)
Fonte: elaborazioni su dati Energy Information Administration (EIA), International Energy Agency (IEA) e LSEG.
(1) Dollari al barile. – (2) Volatilità implicita dei contratti futures (CBOEOVX); punti percentuali. – (3) Scala di destra.
In Europa dall’inizio del 2024 il prezzo del gas naturale è aumentato, in un
contesto di forte volatilità. A partire dallo scorso autunno i prezzi hanno ulteriormente
accelerato, toccando circa 60 euro per megawattora all’inizio di quest’anno (fig. 1.7.a).
Vi hanno contribuito sia fattori di offerta, tra cui la chiusura per manutenzione
di alcuni impianti di produzione e il mancato rinnovo di un contratto di transito
di gas russo destinato all’Europa attraverso l’Ucraina, sia fattori di domanda,
prevalentemente legati alle condizioni climatiche. Dal febbraio scorso si è osservata
una graduale diminuzione, dovuta all’affievolirsi delle pressioni al rialzo e ai timori
sulla domanda globale alimentati dalle dispute commerciali in corso (cfr. Bollettino
economico, 2, 2025).
Nel 2024 la produzione energetica europea da fonti rinnovabili e nucleare è
aumentata. Vi hanno contribuito, nel caso delle energie rinnovabili, ampi incrementi
della capacità produttiva incoraggiati dalle politiche europee di decarbonizzazione
e dai minori costi di installazione; nel caso di quella nucleare, il completamento
BANCA D’ITALIA
Relazione annuale
delle opere di manutenzione dei reattori francesi. L’aumento della produzione da
fonti meno inquinanti ha inciso sul calo della domanda dei permessi di emissione
di CO₂ nel sistema di scambio di quote di emissione di inquinanti e di gas a effetto
serra nell’Unione europea (EU Emissions Trading System, ETS), i cui prezzi si sono
ridotti di circa il 20 per cento (fig. 1.7.b).
Figura 1.7
Prezzi del gas e dei certificati di emissione di CO2
(dati settimanali)
(a) gas
(euro per megawattora)
(b) certificati di emissione di CO2
(euro per certificato)
prezzo TTF (1)
prezzo JKM-GNL (2)
prezzo Henry Hub (3)
Fonte: BCE, LSEG e statistiche nazionali.
(1) Prezzo del gas naturale europeo scambiato sul mercato Title Transfer Facility (TTF) nei Paesi Bassi. – (2) Prezzo globale di riferimento
del gas naturale liquefatto (GNL) scambiato su Japan Korea Marker (JKM). – (3) Prezzo del gas distribuito attraverso il polo Henry Hub,
in Louisiana (Stati Uniti). Scala di destra.
La cooperazione internazionale
Nel 2024 la cooperazione internazionale ha continuato a confrontarsi con sfide
rilevanti, accentuate dai cambiamenti in atto negli equilibri geopolitici e dalla crescente
polarizzazione tra blocchi di paesi con interessi divergenti. Il protrarsi della guerra in
Ucraina, l’inasprimento dei conflitti in Medio Oriente, la rivalità strategica tra Stati
Uniti e Cina, nonché le rivendicazioni di un maggior peso della propria rappresentanza
da parte dei BRICS e del cosiddetto Sud globale hanno esercitato forti pressioni
sull’architettura multilaterale costruita nel secondo dopoguerra. Tale contesto complica
gli sforzi dei principali organismi quali il G7 e il G20 per un efficace coordinamento
delle politiche economiche e finanziarie e per affrontare sfide complesse, come quelle
provenienti dai cambiamenti climatici, dalla crescente pressione sul debito nei paesi
vulnerabili e dalle richieste di una governance più inclusiva.
Nell’ambito della Presidenza italiana del G7, il filone di lavoro sui temi economici
e finanziari (Finance Track) ha posto al centro dell’agenda il tema della sicurezza
economica, intesa come la capacità di proteggere l’economia da rischi sistemici di
natura geopolitica, tecnologica e ambientale. Le priorità hanno riguardato il sostegno
all’Ucraina, il rafforzamento della stabilità finanziaria anche in relazione ai rischi
derivanti dalle nuove tecnologie informatiche, la promozione di una transizione verde
equa e il rafforzamento della resilienza delle catene globali del valore.
Relazione annuale
BANCA D’ITALIA
Tra le principali iniziative figura il lancio dell’Extraordinary Revenue Acceleration
(ERA), un meccanismo che prevede l’utilizzo dei proventi generati dalle attività
finanziarie della Banca centrale russa, immobilizzate a seguito delle sanzioni, per il
rimborso di prestiti a favore dell’Ucraina per un importo complessivo di circa 50
miliardi di dollari. Secondo i dati della Commissione europea e del Kiel Institute for the
World Economy, gli aiuti bilaterali erogati a favore dell’Ucraina fino a dicembre 2024,
inclusi quelli destinati al sostegno militare, ammontavano a poco oltre 300 miliardi, di
cui circa la metà forniti dall’Unione europea e dai suoi paesi membri e due quinti dagli
Stati Uniti. A questi si affiancano le erogazioni dell’FMI nell’ambito dell’Extended
Fund Facility (EFF), che alla fine del 2024 raggiungevano poco meno di 10 miliardi.
Sul fronte della sicurezza cibernetica, il G7 ha rafforzato il coordinamento tra autorità finanziarie attraverso il Cyber Expert Group (CEG), che ha organizzato un’esercitazione congiunta sulla risposta ad attacchi informatici sistemici, coinvolgendo 23
autorità finanziarie. Nell’ambito della Presidenza italiana, la Banca d’Italia ha promosso la discussione all’interno del CEG sulla migrazione sicura verso tecnologie
quantum safe1, evidenziando l’opportunità di un coordinamento tra autorità finanziarie
e settore privato. Un rapporto elaborato dall’High-Level Panel of Experts on Artificial
Intelligence del G7 ha fornito orientamenti condivisi per promuovere un uso responsabile dell’intelligenza artificiale nei sistemi finanziari, sottolineando l’importanza di
garantire trasparenza algoritmica, sorveglianza umana e gestione dei rischi sistemici.
In ambito climatico e industriale, la Presidenza italiana ha promosso la condivisione
tra i membri del G7 di approcci e strumenti per conciliare decarbonizzazione,
coesione sociale e competitività industriale2. In Europa misure come il Meccanismo
di adeguamento del carbonio alle frontiere (Carbon Border Adjustment Mechanism,
CBAM) e l’estensione del sistema europeo di scambio delle emissioni ETS ad
altri settori ad alta intensità energetica pongono sfide rilevanti alla competitività
dell’industria, richiedendo un’attenta calibrazione degli strumenti a tutela delle attività
più esposte. Tra le misure discusse figura anche la proposta di istituire un partenariato
pubblico-privato per la protezione assicurativa contro i disastri naturali (public-private
insurance programme against natural hazards), volto a migliorare la capacità progettuale,
promuovere la prevenzione e attrarre capitali privati verso investimenti in infrastrutture
resilienti, soprattutto nei contesti più esposti ai rischi climatici.
Sul fronte della cooperazione con l’Africa, l’iniziativa del G7 denominata Resilient
and Inclusive Supply-Chain Enhancement (RISE), avviata sotto la Presidenza giapponese
nel 2023, ha ricevuto nuovo impulso durante la Presidenza italiana con la definizione
di strutture di coordinamento per la realizzazione dei progetti. Sono state sviluppate
road map nazionali in Malawi, Repubblica Democratica del Congo e Zambia, con
focus su argomenti quali batterie, estrazione sostenibile di materie prime critiche e
creazione di opportunità occupazionali e industriali nei territori coinvolti. Il potenziale
complessivo di investimento è stimato in circa 20 miliardi di dollari. Il finanziamento
Tecnologie crittografiche progettate per garantire la sicurezza delle comunicazioni anche contro minacce
future legate all’informatica quantistica; cfr. G7 Cyber Expert Group statement on planning for the opportunities
and risks of quantum computing, settembre 2024.
Per maggiori dettagli, cfr. G7 Finance Track, Finance Track menu of policy options for a just transition
towards net zero, incontro dei Ministri delle finanze e dei Governatori delle banche centrali del G7,
Stresa, 23-25 maggio 2024.
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Relazione annuale
effettivo resta subordinato a impegni volontari da parte dei partecipanti alla RISE
Partnership, tra cui paesi, organizzazioni internazionali e investitori privati, e al grado
di preparazione tecnica dei progetti. In tale ambito si inserisce anche l’iniziativa per le
infrastrutture verdi in Africa denominata Alliance for Green Infrastructure in Africa, che
collega le politiche per il clima con la sicurezza delle catene del valore e il rafforzamento
dei partenariati strategici con i paesi africani. L’iniziativa mira a mobilitare investimenti
pubblici e privati in progetti infrastrutturali sostenibili, contribuendo allo sviluppo
economico locale e al rafforzamento della resilienza a fronte del cambiamento climatico.
In parallelo, il G20 a Presidenza brasiliana ha posto l’accento sulla riforma delle
banche multilaterali di sviluppo (multilateral development banks, MDB). La G20
Roadmap towards better, bigger and more effective MDBs contiene una serie di
raccomandazioni volte a promuovere il miglioramento dei processi operativi, il
rafforzamento della capacità finanziaria e l’utilizzo di strumenti per mobilizzare
il capitale privato. Con il contributo attivo dell’Italia è stata inoltre concordata la
ventunesima ricapitalizzazione dell’Agenzia internazionale per lo sviluppo (International
Development Association, IDA; istituto della Banca Mondiale a supporto dei paesi
più poveri) per un valore complessivo di circa 100 miliardi di dollari, nonché il
quattordicesimo rifinanziamento dell’Asian Development Fund, che ha mobilitato 5
miliardi. Tuttavia il consenso su una riforma della governance delle MDB rimane fragile.
Con riferimento all’FMI, è ancora in fase di ratifica la sedicesima revisione delle
quote di partecipazione, approvata nel 2023. Il Fondo ha continuato a svolgere un ruolo
fondamentale nella gestione delle crisi macroeconomiche, erogando nuove tranche di
prestiti in favore di Ecuador, Egitto e Pakistan, oltre al supporto all’Ucraina. Ad aprile
del 2025 è stato raggiunto un accordo per un nuovo prestito di circa 20 miliardi di
dollari all’Argentina, il principale debitore dell’FMI, con un’esposizione complessiva
già superiore a 40 miliardi. Il programma sostiene la transizione verso una maggiore
flessibilità del tasso di cambio, la graduale rimozione delle restrizioni valutarie e il
consolidamento delle riserve internazionali. In generale, il tema della sostenibilità del
debito nei paesi poveri ha mantenuto un ruolo centrale nell’agenda degli organismi
internazionali (cfr. il riquadro: La situazione debitoria dei paesi poveri).
LA SITUAZIONE DEBITORIA DEI PAESI POVERI
Nei paesi poveri, un insieme composto da 73 economie a più basso reddito dove
vive oltre il 20 per cento della popolazione mondiale, il debito pubblico è passato
dal 30 al 50 per cento del PIL tra il 2012 e il 20241. Sebbene si tratti di un valore
nettamente inferiore ai picchi di oltre l’80 per cento registrati negli anni novanta, che
avevano condotto alle iniziative internazionali di cancellazione del debito (Highly
Indebted Poor Countries Initiative), le diffuse situazioni di vulnerabilità rendono
necessario un sostegno ai paesi più esposti.
I dati si riferiscono al valore mediano. In questo riquadro per paesi poveri si intendono i 73 paesi ammessi
a beneficiare delle iniziative di alleggerimento del debito promosse dal G20 (G20 Common Framework
e, in precedenza, Debt Service Suspension Initiative); per la lista dei paesi, cfr. sul sito della Banca Mondiale:
Debt Service Suspension Initiative (DSSI). Si tratta sostanzialmente dei paesi definiti a basso e medio-basso
reddito secondo la classificazione della Banca Mondiale e che ricevono assistenza finanziaria a condizioni
agevolate dalla stessa istituzione. Nel 2024 tali paesi rappresentavano il 22 per cento della popolazione
mondiale e il 2,2 per cento del PIL globale ai prezzi di mercato (5,2 a parità di potere d’acquisto).
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BANCA D’ITALIA
Molti di questi paesi si trovano a fronteggiare elevati rimborsi di passività in
scadenza, costi di rifinanziamento più onerosi e flussi di investimento dall’estero
in calo. Secondo le analisi dell’FMI e della Banca Mondiale, circa la metà ha una
posizione debitoria ad alto rischio o ha già sperimentato difficoltà di rimborso.
In media la spesa netta per interessi rispetto alle entrate pubbliche è più che
raddoppiata negli ultimi 15 anni, raggiungendo il 9 per cento nel 2024; per un
quarto dei paesi essa supera il 18 per cento (figura A, pannello a). Sono aumentati
anche i pagamenti per il servizio del debito pubblico estero2, pari a 54 miliardi di
dollari in media all’anno nel periodo 2021-23, da 27 nel decennio precedente.
Secondo la Banca Mondiale tali pagamenti saliranno a 75 miliardi nella media del
triennio 2024-26, risultando pari al 13 per cento delle entrate pubbliche, un valore
triplicato rispetto ai primi anni del decennio scorso (figura A, pannello b).
Figura A
Peso del servizio del debito pubblico dei paesi poveri (1)
(dati annuali)
(a) incidenza della spesa netta per interessi
sulle entrate pubbliche
(valori percentuali)
(b) pagamenti per il servizio del debito estero (2)
(valori percentuali e miliardi di dollari)
’08 ’10 ’12 ’14 ’16 ’18 ’20 ’22 ’24 ’26
differenza interquartile
valore mediano
in miliardi di dollari (3)
in rapporto alle entrate pubbliche (valore mediano)
Fonte: elaborazioni su dati Banca Mondiale e FMI. Le entrate pubbliche sono calcolate al netto dei trasferimenti a fondo perduto ricevuti
dall’estero.
(1) Per il 2025 e il 2026, dati stimati. – (2) Riferiti al debito estero emesso o garantito dal settore pubblico. – (3) Scala di destra.
A questi andamenti si è associato, negli ultimi anni, un calo dei flussi finanziari
dall’estero. Per il complesso dei paesi poveri, nel biennio 2022-23 i flussi netti di risorse
finanziarie da creditori privati sono stati negativi e solo parzialmente compensati
dall’aumento di quelli provenienti dalle istituzioni multilaterali (figura B, pannello a).
Il sostegno ai paesi in difficoltà mira innanzitutto a ridurre il rischio che, pur
in presenza di un debito sostenibile, l’inasprimento delle condizioni di liquidità,
se non adeguatamente gestito, possa sfociare in una crisi. A tale scopo l’FMI e la
Banca Mondiale hanno proposto un piano su tre pilastri (3-pillar approach), che
include sia interventi volti a conseguire miglioramenti strutturali delle condizioni
Definito come il debito estero emesso o garantito dal settore pubblico. Per il complesso dei paesi poveri,
a fine 2023 esso ammontava a 730 miliardi di dollari. La quota più rilevante, di poco inferiore al 50 per
cento, è nei confronti di istituzioni multilaterali (banche di sviluppo e FMI).
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Figura B
Debito estero dei paesi poveri: flussi e consistenze per tipologia di creditore (1)
(dati annuali; miliardi di dollari)
(a) flussi netti (2)
(b) consistenze
’09 ’10 ’11 ’12 ’13 ’14 ’15 ’16 ’17 ’18 ’19 ’20 ’21 ’22 ’23
creditori privati
creditori multilaterali
creditori bilaterali
totale
’09 ’10 ’11 ’12 ’13 ’14 ’15 ’16 ’17 ’18 ’19 ’20 ’21 ’22 ’23
bilaterale (Cina)
multilaterali
bilaterali (altri paesi)
private
Fonte: elaborazioni su dati Banca Mondiale.
(1) Riferiti al debito estero emesso o garantito dal settore pubblico. – (2) Flussi in entrata al netto dei rimborsi e degli interessi pagati.
finanziarie dei paesi sia misure di sostegno a più breve termine. Il primo pilastro si
focalizza sulla promozione di riforme per favorire la crescita e innalzare la capacità
di prelievo fiscale. Le stime dell’FMI indicano che esiste un notevole potenziale per
aumentare, anche con l’assistenza tecnica della comunità internazionale, le entrate
tributarie, che nei paesi più poveri si attestano mediamente su livelli inferiori al
15 per cento del PIL3. Il secondo pilastro è rappresentato dall’erogazione di prestiti a
condizioni agevolate da parte delle istituzioni internazionali. Il terzo pilastro prevede
azioni mirate alla riduzione del peso del servizio del debito, anche attraverso l’uso di
garanzie e strumenti di mitigazione del rischio volti a incoraggiare i flussi di capitale
privato. In questo ambito possono risultare utili, sotto certe condizioni, anche i debt
swaps4, che consentono di ridurre il peso del servizio del debito grazie a garanzie
prestate da partner bilaterali o multilaterali.
Negli organismi internazionali si sta inoltre discutendo la possibilità di inserire
nei contratti di prestito clausole che, al verificarsi di eventi naturali catastrofici,
accordino automaticamente una temporanea sospensione dei pagamenti per
il servizio del debito (rinviandoli senza alterarne il valore attuale netto). Simili
clausole sono state già introdotte nei contratti di alcuni creditori ufficiali; la loro
diffusione presso quelli privati richiede il superamento di una serie di ostacoli
tecnici e di mercato.
Per maggiori dettagli, cfr. Stepping up domestic resource mobilization: a new joint initiative from the IMF and
WB, rapporto dello staff dell’FMI e della Banca Mondiale per il G20, giugno 2024. Il potenziale di gettito
tributario aggiuntivo è stimato in 6,7 punti percentuali di PIL nell’ipotesi di chiusura dei divari rispetto
al paese povero con i migliori risultati, e in 9 punti in caso di miglioramento della capacità istituzionale al
livello di quella delle economie emergenti.
I debt swaps sono accordi tra un paese e uno o più creditori che consentono di ridurre i pagamenti per
il servizio del debito, in cambio dell’impegno da parte del paese stesso di indirizzare parte dei risparmi
ottenuti a favore di determinate categorie di spesa (ad es. adattamento al cambiamento climatico,
protezione dell’ambiente, istruzione, sanità). Negli anni più recenti l’interesse per questo strumento è
cresciuto, riflettendosi in un aumento del numero e del volume delle transazioni.
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Per i paesi con debito insostenibile è opportuno accelerare e rendere più efficienti
i processi di ristrutturazione condotti attraverso il G20 Common Framework, che
risentono dei costi di coordinamento di una platea di creditori più eterogenea
rispetto al passato. Da un lato, il peso dei creditori privati è aumentato dal 9 per
cento nel 2009 al 22 nel 2023 (figura B, pannello b); dall’altro, la crescita del peso
della Cina – irrilevante fino ai primi anni 2000, e pari oggi a circa il 50 per cento
del debito bilaterale dei paesi poveri (e al 14 del loro debito estero totale) – ha reso
inadeguato il tradizionale meccanismo di gestione delle ristrutturazioni imperniato
sul Club di Parigi, del quale la Cina non è membro permanente.
Finora solo quattro paesi hanno richiesto una ristrutturazione del debito
attraverso il G20 Common Framework. Per i primi due paesi, Ciad e Zambia, il processo
è risultato piuttosto lento, per le incertezze relative alle varie fasi procedurali, alle
modalità di condivisione delle informazioni fra gli attori coinvolti e all’applicazione
del principio di parità di trattamento fra i creditori. I tempi si sono ridotti per Etiopia
e Ghana, che hanno aderito successivamente al G20 Common Framework5.
Tra la conclusione di un’intesa con lo staff dell’FMI per un programma di aggiustamento e il raggiungimento
di un accordo di principio con i creditori bilaterali sono trascorsi rispettivamente 10 mesi per l’Etiopia e
13 mesi per il Ghana, contro 19 per lo Zambia e 21 per il Ciad (cfr. Global Sovereign Debt Roundtable,
3rd Cochairs Progress Report, ottobre 2024).
All’inizio del 2025 l’indirizzo impresso dalla nuova amministrazione statunitense
alla politica estera prefigura una minore ambizione delle iniziative delle istituzioni
finanziarie internazionali in materia di contrasto al cambiamento climatico, a favore di
una reinterpretazione più restrittiva dei rispettivi mandati, con possibili implicazioni
anche sul ridimensionamento dei prestiti erogati a condizioni particolarmente
favorevoli e sulla riduzione del numero di paesi beneficiari.
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L’ECONOMIA DELL’AREA DELL’EURO
2. L’ECONOMIA E LE POLITICHE DI BILANCIO DELL’AREA
DELL’EURO
Nel 2024 il prodotto interno lordo dell’area dell’euro è cresciuto dello 0,9 per
cento, grazie al contributo dei consumi, sia privati sia pubblici, e delle esportazioni,
aumentate più delle importazioni. Si sono invece ridotti gli investimenti, in un
contesto caratterizzato da un ampio margine inutilizzato della capacità produttiva e da
condizioni finanziarie ancora restrittive. La dinamica dell’attività è stata moderatamente
positiva anche nei primi mesi del 2025, sostenuta sia dall’espansione dei consumi sia
dall’anticipazione delle esportazioni verso gli Stati Uniti in vista dell’aumento dei dazi.
Nella media dello scorso anno l’inflazione al consumo si è più che dimezzata rispetto
al 2023, scendendo al 2,4 per cento, soprattutto per la marcata diminuzione dei prezzi
delle componenti di fondo e dei beni alimentari. Nei primi mesi del 2025 si è collocata
poco sopra il 2 per cento, riflettendo l’ulteriore, seppure graduale, attenuazione della
dinamica dei prezzi dei servizi; le previsioni degli analisti della Banca centrale europea
e degli organismi internazionali indicano che il calo dell’inflazione proseguirebbe nel
corso dell’anno.
Le condizioni dei mercati finanziari sono migliorate nel 2024 grazie all’accresciuta
fiducia nel percorso di ritorno dell’inflazione al 2 per cento e all’orientamento
progressivamente meno restrittivo della politica monetaria. Nella seconda metà
dell’anno, tuttavia, hanno risentito dell’incertezza politica in alcuni paesi dell’area e
dell’acuirsi delle tensioni commerciali. Dopo un ulteriore miglioramento nei primi
mesi del 2025, all’inizio di aprile l’annuncio dei nuovi dazi ha innescato una fase di
notevole aumento dell’incertezza e di turbolenze sui mercati finanziari internazionali.
Questa fase si è attenuata nelle settimane successive, grazie alla sospensione per 90
giorni delle misure annunciate e all’avvio delle negoziazioni con la Cina.
Nel 2024 il disavanzo pubblico in rapporto al prodotto nei paesi dell’area
dell’euro è diminuito di quasi mezzo punto percentuale, collocandosi al 3,1 per cento;
secondo le più recenti previsioni della Commissione europea, quest’anno sarebbe pari
al 3,2 per cento. Il peso del debito pubblico sul PIL, pari all’88,9 per cento nel 2024,
aumenterebbe nell’anno in corso di oltre un punto percentuale. Queste previsioni
tengono conto solo in parte del piano ReArm Europe/Readiness 2030, annunciato lo
scorso marzo dalla Commissione europea.
Sono proseguite le erogazioni di fondi attraverso il Dispositivo di ripresa e resilienza,
fulcro del programma Next Generation EU (NGEU): finora sono stati versati ai paesi
dell’Unione europea oltre 311 miliardi di euro, di cui 201 sotto forma di sovvenzioni.
Ad eccezione della Germania, tutti gli Stati membri della UE hanno presentato il
proprio piano strutturale di bilancio di medio termine, il documento di programmazione
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Relazione annuale
previsto dal nuovo sistema di regole europee; la maggior parte di essi ha ricevuto una
valutazione positiva dalla Commissione europea e l’approvazione dal Consiglio.
La fase ciclica
Nel 2024 il PIL dell’area dell’euro è tornato a crescere dopo cinque trimestri
consecutivi di stagnazione, seppure in misura ancora contenuta (0,9 per cento, da 0,4
nel 2023; tav. 2.1).
Tavola 2.1
PIL nell’area dell’euro e nei maggiori paesi (1)
(variazioni percentuali sul periodo precedente)
PAESI
Area dell’euro (2)
100,0
Germania
Francia
Italia
Spagna
Paesi Bassi
Belgio
Irlanda
1° trim. 2° trim. 3° trim. 4° trim. 1° trim.
Fonte: elaborazioni su statistiche nazionali e su dati Eurostat; cfr. nella sezione Note metodologiche dell’Appendice la voce Conti
nazionali: valori concatenati.
(1) Valori concatenati. Le serie trimestrali sono destagionalizzate e corrette per i giorni lavorativi. – (2) Si riferisce alla composizione a 20 paesi.
Il prodotto ha continuato a espandersi marcatamente in Spagna, dove è stato
sostenuto da tutte le componenti della domanda interna (con i consumi, in particolare,
che hanno beneficiato dell’incremento demografico dovuto all’immigrazione; cfr. il
riquadro: Immigrazione e politiche migratorie in Italia e nei principali paesi dell’area
dell’euro del capitolo 7). Il PIL è ancora cresciuto anche in Francia e in Italia, sebbene
con minore intensità; per il secondo anno consecutivo si è ridotto in Germania
penalizzato dalle difficoltà della manifattura, che si traducono in un netto calo degli
investimenti e nella flessione delle esportazioni.
Il valore aggiunto dell’area è aumentato dell’1,6 per cento nel settore terziario,
guidato dai comparti dell’informazione e della comunicazione – che riflettono
la progressiva trasformazione tecnologica in atto – e, in misura minore, dai servizi
professionali e di consulenza tecnica. L’attività del settore del commercio, alloggio e
ristorazione è tornata a espandersi anche in Germania e in Francia, dove era diminuita
significativamente nel 2023; anche il settore pubblico ha sostenuto il valore aggiunto,
specialmente in Germania. Nell’industria in senso stretto l’attività si è invece ridotta
dell’1,0 per cento, ma sarebbe cresciuta di poco più di mezzo punto percentuale al
netto del calo di oltre il 20 per cento osservato in Irlanda. Il comparto ha risentito
delle condizioni di finanziamento ancora restrittive, dei costi tuttora elevati degli
input energetici e della debolezza della domanda globale. Il valore aggiunto è inoltre
diminuito nelle costruzioni (-1,6 per cento), con andamenti differenziati fra i principali
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paesi: in flessione in Germania e in Francia e in espansione in Spagna e in Italia, dove
il netto ridimensionamento del Superbonus ha determinato una forte decelerazione.
Dal lato della domanda, alla dinamica del PIL ha contribuito soprattutto
l’aumento della spesa sia delle famiglie (1,0 per cento), per effetto del recupero dei
redditi reali, sia delle Amministrazioni pubbliche (2,7 per cento). I consumi sono
tornati a crescere in Germania e sono nuovamente saliti in Francia (stimolati da
fattori temporanei quali i Giochi olimpici di Parigi 2024) e in Italia. I tassi di interesse
elevati e un atteggiamento ancora improntato alla cautela hanno comunque sostenuto
la propensione al risparmio delle famiglie, che è salita al 15,2 per cento, a fronte di
un’accelerazione del reddito disponibile in termini reali (2,2 per cento). Al rialzo
del tasso di risparmio ha contribuito inoltre la composizione dell’incremento del
reddito delle famiglie, in parte trainato dalla componente finanziaria; a quest’ultima
si associa, diversamente da quella relativa alle retribuzioni, una minore propensione
al consumo.
Gli investimenti fissi lordi sono diminuiti dell’1,8 per cento, per effetto di ampi
margini inutilizzati della capacità produttiva, di condizioni di finanziamento ancora
restrittive e dell’incertezza sul consolidamento della ripresa. La spesa per macchinari,
attrezzature e mezzi di trasporto si è contratta del 2,6 per cento, quella per costruzioni
dell’1,4, riflettendo le difficoltà del settore residenziale che si sono tuttavia attenuate nella
seconda parte del 2024 in connessione con il riavvio del ciclo immobiliare in molti paesi.
L’interscambio commerciale ha fornito un apporto positivo all’andamento del
prodotto: le esportazioni sono aumentate dell’1,1 per cento e le importazioni dello
0,3, in entrambi i casi per effetto della dinamica positiva dei servizi, parzialmente
controbilanciata da quella negativa dei beni.
Il numero di occupati ha continuato a espandersi (1,0 per cento): la crescita
è stata sostenuta in Spagna, più moderata in Francia e in Italia e contenuta in
Germania. Negli ultimi due paesi la dinamica dell’occupazione è risultata inferiore
a quella del 2023. Nel complesso dell’area l’incremento si è concentrato nelle
costruzioni e nei servizi, in particolare quelli di informazione e comunicazione
e quelli turistici, e ha interessato unicamente i contratti a tempo indeterminato,
che risentono meno dell’andamento della congiuntura. Il tasso di occupazione
è risultato pari al 70,5 per cento in media d’anno (70,0 nel 2023). L’incidenza
delle posizioni vacanti sul totale delle posizioni lavorative è scesa ulteriormente,
collocandosi alla fine dell’anno su valori prossimi a quelli pre-pandemici. Le
indagini della Commissione europea condotte nel 2024 hanno rilevato minori
difficoltà nel reperimento della manodopera da parte delle imprese, soprattutto
nell’industria in senso stretto.
Nei primi mesi del 2025 il PIL dell’area ha continuato ad aumentare (0,3 nel
primo trimestre; fig. 2.1.a), ancora sostenuto dall’espansione dei consumi e dalla
crescita delle esportazioni di alcuni paesi (specialmente l’Irlanda); queste ultime
sono state sospinte anche dall’anticipazione delle esportazioni verso gli Stati Uniti
in previsione dell’aumento dei dazi (cfr. il capitolo 1). L’indicatore €-coin elaborato
dalla Banca d’Italia – che fornisce mensilmente una stima della dinamica del
prodotto dell’area depurata dalla volatilità di breve periodo – in aprile era su livelli
moderatamente positivi, come in marzo (fig. 2.1.b).
BANCA D’ITALIA
Relazione annuale
Figura 2.1
PIL dell’area dell’euro e €-coin
(a) PIL dell’area dell’euro e dei principali paesi
(dati trimestrali; indici: 2019=100)
(b) indicatore €-coin e PIL dell’area dell’euro
(dati mensili e trimestrali; variazioni percentuali
sul periodo precedente)
area dell’euro
Francia
Italia
Spagna
2024 ’25
Germania
-11,1
€-coin (1)
2024 ’25
Fonte: Banca d’Italia, Eurostat e Istat; cfr. nella sezione Note metodologiche dell’Appendice la voce Conti nazionali: valori concatenati.
(1) Cfr. nella sezione Note metodologiche dell’Appendice la voce Indicatori coincidenti del ciclo economico dell’area dell’euro (€-coin) e
dell’Italia (Ita-coin) e sul sito della Banca d’Italia: Indicatore ciclico coincidente dell’economia dell’area dell’euro (€-coin).
I prezzi e i costi
Nel corso del 2024 l’inflazione al consumo ha proseguito, seppure a un ritmo più
lento, il percorso di riduzione iniziato l’anno prima (cfr. Relazione annuale sul 2023),
collocandosi in media al 2,4 per cento (5,4 nel 2023); al netto delle componenti più
volatili è diminuita al 2,8 per cento (4,9 nel 2023). Fra le maggiori economie il calo
dell’inflazione è stato più marcato in Italia e in Germania (all’1,1 e al 2,5 per cento),
meno accentuato in Francia e in Spagna (al 2,3 e al 2,9 per cento).
Il principale contributo alla discesa dell’inflazione è provenuto dalla decelerazione
dei prezzi dei beni non energetici (alimentari e industriali) e, in misura minore, dalla
riduzione di quelli dell’energia. L’inflazione nei servizi ha mostrato, invece, maggiore
persistenza, riflettendo l’impatto delle pressioni salariali e soprattutto l’andamento di
alcune voci che tipicamente si adeguano con ritardo alla dinamica generale dei prezzi1.
Nei primi mesi del 2025 l’inflazione è diminuita ulteriormente, collocandosi
al 2,2 per cento in aprile (fig. 2.2), grazie al rallentamento dei prezzi dei servizi
(nonostante la marcata accelerazione di quelli del comparto turistico in coincidenza
con le festività pasquali). La componente energetica ha registrato un rialzo in gennaio
e in febbraio, a causa sia di effetti base2 sia dell’aumento dei corsi petroliferi e del
Per maggiori dettagli, cfr. il capitolo 14 nella Relazione annuale sul 2023; cfr. inoltre Monetary policy after
a perfect storm: festina lente, intervento del Governatore della Banca d’Italia F. Panetta alla 3a Conferenza
internazionale di politica monetaria organizzata dalla Banca di Finlandia Monetary policy in low and high
inflation environments, Helsinki, 26 giugno 2024; cfr. anche F. Corsello e S. Neri, “Catch me if you can”: fastmovers and late-comers in euro area inflation, SUERF Policy Brief, 1070, gennaio 2025.
Gli effetti base sono legati all’evoluzione passata dei prezzi: derivano dalle loro variazioni nel periodo iniziale
(base) rispetto al quale l’inflazione viene calcolata.
Relazione annuale
BANCA D’ITALIA
prezzo all’ingrosso di elettricità e gas, che tuttavia sono poi scesi nettamente nei mesi
primaverili. I prezzi dei beni alimentari hanno invece accelerato.
Figura 2.2
Inflazione nell’area dell’euro e contributi delle sue componenti (1)
(dati mensili; variazioni percentuali sui 12 mesi e punti percentuali)
(a) inflazione generale
(b) inflazione dei servizi
beni energetici
servizi
beni non alimentari e non energetici
beni alimentari trasformati
beni alimentari freschi
totale
servizi di alloggio e trasporto
servizi di ristorazione
latecomers (2)
altri servizi
servizi
Fonte: elaborazioni su dati Eurostat, aggiornati con i dati definitivi del 19 maggio 2025.
(1) Indice armonizzato dei prezzi al consumo (IPCA). – (2) Per latecomers si intendono le voci del paniere i cui prezzi si adeguano tipicamente
con ritardo rispetto all’indice generale (ad es. affitti, assicurazioni, servizi medici, postali, sociali, di istruzione e culturali).
Nel 2024 la dinamica retributiva è rimasta sostenuta determinando un parziale
recupero dei salari reali, a fronte del calo dell’inflazione. Le retribuzioni contrattuali3,
sospinte da numerosi rinnovi volti a recuperare il potere d’acquisto, sono cresciute
del 4,5 per cento, in linea con quanto osservato nel 2023 e in netta accelerazione
rispetto al biennio 2021-22 (2,2 per cento). L’andamento delle retribuzioni orarie
effettive (4,4 per cento) è stato interamente guidato da quello dei minimi contrattuali,
diversamente da quanto accaduto nel 2023 quando la crescita (5,6 per cento) era stata
trainata anche da significativi incrementi retributivi corrisposti oltre quelli minimi
per compensare le perdite dovute all’inflazione. La crescita, seppure inferiore all’anno
prima, è stata comunque sostenuta in Germania, in Spagna e nei Paesi Bassi, modesta
in Francia; in Italia, dove la dinamica salariale era stata particolarmente moderata
negli anni precedenti, le retribuzioni hanno accelerato (cfr. il capitolo 8).
Nel complesso dell’area il costo del lavoro per unità di prodotto ha rallentato al
4,5 per cento (6,0 nel 2023), riflettendo, oltre alla decelerazione del costo del lavoro,
il calo meno marcato della produttività rispetto all’anno precedente. L’aumento del
costo del lavoro è stato in parte assorbito dalla flessione dei margini di profitto delle
imprese, che sono ritornati sui livelli pre-pandemici in Germania, in Francia e in
Italia.
Il dato include i pagamenti una tantum.
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Relazione annuale
I mercati finanziari
Nonostante la progressiva diminuzione dell’inflazione e l’orientamento meno
restrittivo della politica monetaria della BCE, nel 2024 la media dei rendimenti
dei titoli di Stato a lungo termine dell’area dell’euro è aumentata rispetto al 2023
(fig. 2.3.a), risentendo soprattutto dei rialzi di quelli statunitensi (cfr. il capitolo 1
e il riquadro: Gli andamenti dei tassi di interesse nell’area dell’euro: determinanti e
reattività alle notizie macroeconomiche del capitolo 3). I differenziali di rendimento
rispetto ai corrispettivi titoli tedeschi si sono ridotti in diversi paesi dell’area
(fig. 2.3.b) e maggiormente in Italia, anche a fronte di una valutazione più favorevole
da parte di alcune agenzie di rating4 e della diversificazione della domanda da parte
degli investitori privati (cfr. il capitolo 13). Sono invece cresciuti in Francia dove
hanno risentito dell’incertezza politica, in seguito alla convocazione di elezioni
anticipate a fine giugno e ai timori per le prospettive delle finanze pubbliche.
Figura 2.3
Rendimenti e differenziali di rendimento dei titoli di Stato decennali
(dati di fine settimana)
(a) rendimenti
(valori percentuali)
(b) differenziali di rendimento rispetto
ai titoli tedeschi
(punti percentuali)
area dell’euro (1)
Francia
Germania
Grecia
Italia
Portogallo
Spagna
Fonte: elaborazioni su dati Bloomberg.
(1) Media dei rendimenti dei titoli benchmark a 10 anni austriaci, belgi, finlandesi, francesi, greci, irlandesi, italiani, olandesi, portoghesi,
spagnoli e tedeschi, ponderata con il PIL.
Nel 2024 i corsi azionari dell’area sono saliti di circa il 3 per cento5; la dinamica è stata
trainata dal comparto finanziario (20 per cento), che ha beneficiato della pubblicazione
di utili superiori alle aspettative e di prospettive di consolidamento nel settore. Nel
primo trimestre le quotazioni sono state sostenute anche dal forte ottimismo a livello
globale riguardo all’impatto dell’intelligenza artificiale sulla redditività di impresa.
I corsi hanno poi risentito in estate delle tensioni sui mercati finanziari internazionali
– connesse con la pubblicazione di dati macroeconomici statunitensi inferiori alle
attese (cfr. Bollettino economico, 4, 2024) – oltre che dell’incertezza politica in alcuni
Nell’autunno del 2024 le agenzie Morningstar DBRS e Fitch, pur mantenendo invariato il rating, hanno
rivisto le prospettive (outlook) da “stabili” a “positive”.
La variazione si riferisce all’indice generale azionario Datastream per l’area.
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paesi dell’area e di quella legata all’esito delle elezioni statunitensi, che hanno generato
forti aumenti della volatilità, seppure temporanei.
La forte domanda di obbligazioni societarie, in un contesto di elevati rendimenti
e tassi di default molto contenuti, ha favorito la riduzione degli spread rispetto al
2023 sia nel settore investment grade (di circa 30 punti base) sia in quello high yield
(di circa 80).
Nei primi mesi del 2025 i rendimenti dei titoli di Stato decennali dei principali
paesi dell’area sono aumentati marcatamente, a seguito sia dell’approvazione da parte
del Parlamento tedesco della creazione di un fondo per infrastrutture, sia dell’iniziativa
europea per accrescere la spesa per la difesa (cfr. il riquadro: La spesa per la difesa nei paesi
della UE). Il 2 aprile scorso l’annuncio dell’amministrazione statunitense di nuovi dazi
superiori alle attese ha indotto un aumento della volatilità e una significativa correzione
nel comparto dei titoli di Stato così come del mercato azionario. Quest’ultimo ha
recuperato nelle settimane successive, dopo la sospensione parziale dei dazi per un
periodo di 90 giorni e l’avvio delle negoziazioni con la Cina; vi ha contribuito anche
l’aumento dei flussi in entrata (cfr. il capitolo 1).
Le politiche di bilancio
I risultati nel 2024 e le previsioni per il 2025. – Dopo essersi sostanzialmente
stabilizzato nel 2023, lo scorso anno l’indebitamento netto delle Amministrazioni
pubbliche in rapporto al PIL nell’area dell’euro è sceso di quasi mezzo punto
percentuale, collocandosi al 3,1 per cento. La riduzione del disavanzo primario (0,6
punti percentuali del prodotto, all’1,2 per cento) ha più che compensato la maggiore
spesa per interessi (quasi 0,2 punti percentuali di PIL) legata all’aumento dei tassi di
politica monetaria nel biennio precedente.
L’Italia ha registrato il calo più significativo dell’indebitamento netto (quasi 4
punti percentuali, al 3,4 per cento del prodotto), essenzialmente a seguito del marcato
ridimensionamento degli effetti del Superbonus (cfr. il capitolo 10). Il disavanzo è
sceso di 0,4 punti in Spagna ed è invece aumentato in Francia e in Germania, di 0,4
e 0,3 punti, rispettivamente. Tra i principali paesi dell’area, l’Italia è stato l’unico a
conseguire un saldo primario positivo (0,4 per cento del PIL).
Il peso del debito pubblico sul prodotto nella media dei paesi dell’area si è
stabilizzato al livello del 2023 (88,9 per cento)6: il disavanzo primario e l’aggiustamento
stock-flussi (ossia l’insieme dei fattori che influenzano diversamente il debito e
l’indebitamento netto) hanno compensato l’effetto ancora favorevole (1,4 punti)
del differenziale tra la crescita del prodotto nominale e l’onere medio del debito.
L’incidenza del debito sul PIL è scesa in Spagna (di oltre 3 punti) e in Germania (di
0,4), mentre è salita in Francia (di oltre 3) e in Italia (di 0,7).
Questo valore non include quello dei titoli in circolazione emessi dalla Commissione europea per finanziare
le sovvenzioni erogate mediante il Dispositivo per la ripresa e la resilienza. Per il complesso dei paesi della UE,
tali trasferimenti ammontavano all’1,1 per cento del PIL alla fine del 2024 (0,8 alla fine del 2023).
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Relazione annuale
Nelle più recenti stime della Commissione europea7, per quest’anno in rapporto
al prodotto l’indebitamento netto nell’area dell’euro aumenterebbe lievemente (al 3,2
per cento) e il debito crescerebbe di oltre un punto percentuale.
L’orientamento della politica di bilancio. – Secondo le stime della Commissione,
l’intonazione della politica di bilancio nell’area dell’euro sarebbe stata restrittiva nel
2024 e risulterebbe sostanzialmente neutrale nell’anno corrente. Lo scorso dicembre
la Commissione8 suggeriva strategie di riduzione graduale e duratura del debito,
adeguatamente differenziate tra Stati membri; auspicava inoltre politiche volte a favorire
un calo dell’evasione fiscale e uno spostamento degli oneri fiscali dalla tassazione del
lavoro ad altre imposte meno distorsive, come quelle ambientali e patrimoniali.
Queste previsioni tengono conto solo in parte degli effetti di due eventi occorsi
nel marzo 2025. In particolare, la Commissione ha annunciato il piano ReArm Europe/
Readiness 2030, volto a mobilitare fino a 800 miliardi di euro per rafforzare la capacità
di difesa europea (cfr. il riquadro: La spesa per la difesa nei paesi della UE). Inoltre, il
Parlamento tedesco ha approvato alcune modifiche costituzionali che hanno allentato i
vincoli di bilancio previsti dall’ordinamento nazionale9.
LA SPESA PER LA DIFESA NEI PAESI DELLA UE
Dagli anni successivi al secondo conflitto mondiale, la spesa per la difesa
nelle principali economie della UE si è gradualmente ridotta in rapporto al PIL,
scendendo a livelli storicamente bassi dopo la caduta del muro di Berlino (figura A).
Nella media del periodo 1990-2021 la spesa è diminuita in Francia al 2,1 per
cento del prodotto; in Germania, Italia, Paesi Bassi e Spagna è scesa al di sotto del
2, valore minimo concordato nel 2014 dai partecipanti alla NATO1; negli Stati
Uniti e nel Regno Unito si è ridimensionata, portandosi al 3,9 e al 2,6 per cento,
rispettivamente2.
Dopo l’invasione russa dell’Ucraina, nella riunione di Versailles del marzo
2022 il Consiglio europeo ha deciso di accrescere l’impegno per la sicurezza
dell’Unione, pur richiamando la complementarità dell’azione europea con quella
L’impegno a raggiungere questo livello minimo è stato formalizzato nella Wales Summit Declaration della
NATO nel settembre 2014 ed è stato rinnovato al vertice di Washington del luglio 2024. Il principio di
una compartecipazione agli oneri di difesa tra paesi membri era già stato affermato nel summit di Roma del
novembre 1991, senza però stabilire una soglia minima di spesa. Tale soglia è stata concordata e approvata
per la prima volta nell’incontro dei Ministri della difesa dei paesi NATO del giugno 2006.
Negli Stati Uniti fa eccezione il periodo di riarmo in concomitanza con le guerre in Iraq e in Afghanistan.
Dati aggiornati al 19 maggio.
Commissione europea, Raccomandazione di raccomandazione del Consiglio sulla politica economica della zona
euro, COM(2024) 704 final, 2024.
I vincoli di bilancio tedeschi prevedevano che – in circostanze normali – l’indebitamento netto strutturale del governo
federale non eccedesse lo 0,35 per cento del PIL. Le modifiche costituzionali approvate escludono da tale disavanzo
sia le spese annuali legate a un nuovo fondo per infrastrutture (fino a 500 miliardi di euro entro i prossimi dodici
anni), sia quelle per difesa e sicurezza eccedenti l’1 per cento del PIL; i Länder avranno inoltre la possibilità – finora
esclusa – di registrare un disavanzo strutturale, entro il limite dello 0,35 per cento del prodotto.
Relazione annuale
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Figura A
Spesa per la difesa in alcune delle principali economie occidentali (1)
(in percentuale del PIL)
’49 ’51 ’53 ’55 ’57 ’59 ’61 ’63 ’65 ’67 ’69 ’71 ’73 ’75 ’77 ’79 ’81 ’83 ’85 ’87 ’89 ’91 ’93 ’95 ’97 ’99 ’01 ’03 ’05 ’07 ’09 ’11 ’13 ’15 ’17 ’19 ’21 ’23
Francia
Germania
Italia
Paesi Bassi
Regno Unito
Spagna
Stati Uniti
Fonte: Stockholm International Peace Research Institute (SIPRI).
(1) Il SIPRI include nelle spese per la difesa quelle correnti e in conto capitale destinate al personale di difesa militare e civile (anche in
pensione), all’equipaggiamento, alle operazioni e al mantenimento delle infrastrutture militari, alla ricerca e sviluppo, al funzionamento
delle istituzioni pubbliche coinvolte nella difesa, agli aiuti militari verso l’estero. Sono invece escluse le spese connesse con le forze
armate con funzione di polizia. Per la Germania, fino al 1989 il dato si riferisce solo alla Repubblica Federale Tedesca.
della NATO, “che resta il fondamento della difesa collettiva per i suoi membri”3. In
quell’occasione ha dato mandato alla Commissione europea e all’Agenzia europea
per la difesa (AED) di elaborare proposte per sviluppare la capacità di difesa in modo
collaborativo all’interno della UE e per rafforzare la base industriale e tecnologica di
difesa europea. Contestualmente sono aumentate le spese per la difesa, rispetto al
PIL, in tutti i paesi europei considerati, con l’eccezione dell’Italia (dove sono rimaste
sostanzialmente stabili).
La NATO stima che nel 2024 nei 23 paesi della UE allo stesso tempo anche
membri dell’organizzazione4 la spesa sia stata circa del 2 per cento del PIL in media
(figura B, pannello a)5, con valori più elevati in alcuni stati dell’Europa orientale e
in Grecia e più modesti in quelli dell’Europa occidentale. La quota di paesi con una
spesa inferiore all’obiettivo minimo concordato in ambito NATO è scesa da oltre
quattro quinti nel 2021 a meno di un terzo.
In media, poco più del 35 per cento della spesa ha riguardato il personale
(contro il 25 degli Stati Uniti), circa il 30 l’equipaggiamento (valore analogo a quello
statunitense), quasi il 4 le infrastrutture (poco meno del 2 negli Stati Uniti) e circa
il 30 spese di mantenimento, approvvigionamento e di ricerca e sviluppo non legata
all’equipaggiamento (intorno al 40 negli Stati Uniti), con ampia variabilità fra paesi
(figura B, pannello b).
Consiglio europeo, Riunione informale dei capi di Stato o di governo. Dichiarazione di Versailles 10 e 11
marzo 2022, 11 marzo 2022.
Tutti i paesi della UE, con l’eccezione di Austria, Cipro, Irlanda e Malta, fanno parte della NATO.
L’organizzazione include anche Albania, Canada, Macedonia del Nord, Montenegro, Norvegia, Regno
Unito, Stati Uniti e Turchia.
Secondo le stime dell’AED, la spesa per la difesa dell’intera UE è stata dell’1,9 per cento del PIL nel 2024
(quella dei 23 paesi UE membri della NATO è stata pari al 2 per cento).
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Relazione annuale
Figura B
Spesa per la difesa nei paesi UE membri della NATO nel 2024 (1)
(dati annuali)
(a) livello (2)
(in percentuale del PIL)
(b) composizione (2) (3)
(valori percentuali)
4,5 100
personale
equipaggiamento
infrastrutture
Stati Uniti
Spagna
Slovenia
Lussemburgo
Belgio
Italia
Portogallo
Croazia
Slovacchia
Paesi Bassi
Francia
Repubblica Ceca
Ungheria
Germania
Svezia
Bulgaria
Romania
Danimarca
Finlandia
Lituania
Grecia
Lettonia
Estonia
Polonia
UE-23
Stati Uniti
Spagna
Slovenia
Lussemburgo
Belgio
Italia
Portogallo
Croazia
Slovacchia
Paesi Bassi
Francia
Repubblica Ceca
Ungheria
Germania
Svezia
Bulgaria
Romania
Danimarca
Finlandia
Lituania
Grecia
Lettonia
Estonia
Polonia
UE-23
altro
Fonte: NATO.
(1) Dati stimati. – (2) UE-23 è la media della spesa pesata per il PIL di tutti i paesi UE membri della NATO. – (3) Le spese per il personale si riferiscono a quello militare e civile, anche in pensione. Le spese per equipaggiamento includono solo le attrezzature durevoli
(ad es. armamenti e veicoli) e l’attività di ricerca e sviluppo a esse relativa. Le spese per infrastrutture si riferiscono sia alle strutture
nazionali sia a quelle comuni della NATO. La categoria altro include anche le spese di mantenimento, quelle di approvvigionamento
(ad es. di munizioni) e le restanti spese per ricerca e sviluppo. Per maggiori dettagli, cfr. NATO, Defence Expenditure of NATO Countries
(2014-2024), comunicato stampa del 17 giugno 2024.
In seguito ai profondi mutamenti in atto nello scenario geopolitico globale, lo
scorso 4 marzo la Commissione europea ha proposto un nuovo piano denominato
ReArm Europe/Readiness 2030 6, volto a mobilitare risorse fino a un massimo di
800 miliardi di euro nei prossimi cinque anni per aumentare la capacità di difesa
dell’Unione7. Il programma prevede:
il ricorso a un maggiore indebitamento dei paesi a fronte della possibilità di
attivare la clausola di salvaguardia nazionale del Patto di stabilità e crescita.
Nel complesso, agli Stati membri verrebbe consentito di incrementare la spesa
fino a 1,5 punti percentuali del PIL all’anno rispetto al 2021, nel quadriennio
dal 2025 al 2028, senza che l’eccesso determini un’infrazione delle regole
di bilancio europee (l’impatto totale per la UE è stimato nell’ordine di 650
miliardi)8;
Per ulteriori dettagli, cfr. il comunicato stampa della Presidente della Commissione europea U. von der
Leyen del 4 marzo 2025. Il Joint white paper for European defence. Readiness 2030 della Commissione
europea e dell’Alto rappresentante dell’Unione per gli affari esteri e per la politica della sicurezza, pubblicato
lo scorso 19 marzo, definisce il quadro delle criticità e delle possibili strategie della UE in materia di difesa
nel breve-medio termine, in cui si inserisce il piano ReArm Europe/Readiness 2030.
Il piano prevede anche il coinvolgimento di capitali privati grazie a un ampliamento delle risorse e dei
criteri di finanziamento della Banca europea per gli investimenti in favore del settore della difesa e auspica
un’accelerazione della realizzazione dell’Unione del risparmio e degli investimenti.
Commissione europea, Accommodating increased defence expenditure within the Stability and Growth Pact,
C(2025) 2000 final, 2025.
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la concessione, su richiesta, di finanziamenti a lunga scadenza da parte della UE
mediante un nuovo strumento europeo (Security and action for Europe, SAFE).
Le risorse complessivamente erogabili sono pari a 150 miliardi9 e dovrebbero
essere impiegate in iniziative congiunte di difesa, dando priorità alle forniture
da imprese europee;
la possibilità per i paesi di reindirizzare parte dei fondi di coesione.
In ogni caso, gli Stati membri non potranno discostarsi dai percorsi di bilancio
concordati con le istituzioni europee oltre i limiti di quanto concesso nell’ambito
dell’attivazione della clausola di salvaguardia nazionale (come indicato nel
punto a).
Le risorse stimate dalla Commissione rappresentano un tetto massimo: ReArm
Europe/Readiness 2030 consente politiche di bilancio più espansive nei paesi con
minori vincoli, quali ad esempio la Germania; in altri, caratterizzati da un peso
elevato del debito, è probabile che l’impatto sia più contenuto; poiché la realizzazione
è affidata ai singoli paesi, l’impegno finanziario sarà eterogeneo10. Gli investimenti e
le spese per la difesa hanno tuttavia natura di bene pubblico europeo: un programma
coordinato finanziato con debito comune agevolerebbe il raggiungimento di un
livello e di una composizione della spesa complessiva ottimali11.
Il rafforzamento della difesa della UE avviato con le proposte della Commissione
avrà ripercussioni macroeconomiche. Le analisi empiriche disponibili suggeriscono
che il moltiplicatore di bilancio delle spese per la difesa sarebbe di circa 0,5 nel medio
Commissione europea, Proposta di regolamento del Consiglio che istituisce lo strumento di azione per la
sicurezza dell’Europa (SAFE) mediante il rafforzamento dell’industria europea della difesa, COM(2025)
122 final, 2025. Secondo tale proposta, il nuovo strumento, attivo fino al 2030, fornirà prestiti con
una scadenza massima di 45 anni e un periodo di grazia di 10 anni per la quota capitale, prevedendo
un prefinanziamento immediato fino al 15 per cento dell’importo richiesto. Il prestito potrà essere
erogato su istanza degli Stati membri, previa presentazione di un piano di investimenti nel settore della
difesa, senza limiti predeterminati per ogni paese. I piani dovranno coinvolgere, di norma, almeno
due Stati membri oppure almeno uno Stato membro e l’Ucraina o un paese membro dell’Associazione
europea di libero scambio (AELS) o dello Spazio economico europeo (SEE). I piani dovranno inoltre
riguardare appalti congiunti per prodotti e fornitori di servizi con sede nel territorio dell’Unione
europea, dell’Ucraina e dei paesi dell’AELS o del SEE. In via transitoria, gli Stati membri potranno
utilizzare il prestito per appalti nazionali, a condizione che vengano prese tutte le misure necessarie per
estendere il beneficio del contratto ad altri paesi secondo le condizioni stabilite dall’art. 4, comma 3,
della proposta di regolamento.
Al 30 aprile 2025 solo 16 paesi della UE hanno chiesto l’attivazione della clausola: Belgio, Bulgaria,
Croazia, Danimarca, Estonia, Finlandia, Germania, Grecia, Lettonia, Lituania, Polonia, Portogallo,
Repubblica Ceca, Slovacchia, Slovenia e Ungheria. Per maggiori dettagli, cfr. Consiglio dell’Unione
europea, Attivazione coordinata della clausola di salvaguardia nazionale, comunicato stampa
del 30 aprile 2025.
Per maggiori dettagli, cfr. Il futuro dell’economia europea tra rischi geopolitici e frammentazione globale,
lectio magistralis del Governatore della Banca d’Italia F. Panetta in occasione del conferimento della laurea
honoris causa in Scienze giuridiche banca e finanza presso l’Università degli Studi di Roma Tre, Roma,
23 aprile 2024; cfr. inoltre M. Draghi, The future of European competitiveness, settembre 2024 e Un patto
europeo per la produttività, intervento del Governatore della Banca d’Italia F. Panetta al XX Foro di dialogo
Spagna-Italia (AREL-CEOE-SBEES), Barcellona, 3 dicembre 2024.
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Relazione annuale
periodo12. Vi è tuttavia ampia variabilità delle stime, da valori del moltiplicatore
lievemente negativi13 fino a 1,514 a seconda delle ipotesi relative alle modalità di
finanziamento, della risposta delle altre politiche economiche e della composizione
della spesa.
L’impatto sarà tanto più grande quanto più ampia sarà la quota di spesa
rivolta all’industria europea. Diverse analisi evidenziano l’eccessiva frammentazione
del settore produttivo della difesa nella UE, che si accompagna a una mancanza
di coordinamento fra Stati membri nei programmi di acquisto. Il settore, pur
competitivo sul piano globale, ha una dimensione molto inferiore a quello degli Stati
Uniti15; è caratterizzato dalla presenza di aziende leader nazionali, che ne limitano
la capacità di sfruttamento di economie di scala nella produzione e nella ricerca e
sviluppo16; non offre alcuni prodotti di interesse strategico17. Dal punto di vista della
domanda, una quota significativa degli acquisti avviene fuori dalla UE; nel 2022
inoltre solo il 18 per cento della spesa per equipaggiamento è stato realizzato per
mezzo di programmi di acquisto congiunti18.
V.A. Ramey, Identifying government spending shocks: it’s all in the timing, “The Quarterly Journal of
Economics”, 126, 1, 2011, pp. 1-50; R.J. Barro e C.J. Redlick, Macroeconomic effects from government
purchases and taxes, “The Quarterly Journal of Economics”, 126, 1, 2011, pp. 51-102; G. Brunet, Stimulus
on the home front: the state-level effects of WWII spending, “The Review of Economics and Statistics”, 2024,
pp. 1-46; V.A. Ramey e S. Zubairy, Government spending multipliers in good times and in bad: evidence from
US historical data, “Journal of Political Economy”, 126, 2, 2018, pp. 850-901.
Il valore del moltiplicatore può essere basso o addirittura negativo qualora la spesa in difesa vada a sostituire
altre voci più produttive e a spiazzare quella privata o in presenza di una risposta restrittiva della politica
monetaria: cfr. E. Ilzetzki, E.G. Mendoza e C.A. Vegh, How big (small?) are fiscal multipliers?, “Journal of
Monetary Economics”, 60, 2, 2013, pp. 239-254.
E. Nakamura e J. Steinsson, Fiscal stimulus in a monetary union: evidence from US regions, “American
Economic Review”, 104, 3, 2014, pp. 753-792; A.J. Auerbach e Y. Gorodnichenko, Measuring the output
responses to fiscal policy, “American Economic Journal: Economic Policy”, 4, 2, 2012, pp. 1-27.
Il SIPRI Arms Industry Database riporta i dati sul fatturato delle 100 imprese del settore difesa più grandi del
mondo. Nel 2023 quelle con sede nella UE hanno registrato entrate da vendita di armi per circa 80 miliardi
di dollari; includendo anche quelle europee non UE la cifra arriva a quasi 130 miliardi, un valore lievemente
inferiore al fatturato delle sole prime tre imprese della classifica, tutte con sede negli Stati Uniti (il fatturato
complessivo delle imprese con sede in questo paese è circa quattro volte quello che si osserva nella UE).
I dati SIPRI evidenziano come i fatturati della prima impresa francese e di quella italiana rappresentino
ciascuno circa il 16 per cento del totale della UE (una quota di poco inferiore a quella della più grande
impresa americana sul totale degli Stati Uniti); il fatturato della prima impresa tedesca è di circa il 7 per
cento del totale della UE.
Come accade, ad esempio, nell’ambito delle capacità abilitanti strategiche quali il rifornimento in volo e
la sorveglianza a lungo raggio; cfr. Commissione europea e Alto rappresentante dell’Unione per gli affari
esteri e per la politica della sicurezza, Comunicazione congiunta al Parlamento europeo, al Consiglio europeo,
al Consiglio, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni sull’analisi delle carenze di
investimenti nel settore della difesa e sulle prospettive di percorso, JOIN(2022) 24 final, 2022.
Per quanto riguarda la dipendenza dall’estero nella fornitura, uno studio del Parlamento europeo stima
la quota importata da paesi esterni alla UE sul totale della spesa per equipaggiamento in quasi il 40 per
cento. Per maggiori dettagli, cfr. M. Centrone e M. Fernandes, Improving the quality of European defence
spending. Cost of non-Europe report, Study, European Parliamentary Research Service, Parlamento europeo,
novembre 2024. Per una discussione sulle valutazioni circa il volume delle importazioni nel settore
della difesa, cfr. anche J.M. Lopez e G.B. Wolff, What role do imports play in European defence?, Bruegel
Analysis, 4 luglio 2024. Per quanto riguarda la quota di acquisti congiunti, cfr. European Defence Agency,
2022 Coordinated annual review on defence report, novembre 2022, e per una discussione più ampia,
cfr. M. Draghi, The future of European competitiveness, settembre 2024.
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Nel lungo periodo la spesa in ricerca e sviluppo è quella che può dare il maggiore
impulso alla crescita, anche per la presenza di ricadute positive per il settore privato
e le aree geografiche interessate dagli investimenti produttivi19. La UE nel 2023
destinava solo l’1,8 per cento degli esborsi per difesa all’attività di ricerca e sviluppo
(con valori che variavano da zero in alcune economie più piccole dell’Unione, a
oltre il 4 per cento in Germania)20. Secondo i dati dell’OCSE, a fronte di analoghi
stanziamenti di bilancio pubblici per il complesso della spesa in ricerca e sviluppo,
nella UE al settore della difesa è stata destinata una cifra nell’ordine di dieci volte
inferiore rispetto a quella degli Stati Uniti21.
D.P. Gross e B.N. Sampat, America, jump-started: World War II R&D and the takeoff of the US innovation
system, “American Economic Review”, 113, 12, 2023, pp. 3323-3356; E. Moretti, C. Steinwender e J. Van
Reenen, The intellectual spoils of war? Defense R&D, productivity, and international spillovers, “The Review
of Economics and Statistics”, 107, 1, 2025, pp. 14-27; J. Antolin-Diaz e P. Surico, The long-run effects of
government spending, “American Economic Review”, di prossima pubblicazione.
Per ulteriori dettagli, cfr. i dati della classificazione dell’Eurostat delle spese per funzione (Classification
of function of Government, COFOG). Le spese COFOG per la funzione difesa differiscono lievemente
da quelle della NATO e di SIPRI prevalentemente perché escludono la spesa per pensioni per il
personale militare e civile impiegato in dipartimenti militari. Ulteriori discrepanze derivano dai criteri di
contabilizzazione: a differenza dei dati NATO e SIPRI, quelli COFOG seguono le regole generali della
contabilità ESA 2010. Sulla base delle informazioni dell’AED, nella UE nel 2023 la quota della spesa
pubblica per la difesa dedicata all’attività di ricerca e sviluppo (che ricopre un perimetro lievemente più
ampio di quella COFOG) è stata pari a poco meno del 4 per cento.
Per il raffronto con gli Stati Uniti, cfr. il database dell’OCSE al marzo 2025, Main Science and Technology
Indicators.
Next Generation EU. – Nell’ambito del Dispositivo per la ripresa e la resilienza
sono stati finora erogati ai paesi della UE oltre 311 miliardi di euro (di cui 201 sotto
forma di sovvenzioni; tav. 2.2). Anche alla luce della quota di traguardi e obiettivi che
la Commissione considera soddisfacentemente raggiunti, tra le principali economie
dell’area dell’euro la Francia è il paese che ha ricevuto più fondi rispetto a quelli assegnati
(circa il 77 per cento), seguita dalla Germania, dall’Italia e dalla Spagna (intorno al 65,
al 63 e al 30 per cento10, rispettivamente; cfr. il riquadro: Lo stato di attuazione del Piano
nazionale di ripresa e resilienza del capitolo 4)11.
Nella terza Relazione sullo stato di attuazione del Dispositivo12 la Commissione
ha evidenziato che, dopo un rallentamento nel primo semestre del 2023, le erogazioni
hanno accelerato. Infatti, tra la seconda metà del 2023 e la fine del 2024, sono stati
versati agli Stati membri oltre 142 miliardi, a fronte di quasi 87 nei tre semestri
precedenti (al netto dei prefinanziamenti). Tale dinamica sarebbe tra l’altro legata alla
La percentuale della Spagna è più bassa di quella degli altri maggiori paesi dell’area anche perché la dimensione
del suo piano è stata significativamente aumentata (principalmente a seguito della richiesta di prestiti per oltre
83 miliardi) in occasione della sua revisione approvata dal Consiglio della UE nell’ottobre del 2023.
Sulla base dei dati Eurostat aggiornati al 21 maggio, tra il 2020 e il 2024 gli interventi finanziati mediante
il Dispositivo per la ripresa e la resilienza ammontavano, per il complesso dei paesi della UE, a quasi 196
miliardi di euro (di cui oltre 64 in Italia).
Commissione europea, Relazione della Commissione al Parlamento europeo e al Consiglio sull’attuazione del
dispositivo per la ripresa e la resilienza, COM(2024) 474 final, 2024.
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Relazione annuale
Tavola 2.2
Fondi erogati ai paesi mediante il Dispositivo di ripresa e resilienza (1)
(miliardi di euro e valori percentuali)
PAESI
Prefinan- 1a rata 2 a rata 3 a rata 4 a rata 5 a rata 6 a rata
ziamento
Italia (3)
Totale
di cui:
sovvenzioni
sul totale
assegnato
122,1
Spagna
Francia
Grecia
Germania
Portogallo
Altri paesi area
Altri paesi UE
(non area euro)
Totale
311,5
201,0
Fonte: elaborazioni su dati della Commissione europea aggiornati al 16 maggio 2025.
(1) Eventuali mancate quadrature sono dovute all’arrotondamento delle cifre decimali. – (2) Include quello legato al programma
RepowerEU. – (3) Lo scorso 30 dicembre il Governo ha inviato alla Commissione europea la richiesta di pagamento della settima rata
(oltre 18 miliardi al netto del prefinanziamento del Piano).
possibilità di variare i piani: lo scorso luglio la Commissione13 ha precisato che questa
facoltà si applica anche ai casi in cui i paesi individuino alternative che riducano gli
oneri amministrativi connessi con l’attuazione degli interventi. Finora il Consiglio
della UE ha approvato quattro revisioni del Piano italiano e di quello spagnolo, tre
di quello tedesco e una di quello francese.
Nel 2024 la Commissione ha emesso titoli per circa 196 miliardi, soprattutto
per finanziare NGEU. Tali strumenti, caratterizzati da un merito di credito elevato,
avevano una durata media di oltre nove anni e un rendimento medio all’emissione
pari al 3,1 per cento, un valore inferiore di oltre mezzo punto percentuale a quello sui
titoli di Stato decennali italiani ma superiore di 0,8 punti rispetto a quelli tedeschi.
Nei primi quattro mesi dell’anno in corso le obbligazioni emesse ammontavano a
quasi 88 miliardi.
Il pacchetto d’autunno del semestre europeo per il 2025. – Lo scorso novembre la
Commissione ha iniziato a esaminare i percorsi di aggiustamento, le riforme e gli
investimenti contenuti nei piani strutturali di bilancio di medio temine, caposaldi del
nuovo quadro di governance economica europea14 (cfr. il riquadro: La nuova governance
di bilancio europea del capitolo 2 nella Relazione annuale sul 2023). Contestualmente,
ha vagliato i documenti programmatici di bilancio per il 2025 e ha formulato le proprie
Gazzetta ufficiale dell’Unione europea, Comunicazione della Commissione Orientamenti sui piani per la ripresa
e la resilienza, (C/2024/4618), luglio 2024.
Gazzetta ufficiale dell’Unione europea, Regolamento (UE) 2024/1263 del Parlamento europeo e del Consiglio
del 29 aprile 2024 relativo al coordinamento efficace delle politiche economiche e alla sorveglianza di bilancio
multilaterale e che abroga il regolamento (CE) n. 1466/97 del Consiglio, aprile 2024.
Relazione annuale
BANCA D’ITALIA
raccomandazioni per il Consiglio circa il percorso di correzione dei conti per i paesi in
Procedura per i disavanzi eccessivi15.
La Commissione ha ritenuto che 23 dei 26 piani strutturali16 presentati finora dagli
Stati membri definiscano percorsi di bilancio in linea con le nuove regole europee. Sette
Stati membri (tra i quali Francia, Italia e Spagna) hanno richiesto di estendere a sette
anni il periodo di aggiustamento di bilancio, a fronte dell’impegno a realizzare riforme
e investimenti capaci di migliorare, tra l’altro, il potenziale di crescita dell’economia
e la sostenibilità di bilancio. Questi paesi dovranno finanziare a livello nazionale
investimenti pubblici pari almeno al valore medio realizzato nel periodo interessato dal
Dispositivo per la ripresa e la resilienza.
I limiti alla spesa netta17 indicati nei piani strutturali tengono conto dell’eterogeneità
degli spazi di bilancio e delle condizioni macroeconomiche specifiche dei singoli
paesi; nel periodo 2025-31 il tasso medio di crescita annua della spesa netta in Italia è
programmato all’1,5 per cento, leggermente più alto di quello della Francia (1,1) e pari
alla metà di quello della Spagna (3,0).
All’inizio di quest’anno il Consiglio della UE ha approvato le raccomandazioni
della Commissione relative ai piani valutati fino a quel momento, chiarendo inoltre
che, per gli Stati membri soggetti alla Procedura per i disavanzi eccessivi, i percorsi di
aggiustamento programmati sono quelli richiesti per chiudere la procedura stessa.
Nel valutare i documenti programmatici di bilancio per il 202518 la Commissione
ha verificato, tra l’altro, la conformità delle politiche di bilancio in essi contenute
rispetto ai limiti per la spesa netta stabiliti nei piani. Secondo la Commissione, i
documenti presentati da otto Stati membri (tra i quali Italia e Francia) sono in linea
con le raccomandazioni del Consiglio formulate nell’ottobre 2024, mentre quelli di
altri sei paesi (tra i quali la Germania) non lo sono pienamente19.
Lo scorso luglio il Consiglio della UE, su proposta della Commissione, aveva avviato una Procedura per i
disavanzi eccessivi nei confronti di sette paesi: Belgio, Francia, Italia, Malta, Polonia, Slovacchia e Ungheria.
Il Consiglio aveva inoltre stabilito che la Romania, dal 2020 in Procedura per i disavanzi eccessivi, non aveva
sufficientemente corretto il proprio indebitamento netto.
La Germania non ha ancora presentato il proprio piano e la Commissione sta valutando quelli di Austria e
Lituania; quello del Belgio è stato approvato lo scorso 21 maggio. Secondo la Commissione, il piano dei Paesi
Bassi non è coerente con le nuove regole, poiché determinerebbe nel medio termine un aumento del peso del
debito sul prodotto al di sopra del 60 per cento e un indebitamento netto delle Amministrazioni pubbliche
superiore al 3 per cento del PIL.
La spesa netta è costituita dalle uscite delle Amministrazioni pubbliche al netto delle seguenti voci: (a) la
spesa per interessi; (b) le misure discrezionali sul lato delle entrate; (c) la spesa per i programmi dell’Unione
interamente finanziata dai fondi europei; (d) la spesa nazionale per il cofinanziamento di programmi
finanziati dalla UE; (e) la componente ciclica delle uscite per le indennità di disoccupazione (che includono
le erogazioni della Cassa integrazione guadagni); (f ) le misure una tantum; (g) altre misure temporanee.
Ad eccezione della Spagna, tutti i paesi dell’area dell’euro hanno trasmesso il proprio documento
programmatico di bilancio per il 2025; la Commissione sta ancora valutando quelli del Belgio e dell’Austria,
presentati rispettivamente lo scorso 30 aprile e 13 maggio.
Il documento programmatico di bilancio per il 2025 della Lituania è a rischio di non essere in linea con le
raccomandazioni del Consiglio dello scorso ottobre, mentre quello dei Paesi Bassi non è in linea. Infine, la
Commissione non ha espresso una valutazione globale conclusiva del documento presentato dall’Irlanda.
BANCA D’ITALIA
Relazione annuale
3. LA POLITICA MONETARIA NELL’AREA DELL’EURO
Nel 2024 il grado di restrizione della politica monetaria è stato progressivamente
allentato. Tale orientamento ha riflesso una crescente fiducia da parte del Consiglio
direttivo della Banca centrale europea nella convergenza dell’inflazione verso l’obiettivo
del 2 per cento nel medio termine, in un contesto di persistente debolezza dell’attività
economica.
A partire dalla riunione di giugno del 2024, il Consiglio ha disposto sette riduzioni
dei tassi di interesse ufficiali, per un totale di 175 punti base per il tasso sui depositi
presso l’Eurosistema, portandolo al 2,25 per cento lo scorso aprile. Nei primi mesi
del 2025, in un contesto di eccezionale incertezza alimentata da crescenti tensioni
commerciali, il Consiglio ha ribadito l’intenzione di mantenere un approccio guidato
dai dati per orientare le decisioni di politica monetaria, adottandole di volta in volta
senza vincolarsi a un percorso dei tassi prestabilito.
È proseguito il processo di normalizzazione del bilancio dell’Eurosistema avviato
nel 2022. Vi hanno contribuito i rimborsi dei finanziamenti erogati con la terza serie
di operazioni mirate di rifinanziamento a più lungo termine (Targeted Longer-Term
Refinancing Operations, TLTRO3) e la graduale riduzione dei portafogli di titoli
detenuti nell’ambito dei programmi di acquisto di attività finanziarie (Asset Purchase
Programme, APP, e Pandemic Emergency Purchase Programme, PEPP).
Nel corso dell’anno l’allentamento monetario ha favorito una graduale discesa
dei tassi di interesse privi di rischio e di quelli praticati dalle banche sui prestiti,
contribuendo a un miglioramento delle condizioni di finanziamento per imprese e
famiglie. La dinamica del credito si è progressivamente rafforzata, pur restando debole
in prospettiva storica. Tra la fine del 2024 e i primi mesi di quest’anno i tassi di interesse
privi di rischio a lungo termine sono tornati a salire in un contesto di elevata volatilità,
segnato dagli annunci di un rilevante aumento della spesa pubblica in Germania e di
nuovi dazi da parte degli Stati Uniti.
L’azione di politica monetaria
Nei primi mesi del 2024 il Consiglio direttivo ha lasciato invariati i tassi di
interesse ufficiali, ai livelli fissati a settembre del 2023 (fig. 3.1.a). Secondo il Consiglio
tali livelli, se mantenuti per un periodo sufficientemente lungo, avrebbero contribuito
in modo significativo a un tempestivo ritorno dell’inflazione all’obiettivo. Nel definire
l’adeguatezza della restrizione monetaria, il Consiglio ha altresì ribadito che avrebbe
continuato a seguire un approccio guidato dai dati e basato su valutazioni condotte
riunione per riunione (cfr. il riquadro: La politica monetaria nell’area dell’euro e
l’approccio guidato dai dati).
Relazione annuale
BANCA D’ITALIA
Figura 3.1
Tassi di interesse ufficiali nell’area dell’euro e bilancio consolidato dell’Eurosistema
(a) tassi di interesse ufficiali
e del mercato monetario
(dati giornalieri; valori percentuali)
2024 ’25
op. di rifinanziamento
principali: tasso fisso
depositi presso
l’Eurosistema
op. di rifinanziamento
marginale
€STR (1)
Euribor a 3 mesi
(b) bilancio consolidato dell’Eurosistema:
componenti dell’attivo e liquidità in eccesso
(dati settimanali; miliardi di euro)
9.000
9.000
8.000
8.000
7.000
7.000
6.000
6.000
5.000
5.000
4.000
4.000
3.000
3.000
2.000
2.000
1.000
1.000
op. di politica monetaria: rifinanziamento a ist. cred. (2)
op. di politica monetaria: acquisto di titoli (3)
altre attività (4)
liquidità in eccesso (5)
Fonte: BCE e LSEG.
(1) Dal 2 ottobre 2019 €STR è un nuovo tasso di riferimento overnight per il mercato monetario dell’area dell’euro. Nel grafico, per il periodo
antecedente a quella data, viene riportato il tasso pre-€STR. – (2) Rifinanziamento a istituzioni creditizie dell’area dell’euro relativo a
operazioni di politica monetaria. – (3) Titoli in euro emessi da residenti nell’area dell’euro detenuti per finalità di politica monetaria. – (4) Oro
e altre attività denominate in euro e in valuta estera. – (5) La liquidità in eccesso è calcolata come somma del saldo sui conti di riserva delle
banche e del ricorso ai depositi presso l’Eurosistema, al netto dell’obbligo di riserva.
LA POLITICA MONETARIA NELL’AREA DELL’EURO E L’APPROCCIO GUIDATO DAI DATI
Nel corso del 2024 la Banca centrale europea ha continuato a sottolineare
l’importanza di un approccio guidato dai dati (data-dependent) per orientare le
decisioni di politica monetaria in un contesto di elevata incertezza1. Tale approccio è
caratterizzato dall’esame congiunto di tre fattori: (a) le prospettive di inflazione alla
luce dei nuovi dati economici e finanziari; (b) la dinamica dell’inflazione di fondo;
(c) l’intensità della trasmissione della politica monetaria.
L’integrazione di questi tre elementi ha consentito di migliorare l’accuratezza
delle previsioni di inflazione; la loro importanza relativa è variata nel tempo, in
funzione della capacità di ciascun fattore di anticipare correttamente la dinamica dei
prezzi2. Le proiezioni ufficiali formulate dagli esperti della BCE e dall’Eurosistema
costituiscono generalmente l’elemento centrale nelle valutazioni del Consiglio
L’approccio data-dependent è stato formalmente introdotto nelle dichiarazioni di politica monetaria della
BCE il 21 luglio 2022. Con questa terminologia si intende una strategia basata su decisioni prese riunione
per riunione, guidate dai dati economici disponibili, senza vincolarsi a un percorso predefinito dei tassi
ufficiali.
C. Kamps, The ABCs of the ECB’s reaction function, “The ECB Blog”, 22 maggio 2024 e Building confidence
in the path ahead, discorso della Presidente della BCE C. Lagarde alla 24a conferenza The ECB and its
Watchers, Francoforte, 20 marzo 2024.
BANCA D’ITALIA
Relazione annuale
direttivo. Tuttavia la loro precisione è diminuita nel biennio 2021-22, durante le
fasi delle riaperture post-pandemiche e della crisi energetica, caratterizzate da forte
incertezza (figura, pannello a).
Figura
Errori previsivi, incertezza degli analisti sull’inflazione e volatilità dei tassi di interesse
(dati trimestrali; punti percentuali)
(a) errori previsivi delle proiezioni ufficiali
della BCE e dell’Eurosistema (1)
(b) incertezza degli analisti sull’inflazione
e volatilità dei tassi di interesse
’02 ’04 ’06 ’08 ’10 ’12 ’14 ’16 ’18 ’20 ’22 ’24
valori puntuali
+/- valore assoluto medio pre-Covid
incertezza degli analisti sull’inflazione (2)
volatilità dei tassi di interesse (3)
Fonte: elaborazioni su dati BCE, Bloomberg ed Eurostat.
(1) L’errore di previsione è definito come la differenza fra realizzazione del dato di inflazione media per un determinato trimestre e la
proiezione ufficiale degli esperti della BCE e dell’Eurosistema effettuata 1 anno prima per quello stesso trimestre. – (2) L’incertezza degli
analisti sull’inflazione è misurata dalla mediana della deviazione standard della distribuzione di probabilità individuale sull‘inflazione
a 2 anni degli analisti censiti dalla Survey of Professional Forecasters (SPF). – (3) La volatilità dei tassi di interesse è misurata dalla
deviazione standard delle variazioni giornaliere del tasso interest rate swap (IRS) a 2 anni nel trimestre di riferimento. Scala di destra.
In seguito a questi eventi la BCE ha ritenuto opportuno attribuire un peso
relativamente maggiore alle nuove informazioni sulla dinamica dell’inflazione
di fondo e sull’intensità della trasmissione della politica monetaria. Un semplice
modello econometrico che mette in relazione l’inflazione al consumo e i tre elementi
sopra indicati, e che rappresenta in modo estremamente semplificato il processo
previsivo della BCE, consente di delineare un quadro più preciso degli andamenti
futuri dell’inflazione, in particolare nel periodo in cui essa aumentava rapidamente
(biennio 2021-22)3. Negli anni 2023-24 l’accuratezza delle proiezioni ufficiali degli
esperti della BCE e dell’Eurosistema è tornata in linea con le regolarità storiche.
Ciò può favorire l’attribuzione di un peso più rilevante alle previsioni nell’ambito
dell’approccio guidato dai dati4.
V. Cuciniello, G. Ferrero, E. Guglielminetti e A. Lin, Data dependency, inflation projections and interest rate
decisions, Banca d’Italia, Questioni di economia e finanza, 930, 2025. In questo lavoro, i tre elementi che
caratterizzano l’approccio data-dependent sono rappresentati dalle seguenti variabili: (a) proiezioni ufficiali
dell’inflazione un anno in avanti formulate dagli esperti della BCE e dell’Eurosistema; (b) inflazione al
netto delle componenti più volatili, ossia beni energetici e alimentari; (c) indicatore delle condizioni
finanziarie calcolato da Bloomberg (Bloomberg financial condition index).
Back to the future: forward-looking considerations on monetary policy normalization, intervento del
Governatore della Banca d’Italia F. Panetta, Università Bocconi, Milano, 19 novembre 2024.
Relazione annuale
BANCA D’ITALIA
A partire dal 2022 anche l’incertezza degli analisti sulle prospettive di inflazione è
aumentata e si è accompagnata a una maggiore volatilità dei tassi di interesse di mercato
di breve termine (figura, pannello b)5. Tali dinamiche riflettono molteplici fattori,
tra i quali una reazione più accentuata dei mercati alle sorprese macroeconomiche
(cfr. il riquadro: Gli andamenti dei tassi di interesse nell’area dell’euro: determinanti
e reattività alle notizie macroeconomiche). Ciò sarebbe coerente con la necessità, da
parte della banca centrale e degli operatori economici, di aggiornare con maggiore
frequenza i propri modelli previsivi alla luce dei nuovi dati disponibili in periodi
di forte incertezza. Per evitare di amplificare questa volatilità, la BCE ha più volte
chiarito che l’approccio data-dependent non implica una reazione automatica a
singoli dati (approccio data-point dependent), ma si basa su un esame complessivo
dell’insieme delle informazioni disponibili6.
V. Cuciniello, G. Ferrero, A. Notarpietro e S. Santoro, Data dependence in monetary policy and interest rate
volatility, Banca d’Italia, Temi di discussione, di prossima pubblicazione.
Monetary policy in an unusual cycle: the risks, the path, and the costs, discorso introduttivo della Presidente
della BCE C. Lagarde all’ECB Forum on Central Banking, Sintra, 1o luglio 2024.
A fronte di una disinflazione che si andava consolidando, anche nella sua componente
di fondo, e di una crescente fiducia nella convergenza dell’inflazione verso l’obiettivo,
in giugno il Consiglio ha avviato una fase di allentamento della restrizione monetaria,
riducendo i tassi di interesse ufficiali di 25 punti base. Dopo una pausa a luglio, ha deciso
ulteriori tagli di pari entità in settembre, ottobre e dicembre. Alla fine dell’anno il tasso
sui depositi presso l’Eurosistema si collocava al 3 per cento.
Nelle prime tre riunioni del 2025 il Consiglio direttivo ha ulteriormente ridotto i
tassi di interesse ufficiali, portando il tasso sui depositi al 2,25 per cento e la riduzione
complessiva dall’inizio della fase di allentamento a 175 punti base. Le decisioni sono
state adottate in un contesto di progressivo deterioramento delle prospettive di crescita,
alimentato dall’intensificarsi delle tensioni commerciali a livello globale (cfr. il capitolo 1).
Lo scorso aprile il Consiglio ha ribadito che, soprattutto in considerazione dell’eccezionale
incertezza, avrebbe continuato a seguire un approccio guidato dai dati per determinare
l’orientamento di politica monetaria, senza vincolarsi a un percorso dei tassi prestabilito.
Nel 2024 è proseguito il processo di normalizzazione del bilancio dell’Eurosistema
(cfr. fig. 3.1.b e il paragrafo: Le operazioni di politica monetaria). Alla riduzione del
portafoglio di titoli detenuto nell’ambito dell’APP, avviata nel 2023, si è aggiunta da
luglio anche quella relativa al PEPP, attuata inizialmente attraverso la diminuzione dei
reinvestimenti dei titoli in scadenza e, dalla fine dell’anno, mediante la loro completa
cessazione. Inoltre, nel corso dell’anno sono stati rimborsati gli ultimi prestiti erogati
dall’Eurosistema nell’ambito delle operazioni TLTRO3, sancendo così la conclusione del
programma.
A marzo del 2024 il Consiglio ha concluso il riesame dell’assetto operativo per
l’attuazione della politica monetaria, stabilendo che avrebbe continuato a regolare
l’orientamento monetario mediante il tasso sui depositi (cfr. il capitolo 3 nella Relazione
annuale sul 2023). In attuazione delle decisioni assunte in occasione del riesame, a
settembre del 2024 il differenziale tra il tasso sulle operazioni di rifinanziamento principali
e quello sui depositi è stato ridotto da 50 a 15 punti base.
BANCA D’ITALIA
Relazione annuale
Le operazioni di politica monetaria
L’ammontare dei fondi erogati alle banche attraverso le operazioni di
rifinanziamento è diminuito di 381 miliardi, per effetto dei rimborsi delle ultime
operazioni TLTRO3, collocandosi sui minimi storici (a 29 miliardi ad aprile del
2025; tav. 3.1). Dalla fine del 2024 l’esposizione complessiva dell’Eurosistema nei
confronti delle controparti di politica monetaria è composta da operazioni principali
con scadenza settimanale (Main Refinancing Operations, MRO) e da quelle a più lungo
termine di durata trimestrale (Longer-Term Refinancing Operations, LTRO).
Tavola 3.1
Operazioni di rifinanziamento (1)
(miliardi di euro)
Area dell’euro
Italia
Totale (2)
di cui: TLTRO3
Fonte: Banca d’Italia e BCE.
(1) Consistenze alle date indicate nella tavola. – (2) Riporta il totale delle operazioni MRO, LTRO e TLTRO3.
L’ammontare dei titoli detenuti dall’Eurosistema per finalità di politica monetaria
nell’ambito dei portafogli APP e PEPP, pari a 4.061 miliardi in aprile, è diminuito
rispetto alla fine del 2023 di 631 miliardi (di cui 495 relativi all’APP e 136 al PEPP;
tav. 3.2).
Tavola 3.2
Titoli detenuti per finalità di politica monetaria (1)
(miliardi di euro)
Totale
di cui: titoli pubblici
di cui: titoli pubblici
italiani (3)
di cui: titoli pubblici
italiani acquistati dalla
Banca d’Italia (3)
Dicembre 2023
3.026
2.403
Dicembre 2024
2.673
2.125
Aprile 2025
2.531
2.022
Dicembre 2023
1.666
1.614
Dicembre 2024
1.609
1.558
Aprile 2025
1.530
1.482
Fonte: Banca d’Italia e BCE.
(1) Consistenze all’ultimo giorno del mese. – (2) Valori di bilancio al costo ammortizzato. − (3) Differenza tra i valori al prezzo di acquisto
e gli importi nominali dei titoli giunti a scadenza.
L’andamento delle operazioni di politica monetaria ha comportato una significativa
riduzione della liquidità in eccesso detenuta dal sistema bancario (fig. 3.1.b), che
Relazione annuale
BANCA D’ITALIA
in aprile si collocava a 2.737 miliardi, 610 in meno rispetto alla fine del 2023. Tale
liquidità rimane concentrata nei sistemi bancari di alcune economie dell’Europa
centro-settentrionale (come Germania e Francia); in Italia si portava a 107 miliardi, in
diminuzione di 63 rispetto alla fine del 2023.
I tassi di interesse, le aspettative di inflazione e il cambio dell’euro
La riduzione dei tassi di interesse ufficiali si è trasmessa in modo ordinato al
mercato monetario. I tassi a brevissimo termine sono scesi in misura analoga al tasso
sui depositi presso l’Eurosistema.
I tassi di interesse privi di rischio a lungo termine, misurati sulla base dei
contratti overnight indexed swaps (OIS), hanno registrato un andamento altalenante
nel corso del 2024. Sulla scadenza decennale sono dapprima aumentati di 50 punti
base, raggiungendo il 2,8 per cento in maggio, per poi diminuire progressivamente
nella seconda metà dell’anno, fino a toccare il 2 per cento all’inizio di dicembre
(fig. 3.2.a). Tale andamento, simile a quello osservato sulle scadenze a più breve
termine, ha inizialmente riflesso effetti di spillover derivanti dall’economia statunitense
e, in seguito, un progressivo deterioramento delle prospettive economiche dell’area
(cfr. il riquadro: Gli andamenti dei tassi di interesse nell’area dell’euro: determinanti e
reattività alle notizie macroeconomiche).
Figura 3.2
Tassi di interesse, attese di inflazione e tassi di cambio nell’area dell’euro
(a) tassi di interesse
a lungo termine
(dati giornalieri;
valori percentuali)
(b) attese di inflazione desunte
dai mercati e dagli analisti
(dati giornalieri e trimestrali;
valori percentuali)
’19 ’20 ’21 ’22 ’23 ’24 ’25
swap sui tassi di interesse a 10 anni (1)
tasso di interesse reale a 10 anni (2)
titoli di Stato a 10 anni (3)
’19 ’20 ’21 ’22 ’23 ’24 ’25
mercati: 1-3 anni in avanti (ILS) (4)
mercati: 5-10 anni in avanti (ILS) (4)
analisti: 5 anni in avanti (SPF) (5)
(c) tassi di cambio
(dati giornalieri;
dollari per un euro e indice)
’19 ’20 ’21 ’22 ’23 ’24 ’25
dollaro/euro
effettivo nominale dell’euro (6)
Fonte: elaborazioni su dati BCE, Bloomberg, LSEG e SPF.
(1) Tasso fisso nei contratti swap indicizzati al tasso overnight (€STR) con scadenza a 10 anni, disponibile a partire da settembre 2019. –
(2) Tasso fisso nei contratti swap indicizzati al tasso overnight (€STR) con scadenza a 10 anni, deflazionato con il tasso fisso nei contratti
swap indicizzati all’inflazione di pari scadenza. – (3) Media dei rendimenti dei titoli benchmark a 10 anni austriaci, belgi, finlandesi,
francesi, greci, irlandesi, italiani, olandesi, portoghesi, spagnoli e tedeschi, ponderata con il PIL. – (4) Tassi di inflazione attesi, impliciti
nei contratti inflation-linked swap (ILS), tra 1 e 3 anni in avanti e 5 e 10 anni in avanti. – (5) Aspettative di inflazione sull’orizzonte a 5
anni in avanti desunte dall’indagine trimestrale presso i previsori professionali (Survey of Professional Forecasters, SPF). L’ultimo dato
si riferisce ad aprile 2025. – (6) Indice: 1° trim. 1999=100. Un aumento dell’indice corrisponde a un apprezzamento dell’euro. Scala di
destra.
BANCA D’ITALIA
Relazione annuale
GLI ANDAMENTI DEI TASSI DI INTERESSE NELL’AREA DELL’EURO: DETERMINANTI E REATTIVITÀ
ALLE NOTIZIE MACROECONOMICHE
In un contesto di elevata integrazione economica e finanziaria, i tassi di interesse
dell’area dell’euro risentono delle attese sugli sviluppi macroeconomici sia dell’area sia
internazionali, in particolare degli Stati Uniti. Disporre di una quantificazione accurata
e tempestiva degli effetti di tali aspettative sui tassi è rilevante per la formulazione
delle decisioni di politica monetaria e per la relativa comunicazione. Due recenti
lavori mostrano che gli sviluppi macroeconomici negli Stati Uniti hanno avuto effetti
rilevanti sui tassi di interesse dell’area, in particolare negli ultimi anni.
La prima analisi evidenzia che la reattività dei tassi di interesse privi di rischio
dell’area dell’euro alle sorprese macroeconomiche relative all’area stessa e agli Stati Uniti
– definite come la differenza tra i dati effettivi pubblicati e quelli attesi dagli analisti – è
variata nel tempo (figura A)1. La reattività si è molto attenuata tra il 2014 e la metà del
2022, quando i tassi ufficiali si trovavano sul limite inferiore effettivo e la Banca centrale
europea forniva indicazioni prospettiche (forward guidance) riguardo alla propria politica
monetaria. Da luglio del 2022, quando la BCE ha avviato il ciclo di rialzo dei tassi ufficiali
e, a fronte dell’ampia incertezza sull’evoluzione dell’inflazione, ha abbandonato la forward
guidance, la reattività è aumentata notevolmente sia per le sorprese relative all’economia
dell’area (figura A, pannello a), sia per quelle relative all’economia statunitense (figura A,
pannello b). La stima di un modello non lineare, che esplora le possibili determinanti
della reattività, suggerisce inoltre che la crescita osservata dal 2022 sia in buona parte
riconducibile all’incremento dell’incertezza degli operatori riguardo ai futuri tassi ufficiali.
Figura A
Reattività dei tassi di interesse dell’area dell’euro (1)
(dati giornalieri; punti base)
(a) reattività alle sorprese dell’area dell’euro
(b) reattività alle sorprese degli Stati Uniti
-0,25
-0,25
-0,50
stima lineare
stima non lineare
-0,50
Fonte: elaborazioni su dati Bloomberg e LSEG.
(1) Viene riportata la reattività del tasso OIS dell’area dell’euro a 2 anni alle sorprese macroeconomiche registrate dagli indici
Bloomberg. La reattività misura la variazione del tasso di interesse in punti base generata da una sorpresa macroeconomica di
grandezza pari a una deviazione standard. Le linee nere indicano la stima della reattività ottenuta mediante una regressione lineare
a finestra mobile di 1 anno e mezzo. Le linee rosse riportano la reattività stimata attraverso un modello non lineare, nel quale si
assume che la reattività dei tassi sia guidata dall’incertezza dei mercati finanziari circa i futuri tassi ufficiali. Per approfondimenti,
cfr. R. Poli e G.C. Venturi, di prossima pubblicazione, op. cit.
R. Poli e G.C. Venturi, Macroeconomic surprises and market reactions: insights into Euro area interest rates,
Banca d’Italia, Questioni di economia e finanza, di prossima pubblicazione.
Relazione annuale
BANCA D’ITALIA
Nel 2024 la reattività dei tassi alle sorprese macroeconomiche si è mantenuta al di sopra
della media storica degli ultimi 25 anni.
Figura B
Il secondo lavoro esamina
Contributo degli shock dell’area dell’euro
le aspettative sui tassi ufficiali
e degli Stati Uniti alla revisione
della
desumibili
delle aspettative sui tassi ufficiali
mercati finanziari, che sono state
dell’area dell’euro (1)
caratterizzate da significative e
(dati giornalieri cumulati a livello annuale; punti base)
ripetute revisioni al rialzo nel
periodo compreso tra il 2022 e il
2024. Per indagare le determinanti
di tali revisioni, si è stimato un
modello vettoriale autoregressivo
che mette in relazione le revisioni
delle aspettative sui tassi con quelle
delle attese di inflazione e di crescita
nell’area dell’euro e negli Stati
Uniti2. L’analisi conferma che in tale
2022-23
periodo gli shock provenienti dagli
revisioni delle aspettative sui tassi
componente non spiegata da shock
Stati Uniti hanno avuto un ruolo
shock degli Stati Uniti
shock dell’area dell’euro
rilevante nelle revisioni delle attese
sull’andamento dei tassi ufficiali Fonte: elaborazioni su dati Bloomberg e LSEG.
Le aspettative sui tassi ufficiali sono desunte dai tassi swap OIS con
della BCE, e quindi dei tassi di (1)
scadenze coincidenti con le riunioni di politica monetaria della BCE e
interesse di mercato. In particolare, della Federal Reserve. Le revisioni sono calcolate secondo la metodologia
in L. Baldo e M. Bernardini, di prossima pubblicazione, op. cit.
nel 2022 e nel 2023, quando sia la riportata
Il contributo degli shock dell’area dell’euro e degli shock degli Stati Uniti
è ottenuto sommando i contributi degli shock di politica monetaria, di
BCE sia la Federal Reserve stavano domanda e di offerta delle rispettive economie stimati in un campione di
attuando una politica monetaria dati di mercato giornalieri tra febbraio 2022 e dicembre 2024.
restrittiva, gli shock nell’area
dell’euro e quelli statunitensi hanno entrambi contribuito alle revisioni al rialzo
delle aspettative (figura B). Al contrario, nel 2024 le prospettive macroeconomiche
divergenti tra le due economie si sono tradotte in un contributo positivo degli shock
statunitensi e in uno negativo di quelli dell’area.
L. Baldo e M. Bernardini, What drives policy rate expectations? Evidence from the post-pandemic cycle, Banca
d’Italia, Temi di discussione, di prossima pubblicazione.
Sul finire del 2024 i tassi privi di rischio a lungo termine sono tornati a salire,
anche nella loro componente reale, contribuendo a un inasprimento delle condizioni
finanziarie. Nei primi mesi del 2025 l’aumento è stato accompagnato da una marcata
volatilità, in un contesto segnato dall’annuncio di un rilevante incremento della spesa
pubblica in Germania (cfr. il capitolo 2) e da crescenti tensioni commerciali connesse
con la decisione degli Stati Uniti di introdurre nuovi dazi (cfr. il capitolo 1). Sulla
scadenza decennale i tassi hanno raggiunto il 2,4 per cento a maggio del 2025.
L’andamento dei rendimenti dei titoli di Stato decennali dell’area dell’euro è stato
simile a quello dei corrispondenti tassi privi di rischio (fig. 3.2.a). Si è tuttavia verificato
un graduale ampliamento del differenziale di rendimento rispetto a questi ultimi, che è
passato da circa 30 punti base alla fine del 2023 a circa 65 in maggio. Tale ampliamento
BANCA D’ITALIA
Relazione annuale
è prevalentemente riconducibile alla riduzione del bilancio dell’Eurosistema e ad attese
di maggiori emissioni.
Le aspettative di inflazione a medio e a lungo termine desunte dai mercati
finanziari sono diminuite significativamente nella seconda metà del 2024 (fig. 3.2.b).
Sull’orizzonte tra uno e tre anni in avanti sono scese sotto l’obiettivo di inflazione della
BCE, fino a raggiungere l’1,7 per cento all’inizio di dicembre; quelle su orizzonti più
lunghi si sono avvicinate alle attese a lungo termine degli analisti, rimaste saldamente
ancorate all’obiettivo. Nei primi mesi del 2025 tali aspettative hanno registrato una
significativa volatilità, simile a quella osservata per i tassi nominali privi di rischio.
A maggio si collocavano su livelli analoghi a quelli della fine del 2024.
Il cambio dell’euro si è sensibilmente indebolito dopo l’estate, sia nei confronti del
dollaro statunitense (toccando un minimo di 1,02 nei primi giorni del 2025, rispetto
all’1,11 della fine del 2023), sia in termini effettivi nominali (fig. 3.2.c). Tale andamento
ha risentito della robustezza della crescita economica statunitense e del peggioramento
delle prospettive economiche nell’area dell’euro. A marzo e ad aprile del 2025 l’euro
ha segnato un forte e rapido apprezzamento nei confronti delle principali valute,
raggiungendo un picco di 1,15 rispetto al dollaro; vi hanno contribuito l’annuncio di
un aumento della spesa pubblica in Germania e il generale indebolimento del dollaro
legato all’intensificarsi delle tensioni commerciali. In maggio si collocava all’1,12
rispetto al dollaro.
La moneta e il credito
La trasmissione dell’allentamento monetario ai tassi attivi e passivi bancari è
avvenuta secondo tempi e modalità coerenti con le esperienze precedenti (cfr. il
riquadro: La trasmissione dell’allentamento della politica monetaria nell’area dell’euro
attraverso il canale bancario). Ciò ha sostenuto la ripresa della dinamica del credito al
settore privato, che è tuttavia rimasta nel complesso debole sia in prospettiva storica,
sia rispetto alla crescita dell’attività economica in termini nominali. Il rapporto tra
prestiti e PIL ha quindi continuato a ridursi.
LA TRASMISSIONE DELL’ALLENTAMENTO DELLA POLITICA MONETARIA NELL’AREA
DELL’EURO ATTRAVERSO IL CANALE BANCARIO
Nel corso del 2024 il costo della raccolta bancaria e quello del credito alle
società non finanziarie e alle famiglie si sono ridotti significativamente, per effetto
della diminuzione dei tassi ufficiali di politica monetaria iniziata in giugno. Al
fine di valutare l’intensità con cui l’orientamento della politica monetaria si sta
trasmettendo alle condizioni finanziarie nell’area dell’euro, il recente episodio può
essere confrontato con il precedente ciclo di accomodamento monetario del biennio
2008-09 e, per quanto riguarda i tassi bancari attivi, con il complesso degli episodi
di irrigidimento e di allentamento a partire dal 2003.
Il contesto macroeconomico e finanziario che ha contraddistinto l’episodio di
riduzione dei tassi ufficiali del periodo 2008-09 era molto diverso da quello del ciclo
avviato nello scorso giugno. Il primo ciclo era iniziato in risposta alla recessione che
Relazione annuale
BANCA D’ITALIA
ha seguito la crisi finanziaria globale; il secondo invece è stato preceduto dal calo
dell’inflazione dopo il picco raggiunto con lo scoppio della crisi energetica.
Il taglio dei tassi ufficiali determina, in via generale, una diminuzione del costo
marginale della raccolta bancaria1. L’entità di questo calo, misurata dal rapporto tra
la variazione del costo marginale della raccolta e quella dell’€STR/Eonia dall’inizio
dell’ultimo ciclo di allentamento della politica monetaria, è risultata leggermente
inferiore a quella osservata nel periodo 2008-09 (figura A, pannello a). Ciò ha riflesso
la contenuta riduzione dei tassi di interesse sui depositi in conto corrente, rimasti
su livelli prossimi allo zero durante il ciclo di restrizione monetaria del biennio
2022-232, e la maggiore rilevanza di questa fonte di provvista nel passivo delle banche
nel confronto storico3. L’intensità della trasmissione dell’allentamento monetario al
costo del credito alle imprese è invece risultata leggermente più forte rispetto agli
anni 2008-09 (figura A, pannello b). A questo ha contribuito la minore percezione
del rischio da parte degli intermediari creditizi nella fase attuale, in un contesto di
tensioni nei mercati finanziari e creditizi marcatamente più contenute4.
Figura A
Tassi di interesse bancari passivi e attivi nell’area dell’euro
(variazioni cumulate in rapporto a quella dell’€STR/Eonia)
(a) tassi di interesse bancari passivi
(b) tassi di interesse bancari attivi
costo
marginale
della raccolta
prestiti
imprese
depositi in
conto
corrente
depositi con
durata
prestabilita
mutui
obbligazioni
set. 2008-lug. 2009
mag. 2024-mar. 2025
Fonte: elaborazioni su dati BCE e LSEG.
Il costo marginale della raccolta è calcolato come media ponderata del costo delle varie fonti di provvista
delle banche, utilizzando come pesi le rispettive consistenze. Si tratta del costo che la banca sosterrebbe per
incrementare di un’unità il proprio bilancio, ricorrendo alle fonti di finanziamento in misura proporzionale
alla composizione del passivo in quel momento.
Per approfondimenti, cfr. il riquadro: La trasmissione della restrizione monetaria al costo del credito del
capitolo 3 nella Relazione annuale sul 2022.
L’intensità della trasmissione della riduzione dei tassi ufficiali alle condizioni finanziarie è stata maggiore
per gli intermediari che a maggio del 2024 offrivano una remunerazione dei depositi a vista superiore
all’1 per cento.
La percezione del rischio viene segnalata dagli intermediari che partecipano all’indagine sul credito bancario
nell’area dell’euro (Bank Lending Survey, BLS) come uno dei contributi alla variazione dei propri criteri di
offerta. L’elevato livello di questo indicatore nel periodo 2008-09 ha verosimilmente indebolito la trasmissione
dell’allentamento monetario al costo dei prestiti alle imprese. Per quanto riguarda il costo dei mutui, la
trasmissione nella fase attuale risulta leggermente più debole rispetto al biennio 2008-09 principalmente per
via dell’aumento del tasso di mercato di riferimento (IRS a dieci anni) nei primi mesi del 2025.
BANCA D’ITALIA
Relazione annuale
Un recente lavoro5 confronta l’intensità della trasmissione della politica
monetaria al costo del credito nella fase attuale con quella calcolata sulla base delle
esperienze precedenti a partire dal 2003. Per il periodo compreso tra gennaio 2003 e
maggio 2024, che include fasi sia di restrizione sia di espansione monetaria, vengono
stimati due modelli vettoriali autoregressivi, uno per le società non finanziarie e uno
per le famiglie, al fine di analizzare la relazione tra una misura del costo dei nuovi
prestiti e un tasso di riferimento di mercato privo di rischio6. I modelli vengono
poi utilizzati per simulare l’andamento del costo dei prestiti a partire da giugno del
2024, condizionando le previsioni all’effettivo andamento dei tassi di riferimento
di mercato. Le previsioni così ottenute misurano l’evoluzione del costo dei prestiti
stimata in linea con le regolarità storiche colte dai modelli, che può essere paragonata
a quella effettivamente realizzatasi.
L’analisi mostra che sia per le imprese (figura B, pannello a), sia per le famiglie
(figura B, pannello b) i tassi di interesse sui nuovi prestiti hanno avuto un’evoluzione
essenzialmente in linea con le previsioni del rispettivo modello, indicando che
l’intensità della trasmissione dell’allentamento monetario è stata coerente con le
regolarità storiche. Tale aderenza riflette anche il limitato peggioramento della
Figura B
Costo del credito e previsioni basate sui tassi di riferimento di mercato
(valori percentuali)
(a) tassi di interesse sui prestiti alle società
non finanziarie
(b) tassi di interesse sui mutui alle famiglie
per l’acquisto di abitazioni
valori osservati
intervallo di confidenza al 90%
valori previsti (1)
intervallo di confidenza al 68%
Fonte: elaborazioni su dati BCE e LSEG.
(1) La previsione è ottenuta tenendo conto dell’evoluzione effettiva del corrispondente tasso di riferimento di mercato.
M. Santi e S. Schiaffi, The transmission of the easing cycle in the euro area: preliminary evidence on the credit
channel, Banca d’Italia, Questioni di economia e finanza, di prossima pubblicazione.
Vengono stimati due modelli vettoriali autoregressivi che incorporano una relazione di cointegrazione tra il
costo dei nuovi prestiti e un tasso di riferimento di mercato. Per le imprese, il modello include l’indicatore
composito del costo del credito alle società non finanziarie e l’Euribor a tre mesi; per le famiglie, il modello
include l’indicatore composito del costo dei mutui per l’acquisto di abitazioni e l’IRS a dieci anni.
Relazione annuale
BANCA D’ITALIA
percezione del rischio segnalata dalle banche nei primi trimestri successivi all’inizio
della fase di allentamento della politica monetaria7.
In prospettiva, in una fase di elevata incertezza sull’andamento dell’attività economica
e sull’evoluzione del contesto internazionale, un incremento della percezione del rischio
da parte degli intermediari bancari potrebbe indebolire la trasmissione dell’allentamento
monetario al costo del credito. Un’ulteriore attenuazione della trasmissione potrebbe
derivare dagli annunci di politiche di bilancio espansive nei paesi dell’area dell’euro, per
effetto dei più alti tassi di riferimento di mercato a medio e a lungo termine.
Un esercizio di validazione retrospettiva del modello stimato mostra che gli errori di previsione sono
correlati positivamente con la variazione della percezione del rischio segnalata dalle banche nei quattro
trimestri precedenti.
Tra dicembre 2023 e marzo 2025 il costo marginale della raccolta bancaria1 è
diminuito di circa 80 punti base. La riduzione è avvenuta in concomitanza con il calo
dei tassi di interesse ufficiali e ha interessato tutte le principali componenti del passivo
con l’eccezione dei depositi a vista, i cui rendimenti erano rimasti sostanzialmente
stabili su livelli contenuti anche durante la fase di rialzo dei tassi ufficiali.
Il minore costo opportunità di detenere attività liquide ha contribuito alla ripresa dei
depositi a vista, sostenendo così anche la dinamica degli aggregati monetari (fig. 3.3.a).
Figura 3.3
Costo dei prestiti e andamento degli aggregati monetari
e creditizi nell’area dell’euro
(dati mensili)
(a) aggregati monetari (1)
(variazioni percentuali
sui 12 mesi)
(b) indicatore composito
del costo del credito (2)
(valori percentuali)
(c) prestiti (3)
(variazioni percentuali
sui 12 mesi)
famiglie per l’acquisto di abitazioni
famiglie
società non finanziarie
società non finanziarie
settore privato (4)
Fonte: BCE.
(1) Variazioni calcolate sulla base di dati destagionalizzati e corretti per tenere conto degli effetti di calendario. – (2) Media ponderata dei
tassi di interesse sui nuovi prestiti a breve e a medio-lungo termine, con pesi pari alla media mobile a 24 mesi dei flussi di nuove erogazioni,
leggermente modificati per i prestiti a breve termine per tenere conto dei conti correnti. Per maggiori dettagli, cfr. BCE, Cost-of-borrowing
indicators. Methodological note. – (3) Variazioni dei prestiti concessi dalle istituzioni finanziarie e monetarie (IFM), corretti per l’effetto
contabile delle cartolarizzazioni. – (4) Il settore privato è costituito da famiglie, istituzioni senza scopo di lucro al servizio delle famiglie,
società non finanziarie, imprese di assicurazione e fondi pensione, fondi comuni non monetari e altre istituzioni finanziarie.
Per la modalità di calcolo del costo marginale della raccolta, cfr. la nota 1 del riquadro: La trasmissione
dell’allentamento della politica monetaria nell’area dell’euro attraverso il canale bancario.
BANCA D’ITALIA
Relazione annuale
Dal lato delle contropartite, la crescita dell’aggregato monetario M3 ha riflesso
prevalentemente l’aumento delle attività nette sull’estero e dei finanziamenti al settore
privato.
L’indicatore composito del costo del credito alle società non finanziarie si è ridotto
nel corso del 2024 e nei primi tre mesi del 2025 di circa 130 punti base, mentre la
flessione del costo del credito alle famiglie per l’acquisto di abitazioni, più strettamente
legato agli andamenti dei tassi a lungo termine, è stata di circa 65 punti (fig. 3.3.b).
La dinamica dei prestiti alle società non finanziarie e alle famiglie, anche se in
ripresa, si è mantenuta nel complesso debole e rispettivamente pari al 2,3 e all’1,7 per
cento sui dodici mesi terminanti in marzo (fig. 3.3.c); tali tassi di crescita restano al di
sotto delle rispettive medie storiche.
Secondo le banche partecipanti all’indagine sul credito bancario nell’area dell’euro
(Bank Lending Survey, BLS), la dinamica dei prestiti alle imprese ha continuato a
risentire della debolezza della domanda di finanziamenti, soprattutto per investimenti
fissi, in un contesto in cui le politiche di offerta, già improntate alla cautela, sono
state lievemente irrigidite nell’ultimo trimestre del 2024 e nel primo del 2025 per il
maggiore rischio percepito dagli intermediari. Per quanto riguarda i prestiti alle famiglie
per l’acquisto di abitazioni, nello scorso anno e all’inizio di quello in corso le banche
hanno segnalato un allentamento dei criteri di concessione del credito e un marcato
aumento della domanda, sostenuta principalmente dalla riduzione dei tassi di interesse.
Relazione annuale
BANCA D’ITALIA
L’ECONOMIA ITALIANA
4. IL QUADRO DI INSIEME
Gli andamenti nel 2024
L’anno scorso il PIL dell’Italia, valutato a prezzi concatenati e senza correzione
per le giornate lavorative, è cresciuto dello 0,7 per cento, come nel 2023 e
sostanzialmente in linea con le attese di inizio anno (cfr. il riquadro: Crescita del PIL
e inflazione nel 2024: le determinanti dello scostamento tra valori realizzati e valori
previsti); all’aumento hanno contribuito in misura pressoché uguale la domanda
nazionale e quella estera netta (tav. 4.1). L’espansione dei consumi delle famiglie è
rimasta contenuta, mentre si è accentuata quella della spesa delle Amministrazioni
pubbliche. Gli investimenti hanno fortemente decelerato, con un calo della
componente dei macchinari e attrezzature. Le importazioni sono diminuite per
il secondo anno consecutivo; le esportazioni invece hanno registrato un nuovo,
moderato incremento.
Tavola 4.1
Conto economico delle risorse e degli impieghi in Italia
(valori percentuali, salvo diversa indicazione)
Risorse
Importazioni di beni e servizi (4)
di cui: beni
Impieghi
Domanda nazionale
Spesa delle famiglie residenti (5)
Spesa delle Amministrazioni
pubbliche
Investimenti fissi lordi
impianti, macchinari, armamenti
e risorse biologiche coltivate
prodotti di proprietà intellettuale
costruzioni
Variazione delle scorte (6)
Esportazioni di beni e servizi (7)
di cui: beni
Domanda estera netta
sul PIL
nel 2024
Variazioni
Contributo
alla crescita
del PIL
Variazioni
Volumi
Deflatori
Contributo
alla crescita
del PIL
Volumi
Deflatori
Fonte: Istat, Conti economici nazionali; cfr. nella sezione Note metodologiche dell’Appendice la voce Conti nazionali: valori concatenati.
(1) Valori a prezzi dell’anno precedente. – (2) Valori concatenati. – (3) Valori concatenati. Punti percentuali. – (4) Includono la spesa
all’estero dei residenti. – (5) Include anche le istituzioni senza scopo di lucro al servizio delle famiglie. – (6) Include gli oggetti di valore. –
(7) Includono la spesa in Italia dei non residenti.
BANCA D’ITALIA
Relazione annuale
CRESCITA DEL PIL E INFLAZIONE NEL 2024: LE DETERMINANTI DELLO SCOSTAMENTO TRA
VALORI REALIZZATI E VALORI PREVISTI
Nel 2024 il PIL dell’Italia corretto per i giorni lavorativi è aumentato dello
0,5 per cento, sostenuto dalla spesa delle famiglie, nonché da un contributo
positivo del commercio con l’estero principalmente ascrivibile alla contrazione
delle importazioni. L’inflazione al consumo è scesa in misura marcata rispetto ai
livelli storicamente elevati del biennio precedente, collocandosi all’1,1 per cento
nella media dell’anno.
La crescita del prodotto è stata solo di poco inferiore alle proiezioni formulate
dalla Banca d’Italia alla fine del 20231. L’inflazione è stata invece significativamente
più contenuta. Il modello trimestrale dell’economia italiana2 permette di valutare
i contributi dei diversi fattori che hanno determinato uno scostamento tra gli
andamenti effettivi e quelli previsti (tavola).
Tavola
Revisioni rispetto alle previsioni e contributi delle principali determinanti
(tassi di crescita annuali e punti percentuali)
Crescita del PIL
Inflazione
armonizzata (1)
Consuntivo del 2024 (2)
Previsione a dicembre del 2023 (2)
Differenza (3)
di cui: condizioni iniziali
tassi di interesse e di cambio
domanda estera e prezzi internazionali
prezzi delle materie prime
dinamica salariale
altri fattori (4)
(1) Indice armonizzato dei prezzi al consumo (IPCA). – (2) Valori concatenati; tassi di crescita calcolati sulla base di dati trimestrali
destagionalizzati e corretti per il numero di giornate lavorative. – (3) I contributi alle revisioni del PIL e dell’inflazione sono ricavati
stimando gli effetti delle variazioni negli andamenti di ciascun fattore indicato in riga, rispetto a quanto ipotizzato nel quadro previsivo
predisposto nell’ambito dell’esercizio coordinato dell’Eurosistema pubblicato a dicembre del 2023. – (4) Include la componente dell’errore
di previsione non spiegata né dalle condizioni iniziali, né dagli andamenti delle principali determinanti incluse nel modello econometrico.
Eventuali mancate quadrature sono dovute agli arrotondamenti.
La dinamica del PIL nell’ultimo trimestre del 2023 è stata più favorevole di
quanto stimato sulla base delle informazioni disponibili nel momento in cui sono
state formulate le previsioni, determinando un maggiore effetto di trascinamento sulla
Banca d’Italia, Proiezioni macroeconomiche per l’economia italiana (esercizio coordinato dell’Eurosistema), 15
dicembre 2023.
Una descrizione delle caratteristiche generali e delle principali equazioni del modello trimestrale
dell’economia italiana è contenuta in G. Bulligan, F. Busetti, M. Caivano, P. Cova, D. Fantino, A. Locarno
e L. Rodano, The Bank of Italy econometric model: an update of the main equations and model elasticities,
Banca d’Italia, Temi di discussione, 1130, 2017.
Relazione annuale
BANCA D’ITALIA
crescita del prodotto nel 20243. Un ulteriore contributo positivo è derivato da tassi
di interesse e da prezzi delle materie prime più bassi rispetto alle ipotesi sottostanti al
quadro previsivo.
L’attività economica ha invece risentito di un contesto internazionale meno
favorevole delle attese, sia per una minore crescita della domanda estera di beni e servizi
italiani, sia per un più forte rallentamento dei prezzi dei nostri concorrenti sui mercati
internazionali, che si sono riflessi in un andamento più contenuto delle esportazioni.
Inoltre, la rimodulazione temporale di alcune misure del Piano nazionale di ripresa e
resilienza (PNRR) ha determinato uno stimolo all’attività meno intenso di quanto
previsto.
Nel 2024 l’inflazione al consumo è risultata inferiore di 0,8 punti percentuali rispetto
alle stime di dicembre 2023. Metà dello scostamento è riconducibile a una dinamica
dei prezzi delle materie prime ben più moderata di quanto ipotizzato. In particolare, il
prezzo del gas naturale è stato inferiore di circa il 30 per cento a quello desumibile dagli
andamenti di mercato osservati alla fine di novembre del 2023, sui quali erano basate
le proiezioni. Un ulteriore contributo di 0,2 punti percentuali all’errore sull’inflazione è
derivato da un aumento delle retribuzioni meno marcato del previsto.
In particolare la crescita nel 2024 già acquisita alla fine del 2023 – ossia la crescita che si sarebbe realizzata
qualora il PIL fosse rimasto per tutto lo scorso anno sul livello raggiunto nell’ultimo trimestre del 2023 – è
stata superiore di 2 decimi di punto a quella implicita nelle previsioni del dicembre 2023.
Dal lato dell’offerta, il valore aggiunto è cresciuto dello 0,5 per cento;
l’aumento ha riguardato tutte le aree del Paese (cfr. il riquadro: Le recenti
evoluzioni dei divari tra Centro Nord e Mezzogiorno). L’attività ha ristagnato
nell’industria in senso stretto (cfr. il riquadro: L’impatto del costo dell’energia
sul settore industriale) e ha rallentato nelle costruzioni e nei servizi; ciò a seguito,
rispettivamente, del netto ridimensionamento del sostegno connesso con gli
incentivi fiscali per l’edilizia residenziale e dell’affievolirsi dell’impulso dei comparti
a elevata interazione sociale (ad es. turismo e ristorazione) dovuto alla forte ripresa
post-pandemica.
LE RECENTI EVOLUZIONI DEI DIVARI TRA CENTRO NORD E MEZZOGIORNO
Dopo essere cresciuto meno che nel resto del Paese tra l’inizio degli anni
duemila e la pandemia1, il PIL è aumentato nel Mezzogiorno in misura maggiore
rispetto al Centro Nord tra il 2019 e il 2023 (5,9 a fronte di 3,4 per cento). Nel
2024, secondo l’indicatore trimestrale dell’economia regionale (ITER)2 elaborato
dalla Banca d’Italia, la dinamica sarebbe stata simile nelle due aree (0,9, contro 0,7
per cento).
A. Accetturo, G. Albanese, R. Torrini, D. Depalo, S. Giacomelli, G. Messina, F. Scoccianti e V.P. Vacca,
Il divario Nord-Sud: sviluppo economico e intervento pubblico, Banca d’Italia, Seminari e convegni, 25,
2022.
V. Di Giacinto, L. Monteforte, A. Filippone, F. Montaruli e T. Ropele, ITER: a quarterly indicator of
regional economic activity in Italy, Banca d’Italia, Questioni di economia e finanza, 489, 2019.
BANCA D’ITALIA
Relazione annuale
In termini pro capite, nel 2023 il prodotto del Mezzogiorno era poco
meno del 57 per cento di quello del Centro Nord, quasi 2 punti percentuali in
più di quanto osservato nel periodo pre-pandemico. Alla riduzione del divario
ha contribuito in particolar modo l’espansione occupazionale, che ha più
che compensato il peggiore andamento demografico nel meridione (figura A,
pannello a). Secondo nostre elaborazioni3, il lieve aumento della produttività del
lavoro, che ha sostenuto il PIL pro capite in maniera analoga nelle due aree, sarebbe
stato determinato dall’evoluzione positiva della produttività totale dei fattori; nel
Sud e nelle Isole questa ha più che supplito alla diminuzione dell’intensità di
capitale, che invece è rimasta invariata nel resto del Paese.
Figura A
Crescita del PIL pro capite e dell’occupazione
(variazioni percentuali e punti percentuali)
(a) andamento del PIL pro capite
e sue componenti
(b) contributi settoriali
alla crescita occupazionale (1)
Centro
Sud e Isole
2014-19
Centro
Sud e Isole
2019-23
popolazione 15-64 sul totale
tasso di occupazione
ore lavorate/occupati
PIL/ore lavorate
variazione PIL pro capite
Centro Nord
Sud e Isole
industria in senso stretto
costruzioni
commercio, trasporti, alloggio e ristorazione
istruzione e sanità
altro
variazione totale
Fonte: per il pannello (a), elaborazioni su dati Istat, Conti economici territoriali; cfr. nella sezione Note metodologiche dell’Appendice la
voce Conti territoriali: ricostruzione alla luce della revisione generale dei conti nazionali; per il pannello (b), elaborazioni su dati Istat,
Rilevazione sulle forze di lavoro; cfr. nella sezione Note metodologiche dell’Appendice la voce Mercato del lavoro: Rilevazione sulle
forze di lavoro.
(1) Variazione nel periodo 2019-23. I gruppi si riferiscono alle sezioni Ateco B-E (industria in senso stretto), F (costruzioni),
G-I (commercio, trasporti, alloggio e ristorazione), J (ICT), P-Q (istruzione e sanità). La categoria residuale altro raggruppa tutti i restanti settori.
L’incremento dell’occupazione nel meridione tra il 2019 e il 2023 è riconducibile
al comparto delle costruzioni, che ha beneficiato dei generosi incentivi per la
riqualificazione edilizia, nonché ai servizi di istruzione e sanità, anche a seguito
dell’allentamento dei vincoli di bilancio per l’assunzione di nuovo personale (figura A,
pannello b); gli effetti di queste politiche sono stati meno marcati al Centro Nord,
sia in ragione dei tassi di crescita più moderati dei comparti interessati, sia perché
questi ultimi pesano meno sull’occupazione dell’area. In tutto il Paese è stato molto
ampio l’apporto del settore delle tecnologie dell’informazione e della comunicazione
(information and communication technology, ICT). Nel Sud e nelle Isole i lavoratori in
Per approfondimenti, cfr. nella sezione Note metodologiche dell’Appendice la voce Imprese: scomposizione
della crescita della produttività del lavoro.
Relazione annuale
BANCA D’ITALIA
tale comparto sono aumentati del 50 per cento (22,5 nel resto del Paese), giungendo a
rappresentare il 2,2 per cento del totale, una quota tuttavia ancora significativamente
più bassa rispetto al Centro Nord (3,7); tale andamento è stato trainato da tre aree
urbane particolarmente dinamiche (Napoli, Bari, Catania), che impiegano circa la
metà degli addetti del settore ICT nel Mezzogiorno.
Nel 2024 l’espansione occupazionale è proseguita a tassi più elevati nel Sud e
nelle Isole che nel resto del Paese (2,2 per cento, a fronte di 1,2; cfr. il capitolo 7).
Nel periodo 2019-23 anche le esportazioni del Mezzogiorno, che costituiscono
poco più di un decimo di quelle nazionali, hanno mostrato segnali di vitalità,
crescendo di circa il 15 per cento in termini reali, più del doppio che nel resto
dell’Italia. L’aumento è stato determinato in larga parte dal comparto farmaceutico
campano4 e da quello dei prodotti petroliferi siciliano, settori fortemente dipendenti
da pochi grandi stabilimenti. Nel 2024 le esportazioni sono diminuite ovunque,
meno intensamente al Centro Nord. L’esposizione diretta delle due aree del Paese
alle tensioni commerciali con gli Stati Uniti è pressoché analoga: in entrambi i casi le
vendite verso tale mercato incidono per circa il 10 per cento sulle esportazioni totali
e sono concentrate nei settori dei macchinari, della farmaceutica e, soprattutto per il
Mezzogiorno, degli alimentari.
La struttura produttiva ha mostrato segnali di rafforzamento: la riduzione della
quota di addetti delle microimprese (0-9 addetti) è proseguita in tutte le aree anche
tra il 2019 e il 2022 (ultimo anno per il quale sono disponibili dati aggiornati), come
nel periodo pre-pandemico. Al Centro Nord è cresciuto maggiormente il peso delle
grandi imprese (con almeno 250 addetti); nel Sud e nelle Isole, dove l’incidenza delle
microimprese rimane comunque quasi 20 punti più elevata che nel resto del Paese, è
aumentata soprattutto la rilevanza delle aziende piccole e medie (figura B, pannello a).
Indicazioni positive emergono soprattutto dal netto miglioramento delle
condizioni economico-finanziarie delle imprese meridionali (figura B, pannello b).
Il grado di indebitamento (leverage) è sceso sotto i livelli del Centro Nord e la
redditività operativa ha continuato a crescere, beneficiando anche dell’effetto delle
misure di decontribuzione sul costo del lavoro (decontribuzione Sud)5. Ciò si è
riflesso in una riduzione significativa del divario territoriale del costo del credito per
le imprese: il differenziale del tasso annuo effettivo (TAE) per i prestiti connessi con
esigenze di liquidità è sceso a circa un punto percentuale nel dicembre 2024, da 1,63
nello stesso mese del 2019.
I flussi dell’industria farmaceutica sono caratterizzati dall’elevata incidenza delle lavorazioni in conto terzi
(processing) e delle transazioni effettuate da partite IVA non residenti sul territorio italiano; entrambi i
fenomeni sono inclusi nelle statistiche di commercio estero, utilizzate per le stime riportate nel riquadro,
ma non in quelle di contabilità nazionale. Di conseguenza lo stimolo del comparto alla crescita delle
esportazioni complessive di beni dell’Italia è più contenuto secondo i dati di contabilità nazionale (cfr. il
riquadro: L’andamento delle esportazioni dell’Italia nell’ultimo quinquennio e le loro prospettive del capitolo 9).
Nostre analisi preliminari indicano che tali misure non hanno avuto un impatto significativo
sull’occupazione e sui salari delle imprese meridionali; esse hanno tuttavia generato risparmi sul costo del
lavoro, che si sono tradotti in un miglioramento della redditività; cfr. G. Albanese, E. Ciani, G. Macci,
G. Mendicino e A. Petrella, The effects of a large place-based reduction of employer’s contributions: the case of
Decontribuzione Sud, Banca d’Italia, Questioni di economia e finanza, di prossima pubblicazione.
BANCA D’ITALIA
Relazione annuale
Figura B
Trasformazioni della struttura produttiva
e situazione economico-finanziaria delle imprese
(a) variazione della quota di addetti
per classe dimensionale di impresa
(punti percentuali)
(b) indebitamento e redditività
(valori percentuali)
Centro
Sud e Isole
2014-19
10-49
50-249
Centro
Sud e Isole
’08 ’09 ’10 ’11 ’12 ’13 ’14 ’15 ’16 ’17 ’18 ’19 ’20 ’21 ’22 ’23
2019-22
leverage – Centro Nord (1)
leverage – Sud e Isole (1)
redditività operativa – Centro Nord (2)
250 e più addetti
redditività operativa – Sud e Isole (2)
Fonte: per il pannello (a), Istat; per il pannello (b), elaborazioni su dati Cerved.
(1) Rapporto tra i debiti finanziari e la somma di questi e del patrimonio netto. – (2) Rapporto tra margine operativo lordo (MOL)
e attivo. Scala di destra.
L’ampia differenza che tuttora permane nel tasso di occupazione tra Mezzogiorno
e Centro Nord (20 punti percentuali in meno, circa 25 per le donne) indica che, per
favorire la convergenza con il resto del Paese, occorrerà includere nel mercato del lavoro
meridionale larghe fasce di popolazione, spesso caratterizzate da bassi livelli di qualifiche
ed esperienza. Affinché la produttività non si deteriori sarà necessaria un’espansione del
livello di capitale. Nostre stime indicano che, tenendo conto anche delle tendenze demografiche, una crescita del tasso di occupazione nel Sud e nelle Isole di 10 punti percentuali entro il 2030 – tale da dimezzare il divario attuale nei confronti del Centro Nord –
richiederebbe l’impiego di circa 750.000 lavoratori in più; per mantenere ai valori attuali
l’intensità di capitale, quest’ultimo dovrebbe aumentare di oltre 200 miliardi di euro6.
Il miglioramento delle condizioni di contesto (cfr. il riquadro: Un indicatore
della qualità del contesto istituzionale del capitolo 11) e il rafforzamento economicofinanziario delle imprese potrebbero agevolare, insieme ad alcune politiche di
sostegno7, l’irrobustimento degli investimenti privati nel Mezzogiorno. A tali fattori
si aggiungono le ingenti risorse pubbliche già stanziate per la spesa in conto capitale,
come i fondi residui del PNRR, del relativo piano nazionale complementare e quelli
delle politiche di coesione, stimabili in quasi 170 miliardi da utilizzare entro la fine
del decennio.
A. Accetturo, E. Ciani, S. Mocetti e A. Petrella, Le prospettive di sviluppo dell’economia meridionale, Banca
d’Italia, Questioni di economia e finanza, di prossima pubblicazione.
Tra queste, un contributo potrebbe provenire dalle agevolazioni previste per la Zona economica speciale
(ZES) unica, istituita a partire dal 1° gennaio 2024. I dati attualmente a disposizione sono ancora
insufficienti per valutarne l’impatto; sulla base di indicazioni preliminari, la sua introduzione avrebbe
coinciso con un incremento degli investimenti di importi elevati nel Mezzogiorno.
Relazione annuale
BANCA D’ITALIA
L’IMPATTO DEL COSTO DELL’ENERGIA SUL SETTORE INDUSTRIALE
Tra il 2021 e il 2022 il prezzo del gas naturale in Europa è aumentato
notevolmente. All’inizio del biennio la ripresa economica post-pandemica e un calo
nella produzione di energia da altre fonti hanno sospinto la domanda di gas. Nella
seconda metà del 2021 si è inoltre notevolmente compressa l’offerta con la drastica
riduzione delle esportazioni dalla Russia verso l’Unione europea. Nel 2022, in seguito
all’invasione russa dell’Ucraina, i prezzi hanno raggiunto livelli senza precedenti,
con punte molto elevate durante l’estate. Per far fronte a questa situazione la UE e
i paesi membri hanno approvato una serie di misure volte sia a contenere i prezzi
dell’energia, sia a ridurre progressivamente la dipendenza dalle forniture russe.
L’economia italiana si è trovata in condizioni di particolare fragilità, perché
fortemente dipendente dalle importazioni di gas per il consumo diretto e per la
produzione di energia elettrica. Già prima della crisi i prezzi dell’elettricità in Italia
erano superiori a quelli medi degli altri principali paesi europei, anche a causa di un
maggiore peso della tassazione. Mentre i prezzi pagati dalle imprese con consumi
elevati erano in linea con la media europea, lo svantaggio era consistente per le
imprese con consumi energetici più contenuti, che risentivano di imposte e oneri
piuttosto alti e di un minore potere di mercato nella negoziazione con i fornitori.
A fronte degli ingenti e repentini rincari di gas ed elettricità all’ingrosso,
l’impatto sui prezzi al dettaglio per le imprese si è manifestato in modo graduale,
grazie alla precedente diffusione fra le aziende di contratti a prezzo fisso per la
fornitura di energia1. Tale impatto è stato inoltre attenuato dalle misure di sostegno
pubblico2, quali ad esempio l’azzeramento degli oneri di sistema3. Tra il 2019 e il
2022, a seguito di un incremento del prezzo al dettaglio dell’energia elettrica pari
all’81 per cento, il differenziale di prezzo pagato dalle imprese italiane rispetto alla
media europea si è ampliato.
L’impatto complessivo dei rincari energetici sui costi delle imprese dipende
da tre fattori: (a) l’incidenza degli acquisti di energia sui costi totali di produzione;
(b) il grado di sostituibilità dell’energia con altri input; (c) l’intensità energetica dei
beni intermedi acquistati dai fornitori. Tenendo conto di tutti questi elementi, nostre
analisi indicano che durante il biennio 2021-22 l’incremento dei prezzi dell’energia
ha determinato una crescita dei costi di produzione nella manifattura compresa tra
il 4 e il 5 per cento4. L’aumento è stato sostanzialmente più rilevante nei settori ad
alta intensità energetica (9,5 per cento; 3 negli altri comparti della manifattura).
M. Alpino, L. Citino e A. Frigo, The effects of the 2021 energy crisis on medium-sized and large industrial firms:
evidence from Italy, Banca d’Italia, Questioni di economia e finanza, 776, 2023; cfr. anche il riquadro: L’impatto
della crisi energetica sulle imprese industriali italiane con almeno 50 addetti del capitolo 6 nella Relazione annuale
sul 2022.
Elaborazioni sulle valutazioni ufficiali contenute negli atti parlamentari indicano che nel triennio 2021‑23
le misure dedicate alle imprese hanno previsto uno stanziamento complessivo pari a 32,7 miliardi.
Le aziende hanno beneficiato anche degli interventi destinati a tutti i consumatori di energia.
Gli oneri di sistema rappresentano una componente della bolletta che serve a coprire i costi delle attività
di interesse generale per il sistema energetico.
Si ipotizza che i margini di profitto rimangano costanti al variare della struttura dei costi e dunque che i
maggiori costi si trasferiscano sul prezzo dei beni prodotti.
BANCA D’ITALIA
Relazione annuale
I consumi energetici delle imprese sono altamente concentrati, anche all’interno
dei settori. Nel 2019 poco meno di 4.000 aziende energivore 5 (su circa 130.000
industriali)6 assorbivano circa il 18 e il 15 per cento dei consumi rispettivamente di
elettricità e di gas naturale dell’intero Paese. Nonostante l’elevata esposizione allo
shock, queste imprese sono riuscite a preservare la propria redditività: nel 2022
hanno trasferito i rincari dell’energia sui prezzi di vendita (incrementandoli del 23
per cento, circa il doppio rispetto alle altre imprese industriali; figura, pannello a),
mantenendo sostanzialmente invariate le quantità vendute. Il rapporto tra
margine operativo lordo e fatturato è leggermente aumentato (da 9,5 a 9,8 per
cento)7; sarebbe sceso di 1,5 punti percentuali in assenza delle misure di supporto8
introdotte per mitigare l’incremento dei costi di produzione (figura, pannello b).
Nel 2023 i prezzi di vendita sono diminuiti meno dei costi di produzione, che
Figura
Indicatori di performance delle imprese (1)
(a) ricavi, prezzi e quantità (2)
(variazioni percentuali sull’anno precedente)
(b) margine operativo lordo (3)
(in percentuale del fatturato)
imprese
energivore
imprese
energivore
altre
imprese
industriali
altre
imprese
industriali
ricavi nominali
quantità vendute
prezzi di vendita
’13 ’14 ’15 ’16 ’17 ’18 ’19 ’20 ’21 ’22 ’23
imprese energivore (totale)
imprese energivore (al netto degli aiuti)
altre imprese industriali (totale)
altre imprese industriali (al netto degli aiuti)
Fonte: elaborazioni su dati Banca d’Italia (Indagine sulle imprese industriali e dei servizi) e Cerved.
(1) Sono escluse dall’analisi la fabbricazione di derivati dalla raffinazione del petrolio e dai combustibili fossili, l’estrazione di petrolio
e gas naturale, e la fornitura di energia elettrica, gas, vapore e aria condizionata. – (2) Le medie sono pesate per il valore dei ricavi
dell’anno precedente. – (3) Gli aiuti includono solo i contributi in conto esercizio, ossia le agevolazioni pubbliche finalizzate a coprire le
spese correnti.
Si tratta delle imprese elettrivore e gasivore individuate sulla base dei criteri indicati dal DM 21 dicembre 2017
e dal DM 541/2021. I requisiti per l’inclusione nelle categorie riguardano: (a) il valore assoluto del consumo
di energia elettrica (o di gas); (b) l’incidenza della spesa energetica (o per il gas) sia sul fatturato sia sul valore
aggiunto; (c) l’appartenenza a determinati settori particolarmente esposti alla concorrenza internazionale.
Sono escluse le imprese industriali che svolgono le seguenti attività: fabbricazione di prodotti derivati
dalla raffinazione del petrolio e dai combustibili fossili, estrazione di petrolio e gas naturale e fornitura di
energia elettrica, gas, vapore e aria condizionata.
Per maggiori dettagli, cfr. M. Alpino e L. Citino, Energy shocks and corporate resilience: evidence from
energy-intensive firms, Banca d’Italia, Questioni di economia e finanza, di prossima pubblicazione.
All’interno di questo computo sono inclusi unicamente gli aiuti che le imprese riportano nei propri bilanci
tra i contributi in conto esercizio. Sono esclusi gli sconti che si applicano direttamente in bolletta, quali
l’azzeramento degli oneri o la riduzione dell’IVA.
Relazione annuale
BANCA D’ITALIA
hanno beneficiato del calo del costo dell’energia. I margini sono quindi cresciuti
ulteriormente (10,8 per cento; 9,6 al netto degli aiuti), ma il calo delle quantità
vendute (-8,4 per cento) ha inciso sui profitti totali, che si sono attestati su livelli
comunque superiori a quelli pre-pandemici.
Nel 2024 i prezzi dell’energia elettrica pagati dalle imprese italiane si sono
drasticamente ridotti rispetto al picco della crisi, pur rimanendo più elevati rispetto
al 2019 e alla media UE. Se si allineassero a quelli sostenuti dalle altre imprese
europee, i costi di produzione nella manifattura sarebbero inferiori dell’1 per cento.
La domanda interna. – I consumi delle famiglie hanno continuato a crescere con
intensità analoga all’anno precedente (0,4 per cento). Il reddito disponibile delle famiglie consumatrici è aumentato del 2,7 per cento a valori correnti e, grazie alla forte
riduzione dell’inflazione, anche il potere d’acquisto è salito, portandosi all’1,3 per cento
(dopo la leggera contrazione del biennio precedente). La cautela nelle decisioni di spesa
delle famiglie ha determinato un incremento della propensione al risparmio, al 9,0 per
cento in media d’anno.
Gli investimenti fissi lordi hanno fortemente rallentato, allo 0,5 per cento (dal 9,0),
con dinamiche eterogenee fra le principali componenti. Quelli in costruzioni hanno
continuato a crescere (2,0 per cento), sebbene in forte decelerazione rispetto allo scorso
anno (15,5 per cento). All’ulteriore espansione della spesa per opere non residenziali,
che ha beneficiato dell’attuazione dei progetti del PNRR (cfr. il riquadro: Lo stato di
attuazione del Piano nazionale di ripresa e resilienza), si è contrapposto il calo per il
comparto residenziale, dovuto soprattutto al netto ridimensionamento delle agevolazioni
legate al Superbonus. Gli investimenti in beni strumentali sono diminuiti del 2,6
per cento, risentendo del deterioramento delle prospettive di domanda. Erano saliti
cumulativamente nel precedente quadriennio di quasi il 25 per cento, anche in seguito
alle favorevoli condizioni di finanziamento stabilite fino al 2022 e agli incentivi del piano
Transizione 4.0.
LO STATO DI ATTUAZIONE DEL PIANO NAZIONALE DI RIPRESA E RESILIENZA
Per il PNRR l’Italia ha finora ricevuto 122,1 miliardi di euro (di cui 46,4 sotto
forma di sovvenzioni), pari al 62,8 per cento delle risorse totali. Nel confronto con
gli altri Stati membri dell’Unione europea, il nostro paese è il quinto sia per quota di
pagamenti incassati sia per quota di traguardi e obiettivi completati, dopo Francia,
Danimarca, Estonia e Germania, i cui piani sono peraltro di entità complessiva
molto inferiore1.
La richiesta di pagamento della settima rata da 18,2 miliardi, relativa ai 67
traguardi e obiettivi da raggiungere nel secondo semestre del 2024, è in corso di
valutazione da parte della Commissione europea.
La dotazione di risorse ammonta a 40,3 miliardi per la Francia, a 30,3 per la Germania, a 1,6 per la
Danimarca e a un miliardo per l’Estonia.
BANCA D’ITALIA
Relazione annuale
Secondo le informazioni contenute nella sesta Relazione sullo stato di attuazione
del PNRR, al 28 febbraio 2025 le risorse utilizzate erano pari a 65,7 miliardi (poco
più della metà dei pagamenti ricevuti). Oltre il 40 per cento di tale importo è
riferito ad agevolazioni fiscali – per loro natura fruibili in tempi inferiori rispetto
a quelli della realizzazione di opere pubbliche – e riguarda principalmente i fondi
impiegati per finanziare il programma Transizione 4.0 e l’Ecobonus per l’efficienza
energetica. Lo stato di avanzamento finanziario risulta di conseguenza superiore
alla media per le missioni 1 (digitalizzazione, innovazione, competitività, cultura
e turismo) e 2 (rivoluzione verde e transizione ecologica; figura A, pannello a),
nelle quali ricadono le due misure. In base alle informazioni contenute nel
Documento di finanza pubblica 2025, una parte delle risorse (poco più di 12
miliardi) dovrebbe essere impiegata oltre il termine del Piano, ossia dopo giugno
2026, senza pregiudicare il raggiungimento dei relativi traguardi e obiettivi2.
Figura A
Progressi del PNRR
(a) avanzamento finanziario (1)
(miliardi di euro e valori percentuali)
risorse da utilizzare
risorse utilizzate
missione
missione
missione
missione
missione
missione
missione
prefinanziamento
(b) traguardi, obiettivi e importo delle rate
di pagamento (2)
(unità e miliardi di euro)
2° 1°
2° 1°
2° 1°
2° 1°
2° 1°
sem. sem. sem. sem. sem.sem. sem. sem. sem. sem.
traguardi
obiettivi
importo rata (3)
Fonte: portale Italia Domani e Presidenza del Consiglio dei ministri, Sesta relazione sullo stato di attuazione del Piano nazionale di
ripresa e resilienza.
(1) Dati aggiornati al 28 febbraio 2025. Le percentuali rappresentano la quota delle risorse utilizzate sul totale assegnato a ciascuna
missione. Missione 1: digitalizzazione, innovazione, competitività, cultura e turismo; missione 2: rivoluzione verde e transizione
ecologica; missione 3: infrastrutture per una mobilità sostenibile; missione 4: istruzione e ricerca; missione 5: inclusione e coesione;
missione 6: salute; missione 7: REPowerEU. – (2) I traguardi (o milestones) sono risultati di natura qualitativa, gli obiettivi (o target)
hanno natura quantitativa. Dal loro raggiungimento dipende l’erogazione delle rate semestrali. Le barre e i rombi sfumati si riferiscono a
risultati ancora non validati dalla Commissione europea e a rate ancora non incassate. – (3) Scala di destra.
L’utilizzo ancora contenuto delle risorse del PNRR riflette sia alcune difficoltà
nell’avvio degli investimenti, sia il profilo temporale delle misure del Piano, che nei
primi anni di applicazione prevedeva in prevalenza azioni connesse con interventi
normativi. Le rate finali prefigurano il conseguimento di obiettivi quantitativi
legati alla realizzazione di opere pubbliche (figura A, pannello b), caratterizzati da
un grado di difficoltà crescente.
Ad esempio, gli obiettivi riferiti all’assegnazione di borse di studio universitarie sono stati conseguiti
secondo le scadenze stabilite, ma le relative risorse continueranno a essere erogate anche oltre l’orizzonte
di applicazione del Piano.
Relazione annuale
BANCA D’ITALIA
Secondo nostre elaborazioni basate su dati del portale Italia Domani e
dell’Autorità nazionale anticorruzione (ANAC), le risorse del PNRR gestite
da soggetti attuatori pubblici che potrebbero richiedere una gara d’appalto
ammontano a quasi 93 miliardi3; alla fine del 2024 per circa il 70 per cento
di tale importo erano stati emanati i relativi bandi (figura B, pannello a).
L’avanzamento è maggiore per le missioni 2 (rivoluzione verde e transizione
ecologica), 4 (istruzione e ricerca) e 5 (inclusione e coesione). Quasi l’80 per
cento delle gare pubblicate (per un totale di circa 50 miliardi) è stato aggiudicato.
Il sottoinsieme degli appalti banditi per opere pubbliche corrisponde a 45
miliardi, l’85 per cento dei quali è stato affidato al soggetto esecutore.
Figura B
Aggiudicazione dei bandi e progresso dei cantieri (1)
(b) cantieri del PNRR per stato di avanzamento (4)
(quote percentuali)
da pubblicare
pubblicato da aggiudicare
pubblicato e aggiudicato
missione
missione
totale
missione
missione
missione
missione
missione
missione
missione
missione
missione
totale
missione
missione
(a) valore dei bandi (2)
(miliardi di euro)
completato
nei tempi
in ritardo
non avviato
Fonte: elaborazioni su dati ANAC, Italia Domani e Commissione nazionale paritetica per le Casse edili (CNCE EdilConnect).
(1) Missione 1: digitalizzazione, innovazione, competitività, cultura e turismo; missione 2: rivoluzione verde e transizione ecologica;
missione 3: infrastrutture per una mobilità sostenibile; missione 4: istruzione e ricerca; missione 5: inclusione e coesione; missione
6: salute; missione 7: REPowerEU. – (2) Dati riferiti al 31 dicembre 2024. – (3) Scala di destra. – (4) Stato di avanzamento a marzo
2025 in base al numero dei cantieri riferiti a bandi pubblicati a partire da novembre 2021 e già aggiudicati. Non si riporta la missione
7 (REPowerEU), per via del numero attualmente esiguo dei relativi bandi aggiudicati.
Considerando anche le informazioni fornite dalle Casse edili, a marzo del 2025
il 58 per cento delle gare per lavori pubblici aggiudicate aveva avviato o terminato la
fase esecutiva (figura B, pannello b)4. In particolare, i lavori si erano conclusi per due
quinti dei cantieri avviati; tra quelli ancora aperti, quasi il 70 per cento sarebbe in
La pubblicazione di una gara di appalto non è un requisito necessario per l’impiego di questi fondi, poiché
il soggetto attuatore potrebbe, ad esempio, avvalersi di accordi quadro o di scorte di materiali preesistenti.
È possibile monitorare la fase esecutiva solo per i lavori pubblici banditi dal novembre 2021. A marzo
2025 i bandi per le opere finanziate o cofinanziate dal PNRR erano quasi 31.000, ossia il 92 per cento del
numero totale di gare riferite al Piano (l’88 per cento degli importi).
BANCA D’ITALIA
Relazione annuale
ritardo rispetto ai tempi stimati5. Per alcuni programmi le opere avviate sono tuttavia
in numero superiore a quanto richiesto per il conseguimento dei relativi traguardi
e obiettivi; pertanto il mancato completamento di alcune di esse non dovrebbe
pregiudicare il raggiungimento dei risultati previsti.
Le difficoltà sono maggiori per le opere di più grande dimensione: considerando i
bandi con valore al di sopra di 5 milioni di euro (il 5 per cento delle gare pubblicate), solo
il 2 per cento dei cantieri era concluso e circa l’80 di quelli in corso risultava in ritardo.
L’avvio della fase esecutiva appare più lento nelle missioni 1 (digitalizzazione, innovazione,
competitività e cultura) e 3 (infrastrutture per una mobilità sostenibile).
Per fare fronte ai ritardi accumulati nella realizzazione delle opere, nonché ad altre
circostanze che determinerebbero il completamento solo parziale di alcune misure, il
Governo ha annunciato di voler presentare alla Commissione europea una nuova
proposta di modifica del PNRR6; ne potrebbero derivare variazioni dei risultati da
conseguire, e quindi degli importi delle rimanenti rate di finanziamento semestrali.
Oltre alle opere, entro giugno del 2026 sarà necessario attuare alcune riforme previste dal
Piano, come quella del federalismo fiscale, e raggiungere gli obiettivi quantitativi collegati
ai provvedimenti già adottati (ad es. in materia di giustizia; cfr. il capitolo 11).
Per i cantieri avviati e non ancora completati, si calcola lo stato di avanzamento dei lavori (SAL) come
rapporto tra il costo del lavoro effettivo (osservato nell’ultimo mese per il quale sono disponibili i dati)
e quello previsto per il completamento del cantiere. L’identificazione dei cantieri in ritardo si ricava dal
confronto tra il SAL misurato e quello che si sarebbe dovuto osservare se l’utilizzo della manodopera avesse
seguito una dinamica non lineare caratteristica del ciclo di vita di un cantiere (stimata a partire da dati
storici sul progresso delle opere pubbliche).
Dall’avvio del programma Next Generation EU, tutti gli Stati membri hanno modificato almeno una volta
il proprio piano. Ad esempio, finora il Consiglio della UE ha approvato quattro revisioni del piano per
l’Italia e la Spagna, tre per la Germania, una per la Francia. Tali modifiche possono riguardare la correzione
di errori materiali, la riformulazione di traguardi e obiettivi oppure la rimodulazione di alcuni interventi,
allorché emergano circostanze oggettive che ne impediscono l’attuazione.
La domanda estera netta. – Le esportazioni sono cresciute dello 0,4 per cento,
sostenute dai servizi che hanno più che compensato il modesto calo dei beni.
L’incremento dei primi è dovuto per quasi la metà alle entrate del settore turistico e
per il resto ai servizi alle imprese (finanziari, professionali e di trasporto). La dinamica
nella componente dei beni è stata invece eterogenea fra settori. Sulla base dei dati
di commercio estero, le esportazioni sono aumentate nell’industria agroalimentare,
nella farmaceutica e nella chimica, a fronte di una marcata riduzione delle vendite di
autoveicoli.
Le importazioni sono diminuite dello 0,7 per cento, in connessione con la
debolezza sia degli investimenti fissi lordi sia delle esportazioni. La bilancia turistica
ha fornito un contributo positivo all’espansione del PIL (1,0 per cento), come nello
scorso anno. La posizione estera netta è cresciuta, portandosi a 335 miliardi di euro alla
fine del 2024 (15,3 per cento del prodotto). Il saldo di conto corrente della bilancia
dei pagamenti è risultato in avanzo e pari all’1,1 per cento del PIL, un valore superiore
a quello del 2023 di un punto percentuale; il miglioramento è dipeso soprattutto dal
saldo delle merci, anche per il minore disavanzo della bilancia energetica.
Relazione annuale
BANCA D’ITALIA
I conti pubblici. – Il disavanzo delle Amministrazioni pubbliche si è più che
dimezzato rispetto al 2023 (al 3,4 per cento del PIL). Il forte calo è stato determinato
dal miglioramento del saldo primario, tornato positivo per la prima volta dal 2019
grazie essenzialmente alla marcata riduzione delle spese legate ai crediti di imposta per
il Superbonus. Nonostante la contrazione del disavanzo, il rapporto tra debito pubblico
e prodotto è aumentato lievemente (al 135,3 per cento), risentendo degli effetti di cassa
connessi con le agevolazioni edilizie maturate negli anni precedenti.
Il risparmio e gli investimenti lordi. – Il risparmio nazionale è aumentato al 23,6 per
cento del reddito lordo disponibile, riflettendo una crescita di quello delle Amministrazioni
pubbliche solo in parte compensata dal calo di quello privato, in particolare delle imprese
(tav. 4.2). Gli investimenti lordi sono diminuiti in rapporto al reddito nazionale,
rimanendo tuttavia su livelli superiori al periodo precedente la pandemia.
Tavola 4.2
Risparmio e investimenti lordi in Italia (1)
(quote percentuali del reddito nazionale lordo disponibile)
Media
Media
Media
Media
Risparmio delle Amministrazioni
pubbliche (A) (2)
Risparmio del settore privato (B)
di cui: famiglie consumatrici (3)
Risparmio nazionale lordo (C=A+B)
Investimenti lordi (D)
per memoria:
saldo delle operazioni correnti
dell’Italia con il resto del mondo
(E=C-D) (4)
Fonte: elaborazioni su dati Istat.
(1) Eventuali mancate quadrature sono dovute all’arrotondamento delle cifre decimali. – (2) Saldo di bilancio di parte corrente del conto
delle Amministrazioni pubbliche; si differenzia dall’indebitamento netto poiché non considera né le entrate in conto capitale, né gli investimenti e le altre spese in conto capitale. – (3) Include le istituzioni senza scopo di lucro al servizio delle famiglie. – (4) Calcolato sulla base
dei dati di contabilità nazionale aggiornati a marzo 2025, che non incorporano successive revisioni dei dati della bilancia dei pagamenti.
Se si tenesse conto di queste revisioni, come nel capitolo 9, il dato relativo al 2024 sarebbe pari a 1,1.
Il mercato del lavoro e la produttività. – L’occupazione ha continuato a crescere
a un ritmo superiore al prodotto, beneficiando della moderata dinamica salariale
dell’ultimo triennio. L’espansione del numero degli occupati, pari a 352.000 unità,
è stata più intensa nel Mezzogiorno, tra i lavoratori più anziani e tra quelli con
posizioni stabili, e ha interessato tutti i settori.
La partecipazione al mercato del lavoro, ancora largamente inferiore alla
media dell’area dell’euro, si è mantenuta su livelli storicamente elevati (66,6 per
cento). L’aumento nella fascia di età 55-64 anni ha quasi interamente compensato
il calo tra i più giovani (cfr. il riquadro: Il recente andamento del tasso di attività
in Italia: determinanti demografiche e contesto economico del capitolo 7). Il tasso di
disoccupazione è sceso al 6,5 per cento, il valore più basso degli ultimi quindici
anni, con miglioramenti significativi nel Mezzogiorno e tra i giovani.
BANCA D’ITALIA
Relazione annuale
Nel settore privato, escludendo il comparto agricolo e i servizi immobiliari e
finanziari, la produttività oraria del lavoro è diminuita per il secondo anno consecutivo;
vi hanno contribuito fattori ciclici e un maggiore utilizzo dell’input di lavoro da parte
delle imprese, incentivato dalla moderazione salariale che lo ha reso relativamente
più conveniente rispetto a capitale e beni intermedi. Tale andamento ha eroso solo in
parte gli incrementi consistenti del triennio precedente: nel 2024 la produttività per
ora lavorata si è mantenuta su un livello superiore di 1,6 punti percentuali a quello
del 2019, grazie a un aumento nei servizi privati e nelle costruzioni maggiore della
lieve flessione che ha interessato la manifattura.
Nell’intera economia il costo del lavoro ha continuato a crescere, sospinto
da minimi contrattuali più alti. La perdita di potere d’acquisto causata dall’elevata
inflazione tra il 2021 e il 2023 è stata recuperata solo in parte: in termini reali, nel
2024 le retribuzioni sono risultate inferiori dell’8,6 per cento ai livelli del 2021 (8,4 nel
settore privato non agricolo).
Prezzi. – Nel 2024 l’inflazione, misurata dalla variazione sui dodici mesi dell’indice
armonizzato dei prezzi al consumo (IPCA), è scesa marcatamente rispetto al biennio
precedente (all’1,1 per cento). Il rallentamento dei prezzi è stato legato soprattutto alla
riduzione di quelli dei beni energetici all’inizio dell’anno, poi attenuatasi nei mesi estivi.
I prezzi della componente alimentare hanno fortemente decelerato per il graduale venir
meno dei rincari degli input energetici e delle materie prime agroalimentari. Nella media
dell’anno l’inflazione di fondo si è dimezzata nel confronto con il 2023 (2,2 per cento, da
4,5), principalmente per la flessione accentuata di quella dei beni industriali non energetici; il
rallentamento è stato più contenuto per i servizi, che hanno continuato a risentire dei prezzi
di alcune voci che si sono adeguate con ritardo all’inflazione elevata degli anni precedenti.
L’attività bancaria. – I prestiti alle imprese hanno continuato a contrarsi
(-2,6 per cento), riflettendo sia una minore domanda di finanziamenti sia il permanere
di condizioni di offerta restrittive, in particolare per le piccole e medie imprese (cfr. il
riquadro: La dinamica dei finanziamenti bancari alle grandi e piccole imprese del capitolo
12). Dalla seconda metà dell’anno il credito alle famiglie è invece tornato a crescere, per
effetto della domanda di mutui per l’acquisto di abitazioni, stimolata dalla riduzione
del livello generale dei tassi d’interesse.
La qualità degli attivi bancari è rimasta nel complesso buona, pur in presenza di un
lieve rialzo del tasso di deterioramento dei prestiti alle imprese. L’incidenza dei crediti
deteriorati sul totale dei finanziamenti al netto delle rettifiche di valore è in linea con la
media dell’area dell’euro. La redditività delle banche è ulteriormente migliorata, grazie
a un aumento del margine di interesse e, soprattutto, alla crescita delle commissioni.
È proseguito il rafforzamento patrimoniale, riconducibile agli utili non distribuiti.
La transizione digitale e quella verde. – Secondo l’indice di digitalizzazione
dell’economia e della società (digital economy and society index, DESI)1, l’Italia risulta
L’indice è utilizzato dalla Commissione europea per monitorare il progresso degli Stati membri nel
raggiungimento, entro il 2030, degli obiettivi del programma strategico per il decennio digitale;
cfr. Commissione europea, 2030 Digital decade. Report on the state of the digital decade 2023, 2023. L’indice
DESI non copre le imprese fino a nove addetti, che in Italia sono molto più diffuse rispetto alla media europea.
Relazione annuale
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più avanzata rispetto a Germania, Francia e Spagna nella diffusione della fatturazione
elettronica e per le tecnologie cloud. Le piccole e medie imprese registrano ancora un
ritardo nell’utilizzo di strumenti di analisi dei dati e di software gestionali integrati,
ma fanno crescente uso del commercio elettronico. L’uso dell’intelligenza artificiale
è in rapido aumento, sebbene risulti ancora meno diffusa rispetto ai paesi per cui
si dispone di dati confrontabili (cfr. il riquadro: L’utilizzo dell’intelligenza artificiale
nelle imprese italiane del capitolo 6).
È continuato il processo di trasformazione digitale del settore bancario, sostenuto
da un incremento significativo degli investimenti nelle tecnologie dell’informazione,
che alla fine del 2023 hanno raggiunto il 7 per cento in rapporto ai costi operativi totali
(2 nel 2011). In particolare, gli istituti di grande dimensione stanno progressivamente
adottando tecnologie avanzate, come l’intelligenza artificiale e i big data, per migliorare
le attività di valutazione del merito di credito.
Proseguendo una tendenza in atto dal 2022, lo scorso anno la capacità installata
di energia da fonti rinnovabili si è ampliata a ritmo sostenuto. Per raggiungere entro il
2030 gli obiettivi del Piano nazionale integrato per l’energia e il clima servirà tuttavia
un’ulteriore accelerazione. L’intensità energetica del valore aggiunto continua a ridursi,
soprattutto grazie al contributo dell’industria in senso stretto e delle costruzioni; non si
osservano invece diminuzioni apprezzabili nel settore dei trasporti.
Nel 2024 poco meno di un terzo degli intermediari ha dichiarato di aver offerto
prestiti verdi2 alle imprese affidatarie. Questi strumenti sono destinati a incrementare
l’efficienza energetica degli immobili o a finanziare beni strumentali necessari per
migliorare la sostenibilità; beneficiano inoltre di migliori condizioni creditizie, inclusi
tassi di interesse più bassi. Con riferimento agli effetti già percepibili dei cambiamenti
climatici, un terzo degli intermediari dichiarava di tenere conto anche del rischio da
eventi meteorologici estremi nel definire le condizioni per la concessione del credito.
Nel frattempo, le banche stanno progressivamente attuando i piani di azione previsti
nelle aspettative di vigilanza riguardanti i rischi climatici e ambientali, ottenendo
risultati soddisfacenti per quanto riguarda i profili di governance e organizzazione.
I primi mesi del 2025
Nel primo trimestre di quest’anno il PIL ha avuto una crescita moderata, sostenuto
dall’evoluzione ancora positiva dei consumi e della spesa per costruzioni. A fronte di
una stagnazione nei servizi, l’attività si sarebbe espansa nella manifattura; su questo
comparto, in prospettiva, potranno incidere negativamente le politiche commerciali
statunitensi.
Nei primi quattro mesi dell’anno l’inflazione è salita marginalmente all’1,9 per
cento, per effetto del contributo dei prezzi dei servizi e dei beni alimentari; anche nella
media della restante parte dell’anno si manterrebbe al di sotto del 2 per cento.
Per prestiti verdi si intendono quelli classificati come tali dagli intermediari secondo le proprie metodologie.
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Relazione annuale
5. LE FAMIGLIE
Nel 2024 in Italia il reddito disponibile delle famiglie ha continuato a espandersi, sebbene
meno che nell’anno precedente per la forte decelerazione dei redditi da lavoro autonomo e
da proprietà; si è mantenuto invece sostenuto l’andamento di quelli da lavoro dipendente,
sospinto sia dalla dinamica dell’occupazione sia da quella delle retribuzioni; queste ultime
tuttavia, in termini reali, rimangono inferiori ai livelli del 2021. Le misure pubbliche di
sostegno hanno continuato a essere rivolte principalmente alle famiglie a basso reddito e a
quelle con figli, per le quali il rischio di povertà è maggiore. Grazie alla marcata riduzione
dell’inflazione, il potere d’acquisto è tornato a crescere dopo la leggera contrazione del biennio
precedente. È rimasto tuttavia moderato l’incremento della spesa per consumi, frenata sia
dagli incentivi al risparmio derivanti dai livelli storicamente elevati dei tassi di interesse
reali sia dal deterioramento delle attese di disoccupazione. Secondo un approfondimento
specifico, queste ultime rifletterebbero solo in misura marginale i timori connessi con gli
impatti dell’intelligenza artificiale sul mercato del lavoro. Il tasso di risparmio ha ripreso ad
aumentare, attestandosi su valori più alti rispetto a quelli precedenti la pandemia.
La ricchezza netta delle famiglie, pari al valore delle attività finanziarie e di quelle reali
al netto delle passività, si è espansa con un ritmo analogo a quello del reddito disponibile.
La ricchezza finanziaria lorda è salita, per effetto del rialzo dei prezzi delle attività e del
maggiore tasso di risparmio. È proseguita la ricomposizione del portafoglio in favore dei
titoli obbligazionari, soprattutto quelli pubblici italiani: vi hanno contribuito in particolare
le emissioni dedicate alle famiglie. Anche la ricchezza immobiliare si è ampliata, in linea
con il rafforzamento del mercato delle abitazioni. Il rapporto fra il debito e il reddito
disponibile è ulteriormente diminuito, collocandosi su un livello molto inferiore a quello
dei principali paesi dell’area dell’euro. I mutui sono tornati a salire, sebbene in misura
contenuta; la crescita dei prestiti per finalità di consumo è risultata più sostenuta.
Il reddito e la sua distribuzione
Nel 2024 il reddito disponibile a prezzi correnti delle famiglie consumatrici
ha decelerato (2,7 per cento, da 5,0 nel 2023; tav. 5.1), per effetto soprattutto del
netto rallentamento dei redditi da lavoro autonomo – in linea con l’indebolimento
dell’attività nei settori in cui è più diffusa questa tipologia di lavoratori – e di quelli
da proprietà. Su questi ultimi hanno inciso la decelerazione degli interessi netti
seguita alla progressiva riduzione dei tassi nominali e il calo degli utili distribuiti
dalle società. È rimasta invece consistente la crescita dei redditi da lavoro dipendente,
sospinta sia dalla dinamica dell’occupazione sia da quella delle retribuzioni,
nonostante in termini reali queste ultime restino ancora distanti dai livelli del 2021
(cfr. il capitolo 8). Anche le prestazioni sociali hanno continuato a espandersi, grazie
alla componente pensionistica. Dopo la contrazione nel 2022 e il ristagno nel 2023,
il potere d’acquisto delle famiglie è tornato a salire (1,3 per cento), beneficiando
Relazione annuale
BANCA D’ITALIA
della forte riduzione dell’inflazione. Il reddito reale è cresciuto anche tenendo conto
dell’erosione del valore delle attività finanziarie nette dovuta all’inflazione.
Tavola 5.1
Reddito lordo disponibile e propensione al risparmio delle famiglie (1)
(a prezzi correnti, salvo diversa indicazione)
in percentuale
del reddito lordo
disponibile delle
famiglie nel 2024
Variazioni percentuali
Redditi da lavoro dipendente
Redditi da lavoro dipendente per unità standard
Redditi da lavoro autonomo (2)
Redditi da lavoro autonomo per unità standard
Redditi netti da proprietà (3)
Prestazioni sociali e altri trasferimenti netti
di cui: prestazioni sociali nette
Contributi sociali netti (-)
di cui: a carico del datore di lavoro
Imposte correnti sul reddito e patrimonio (-)
Reddito lordo disponibile
in termini reali (4)
in termini reali, corretto per l’inflazione attesa (4) (5)
in termini reali, corretto per l’inflazione passata (4) (6)
100,0
Rapporti percentuali
Propensione media al risparmio (7)
Fonte: elaborazioni e stime su dati Istat e Banca d’Italia.
(1) I dati si riferiscono al settore delle famiglie consumatrici. – (2) Redditi misti e redditi prelevati dai membri delle quasi-società. – (3) Risultato
lordo di gestione (prevalentemente redditi da locazione), rendite nette dei terreni e dei beni immateriali, interessi netti, dividendi e altri utili
distribuiti dalle società. – (4) Deflazionato col deflatore dei consumi delle famiglie consumatrici. – (5) Reddito lordo disponibile in termini
reali, al netto delle perdite da inflazione sulle attività finanziarie nette calcolate sulla base dell’inflazione attesa rilevata da Consensus
Economics. – (6) Reddito lordo disponibile in termini reali al netto delle perdite da inflazione sulle attività finanziarie nette calcolate sulla base
dell’inflazione realizzata. – (7) Rapporto tra il risparmio lordo e il reddito lordo disponibile rettificato per la variazione dei diritti pensionistici.
Come nel 2023, un forte contributo ai redditi delle famiglie è derivato dall’aumento
dell’occupazione. Secondo nostre elaborazioni sui dati della Rilevazione sulle forze di lavoro
dell’Istat1 relativi ai primi tre trimestri del 2024, fra i nuclei la cui persona di riferimento
ha meno di 65 anni e nei quali non sono presenti pensionati, si è ulteriormente ridotta la
quota delle famiglie senza occupati, soprattutto nel Mezzogiorno (al 23,6 per cento dal
24,5 del 2023; al 9,7 per cento dal 10,0 nel Centro Nord), ed è aumentata la percentuale
di quelle con due o più adulti che lavorano2. Nel 52,6 per cento delle famiglie considerate
è presente almeno una donna con un impiego, un valore superiore a quello del 2019
(51,3 per cento), in linea con l’andamento del tasso di occupazione femminile.
Per approfondimenti, cfr. nella sezione Note metodologiche dell’Appendice la voce Mercato del lavoro: Rilevazione
sulle forze di lavoro.
La maggiore incidenza di individui che vivono in nuclei in cui la quantità di lavoro complessivamente prestata è
medio-bassa è tra i principali fattori che spiegano la più elevata disuguaglianza del reddito da lavoro equivalente
lordo osservata in Italia rispetto a Francia e Germania, sulla base dell’indagine Eurostat sul reddito e le condizioni
di vita (European Union statistics survey on income and living conditions, EU-SILC) del 2018 (cfr. G. Bovini,
E. Ciani, M. De Philippis e S. Romano, Labour income inequality and in-work poverty: cross-country evidence from
the European survey on income and living conditions, Banca d’Italia, Questioni di economia e finanza, 806, 2023).
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Relazione annuale
Nel 2024 i trasferimenti pubblici di sostegno al reddito hanno continuato a
rivolgersi principalmente ai nuclei con redditi bassi e a quelli con figli a carico, che
presentano un rischio più elevato di essere in condizione di povertà assoluta3. L’Assegno
di inclusione (AdI) ha sostituito il reddito di cittadinanza e la pensione di cittadinanza
per le famiglie con componenti minorenni, disabili, di età superiore ai 69 anni o in
condizioni di svantaggio4; per chi è in età da lavoro ma non ha i requisiti per accedere
all’AdI è stato invece attivato il supporto per la formazione e il lavoro (SFL). Secondo
i dati dell’Inps, lo scorso anno 752.000 famiglie hanno ricevuto almeno una mensilità
dell’AdI – per un importo medio di 621 euro a nucleo – e 130.000 individui hanno
beneficiato di almeno una rata mensile dell’SFL. Quest’ultimo ha avuto un’adesione
molto inferiore alle attese del Governo5 e a partire dal 2025 la sua disciplina è stata
parzialmente modificata, ampliando il numero degli aventi diritto, prevedendo la
possibilità di rinnovo ed elevando l’importo del sussidio (da 350 a 500 euro mensili).
L’Assegno unico e universale (AUU) è stato percepito nel 2024 da quasi 6,4 milioni
di famiglie per circa 10 milioni di figli con meno di 21 anni o con disabilità grave, pari
a più del 90 per cento della platea di riferimento (una quota simile a quella dell’anno
precedente). Per effetto principalmente degli adeguamenti all’inflazione, l’importo
mensile medio per ciascun beneficiario (172 euro) è aumentato di circa il 17 per cento
rispetto al 2022 (anno di introduzione della misura), un incremento inferiore a quello
stimato per i costi di mantenimento6. Con l’obiettivo di sostenere la natalità, dal 2025
è previsto il pagamento una tantum di 1.000 euro per i nuovi nati nelle famiglie con
ISEE inferiore a 40.000 euro (che corrisponde a circa il 40 per cento dell’ammontare
medio annuale dell’AUU ricevuto per ogni figlio da questi nuclei).
Nel 2024 hanno continuato a essere erogati i bonus sociali per l’elettricità e il gas
alle famiglie con ISEE al di sotto di 9.530 euro (20.000 euro in caso di più di tre figli),
mentre sono stati esclusi dalla misura quelle con ISEE compreso fra 9.530 e 15.000
euro, che vi avevano avuto accesso nell’anno precedente7. Per il 2025 il Governo ha
Secondo le stime dell’Istat, nella media del triennio 2021-23 l’incidenza della povertà assoluta è stata del 5,0
per cento per le coppie senza figli con persona di riferimento con meno di 65 anni, del 6,5 per quelle con un
figlio, del 10,5 per quelle con due figli e del 19,1 per quelle con tre e più figli. Una famiglia è considerata in
povertà assoluta se la spesa mensile per consumi non è sufficiente per acquistare un paniere di beni e servizi
ritenuti essenziali; tale valore è definito in base all’età dei componenti, alla composizione della famiglia, alla
regione e alla tipologia del comune di residenza.
Si considerano in condizione di svantaggio le persone inserite in programmi di cura e assistenza dei servizi
socio-sanitari territoriali certificati dalla Pubblica amministrazione. Per ulteriori dettagli, cfr. G. Bovini,
E. Dicarlo e A. Tomasi, La revisione delle misure di contrasto alla povertà in Italia, Banca d’Italia, Questioni di
economia e finanza, 820, 2023.
Per il 2024, la relazione tecnica sul provvedimento prevedeva una media di 322.000 adesioni per l’SFL e di
733.000 per l’AdI.
Si stima che i prezzi delle voci che compongono più del 70 per cento del paniere di beni e servizi destinati
al mantenimento dei figli, ossia i beni alimentari, i servizi di ristorazione, i trasporti e le abitazioni, siano
cresciuti complessivamente di circa il 22 per cento fra il 2022 e il 2024; per la definizione del paniere,
cfr. G. Bovini e F. Colonna, Quanto costa un figlio?, in A. Rosina (a cura di), L’assegno unico e universale per i
figli: una novità italiana e il contesto europeo, Neodemos, 2021, pp. 14-18.
Nel solo primo trimestre del 2024 a questi nuclei è stato corrisposto un contributo straordinario compreso
fra 76 e 114 euro, commisurato al numero dei componenti del nucleo stesso. Secondo i dati dell’Autorità di
regolazione per energia reti e ambiente (ARERA), nel 2023 circa un terzo delle famiglie beneficiarie dei bonus
sociali aveva un ISEE compreso fra 9.530 e 15.000 euro. In base alla classificazione dell’Istat, queste misure
di sostegno non vengono contabilizzate come prestazioni sociali monetarie, ma come “trasferimenti sociali in
natura”.
Relazione annuale
BANCA D’ITALIA
introdotto un ulteriore contributo straordinario di 200 euro da scontare sulla bolletta
elettrica dei nuclei con ISEE inferiore a 25.000 euro (DL 19/2025). Si stima che
questo sussidio possa interessare circa il 30 per cento del totale delle famiglie e che il
suo importo sia consistente se confrontato con l’aumento della spesa media annua per
le utenze tra il 2020 e il 2022, anno di picco dei prezzi energetici (poco meno di 250
euro, tenuto conto degli sconti previsti dai bonus esistenti).
I consumi
Nel 2024 la spesa per consumi delle famiglie residenti ha continuato a crescere
moderatamente (0,4 per cento, da 0,3 nel 2023; cfr. tav. 5.2 e fig. 5.1), seppure in
misura molto più contenuta rispetto al reddito reale. Il peggioramento delle aspettative
sul quadro economico futuro dell’Italia e di quelle sulla disoccupazione, in particolare
tra le famiglie più povere, ha plausibilmente frenato le scelte di consumo. Inoltre,
i livelli storicamente elevati raggiunti dai tassi di interesse reali8 (cfr. il capitolo 3),
soprattutto nella prima parte dell’anno, hanno scoraggiato i consumi a causa delle
più favorevoli opportunità di investimento, in particolare tra i nuclei più abbienti.
Secondo un approfondimento specifico, le attese di disoccupazione rifletterebbero
solo marginalmente i timori connessi con le potenziali ricadute occupazionali della
diffusione dell’intelligenza artificiale (cfr. il riquadro: L’utilizzo dell’intelligenza
artificiale generativa da parte delle famiglie italiane).
L’UTILIZZO DELL’INTELLIGENZA ARTIFICIALE GENERATIVA DA PARTE DELLE FAMIGLIE ITALIANE
L’intelligenza artificiale generativa (generative artificial intelligence, GenAI)
sta acquisendo un ruolo crescente in molte attività grazie alla capacità di produrre
contenuti testuali, visivi e di programmazione. Il suo utilizzo ha registrato negli
ultimi anni una rapida espansione, in particolare a seguito della diffusione degli
assistenti virtuali (chatbot) disponibili gratuitamente su internet.
L’Indagine congiunturale sulle famiglie italiane (ICF) condotta dalla Banca
d’Italia tra agosto e settembre del 20241 includeva quesiti volti a studiare la
diffusione della GenAI tra le famiglie, le percezioni riguardo ai suoi possibili effetti
sul mercato del lavoro e il livello di fiducia nell’uso di questa tecnologia2. Un quarto
degli intervistati ha riferito di avere utilizzato strumenti di GenAI nei dodici mesi
precedenti e circa il 10 per cento ha affermato di farne uso almeno una volta
L’ICF viene condotta semestralmente per raccogliere informazioni sulle condizioni economiche delle
famiglie italiane; nel 2024 l’indagine ha coinvolto poco meno di 2.000 nuclei familiari. Per maggiori
dettagli, cfr. sul sito della Banca d’Italia: Indagine congiunturale sulle famiglie italiane.
Per maggiori informazioni, cfr. D. Loschiavo e M. Moscatelli, Adoption and expected impact of Generative
AI: evidence from Italian households, Banca d’Italia, Questioni di economia e finanza, 929, 2025.
La marcata riduzione delle aspettative di inflazione ha bilanciato quella dei tassi nominali, mantenendo i
rendimenti reali su alti livelli.
BANCA D’ITALIA
Relazione annuale
alla settimana3 (figura, pannello a); tra gli occupati queste percentuali salgono
rispettivamente al 37 e al 13 per cento. A parità di altre condizioni, l’utilizzo è
più elevato tra gli uomini, i giovani e gli occupati nei settori dell’informazione e
della comunicazione, delle attività professionali, scientifiche e tecniche, nonché
dell’istruzione.
Circa un terzo della popolazione attiva ritiene che vi sia una probabilità di
almeno il 50 per cento che la GenAI migliori la propria produttività lavorativa e il
27 per cento crede che possa facilitare la ricerca di nuove opportunità di lavoro; le
quote sono più alte tra i giovani e tra chi è impiegato nel comparto dell’informazione
e della comunicazione. Tra i soli occupati, il 13 per cento si aspetta che la diffusione
di questi strumenti comporti una significativa possibilità di perdere il proprio
impiego, mentre circa un terzo si attende un impatto sulle proprie mansioni e il
23 per cento una riduzione dello stipendio.
In merito alla gestione di alcuni servizi, la maggioranza degli intervistati ha
dichiarato di fidarsi maggiormente delle modalità tradizionali, affidate a persone,
rispetto a quelle basate su strumenti di GenAI, soprattutto per i servizi bancari
(figura, pannello b).
Figura
Famiglie italiane e GenAI: frequenza di utilizzo e fiducia
(valori percentuali)
(a) frequenza di utilizzo degli strumenti
di GenAI nei 12 mesi precedenti l’intervista
(b) fiducia negli strumenti di GenAI rispetto
ai servizi tradizionali gestiti da persone
al massimo una
volta al mese
almeno una
volta alla
settimana
servizi bancari
informazione
formazione
maggiore fiducia nei servizi tradizionali
stesso livello di fiducia
maggiore fiducia negli strumenti di GenAI
Fonte: elaborazioni su dati Banca d’Italia (ICF).
L’impiego della GenAI tra le famiglie italiane è meno frequente che negli Stati Uniti: l’utilizzo occasionale
di questa tecnologia è inferiore di circa 8 punti percentuali, quello regolare di circa 4. Per approfondimenti,
cfr. A. Dalla Zuanna, L. Gambacorta, D. Loschiavo, M. Moscatelli e I. Supino, Generative AI adoption: a
comparative study between United States and Italian households, di prossima pubblicazione.
Nel 2024 la spesa per beni è aumentata dello 0,6 per cento. Sono cresciuti ancora
in maniera sostenuta gli acquisti di quelli durevoli, sospinti dall’espansione marcata
Relazione annuale
BANCA D’ITALIA
Tavola 5.2
Spesa delle famiglie
(variazioni percentuali di valori concatenati)
Peso percentuale
nel 2024 (quantità
ai prezzi dell’anno
precedente)
Beni non durevoli
di cui: alimentari e bevande non alcoliche
Beni semidurevoli
di cui: vestiario e calzature
Beni durevoli
Servizi
di cui: alberghi e ristoranti
istruzione
– 2,5
– 3,5
– 1,7
– 3,1
– 2,4
– 0,3
– 2,4
– 3,6
Totale spesa interna
Spesa all’estero dei residenti in Italia (1)
Spesa in Italia dei non residenti (1)
100,0
105,4
Totale spesa nazionale (2)
per memoria:
deflatore della spesa nazionale
Fonte: Istat, Conti economici nazionali; cfr. nella sezione Note metodologiche dell’Appendice la voce Conti nazionali: valori concatenati.
(1) La spesa all’estero dei residenti in Italia e quella in Italia dei non residenti ammontavano nel 2024, rispettivamente, al 2,1 e al 4,3 per
cento della spesa interna complessiva. – (2) La spesa nazionale è quella effettuata dai residenti in Italia, sia all’interno del territorio italiano sia
all’estero; è definita come la spesa interna cui viene sommata quella all’estero dei residenti in Italia e sottratta quella in Italia dei non residenti.
del credito al consumo (cfr. il paragrafo: L’indebitamento). Anche la spesa per i beni
non durevoli è salita nonostante l’ulteriore riduzione dei consumi alimentari, che si
sono collocati su livelli inferiori di circa il 3 per cento rispetto al periodo precedente
la pandemia anche a causa dei rialzi dei prezzi dei relativi beni (cfr. il capitolo 8).
Gli acquisti dei beni semidurevoli si sono nuovamente contratti, soprattutto quelli di
vestiario e calzature. La spesa per servizi ha invece continuato a espandersi, in particolare
nei comparti dell’alloggio e della ristorazione.
La propensione al risparmio è tornata a crescere (al 9,0 per cento per le famiglie
consumatrici; cfr. tav. 5.1 e fig. 5.2), assestandosi su valori più alti rispetto a quelli
precedenti la pandemia. Vi hanno contribuito i livelli storicamente elevati dei tassi di
interesse reali. Inoltre, il peggioramento delle aspettative sulla condizione economica
generale dell’Italia e l’aumento delle attese di disoccupazione, in special modo tra le
famiglie a basso reddito, avrebbero indotto queste ultime ad accrescere il risparmio
per motivi precauzionali. Coerentemente, secondo i dati dell’Indagine congiunturale
sulle famiglie italiane (ICF) condotta all’inizio del 2025, la quota di famiglie che ha
dichiarato di avere risparmiato si è ampliata rispetto all’anno precedente. La percentuale
di nuclei in grado di risparmiare sarebbe inoltre salita in modo marcato fra quelli dei
lavoratori, sia dipendenti sia autonomi, con reddito superiore alla mediana.
Secondo le stime della Banca d’Italia, anche nei primi mesi di quest’anno i consumi
delle famiglie avrebbero continuato a espandersi in misura moderata. La fiducia
dei consumatori ha tuttavia registrato un brusco peggioramento da marzo, anche
in connessione con le crescenti tensioni commerciali legate ai dazi (cfr. il paragrafo:
Le implicazioni per l’economia italiana del capitolo 14), che alimentano l’incertezza
sull’evoluzione dell’economia.
BANCA D’ITALIA
Relazione annuale
Figura 5.1
Consumi, reddito reale e clima di fiducia dei consumatori
(tassi di crescita e numeri indice)
spesa per consumi delle famiglie (1)
reddito disponibile reale delle famiglie (2)
Clima di fiducia dei consumatori (3)
indice generale (4)
clima personale (5)
Fonte: elaborazioni su dati Istat; cfr. nella sezione Note metodologiche dell’Appendice la voce Conti nazionali: valori concatenati.
(1) Spesa delle famiglie consumatrici e delle istituzioni senza scopo di lucro al servizio delle famiglie (Isp; cfr. nella sezione Glossario
dell’Appendice le voci Famiglie e Istituzioni senza scopo di lucro al servizio delle famiglie); valori concatenati; variazioni percentuali
sull’anno precedente. – (2) Reddito disponibile delle famiglie consumatrici e delle Isp, deflazionato con il deflatore della spesa per
consumi delle famiglie residenti. – (3) Indici: 2021=100; dati mensili destagionalizzati; medie mobili dei 3 mesi terminanti in quello di
riferimento. – (4) L’indicatore è ottenuto come media dei saldi tra le risposte di miglioramento e peggioramento relative ai seguenti
quesiti: situazione economica generale (a) negli scorsi 12 mesi e (b) nei prossimi 12 mesi; situazione economica personale (c) negli
scorsi 12 mesi e (d) nei prossimi 12 mesi; (e) convenienza all’acquisto di beni durevoli; (f) tendenza della disoccupazione; (g) possibilità
e (h) convenienza a risparmiare; (i) bilancio finanziario della famiglia. – (5) Media dei saldi relativi ai quesiti (c), (d), (e), (g), (h)
e (i) elencati nella nota 4.
Figura 5.2
Propensione al risparmio delle famiglie
(dati annuali; valori percentuali)
’95 ’96 ’97 ’98 ’99 ’00 ’01 ’02 ’03 ’04 ’05 ’06 ’07 ’08 ’09 ’10 ’11 ’12 ’13 ’14 ’15 ’16 ’17 ’18 ’19 ’20 ’21 ’22 ’23 ’24
area dell’euro (1)
Italia (1)
Italia: famiglie consumatrici
Fonte: elaborazioni su dati Eurostat e Istat.
(1) Oltre alle famiglie consumatrici, include anche quelle produttrici (imprese individuali, società semplici e di fatto che impiegano fino a
5 addetti, produttrici di beni e servizi non finanziari destinabili alla vendita nonché unità, prive di dipendenti, produttrici di servizi ausiliari
dell’intermediazione finanziaria) e le Isp (cfr. nella sezione Glossario dell’Appendice le voci Famiglie e Istituzioni senza scopo di lucro al
servizio delle famiglie).
Relazione annuale
BANCA D’ITALIA
La ricchezza immobiliare e il mercato delle abitazioni
Il mercato immobiliare è tornato a espandersi nel 2024. Il numero delle
compravendite di abitazioni è aumentato dell’1,4 per cento (fig. 5.3.a; cfr. Rapporto
sulla stabilità finanziaria, 1, 2025) ed è cresciuta la domanda di prestiti per l’acquisto
di un immobile (cfr. il paragrafo: L’indebitamento). Secondo nostre stime, l’incremento
della ricchezza delle famiglie detenuta sotto forma di attività reali (prevalentemente
abitazioni) è stato pari all’1,4 per cento in termini nominali (1,6 nel 2023). I prezzi
delle abitazioni hanno accelerato (3,2 per cento, da 1,3 nel 2023)9, salendo più
dell’inflazione al consumo. La dinamica delle quotazioni continua a essere guidata
soprattutto dalle abitazioni di nuova costruzione, ma nella seconda metà dell’anno si
è intensificata anche la crescita dei prezzi di quelle esistenti (fig. 5.3.b); inoltre il rialzo
dei prezzi si è diffuso progressivamente a tutto il territorio nazionale.
Sulla base dei sondaggi condotti dalla Banca d’Italia, nei primi mesi del 2025 gli
operatori immobiliari hanno confermato la tendenza al rialzo sia dei prezzi degli immobili
sia dei canoni di locazione, già osservata negli scorsi anni (fig. 5.3.b). Nostre elaborazioni
sui dati relativi agli annunci sulla piattaforma digitale Immobiliare.it indicano inoltre una
crescita robusta della domanda di abitazioni nei primi mesi di quest’anno.
La ricchezza e gli investimenti finanziari
Alla fine del 2024 la ricchezza netta delle famiglie (il valore delle attività
finanziarie e reali al netto delle passività) è aumentata a 11.700 miliardi di euro; è
rimasta pressoché stabile rispetto al reddito disponibile, a 8,3 volte.
Figura 5.3
Mercato delle abitazioni
(dati trimestrali; indici: 2018=100)
(a) prezzi e numero di compravendite
(b) prezzi e canoni di locazione
numero di compravendite (1)
canoni di affitto (4)
prezzi (2)
prezzi abitazioni nuove
prezzi abitazioni esistenti
prezzi in termini reali (2) (3)
’24 ’25
Fonte: elaborazioni su dati Agenzia delle Entrate, Banca d’Italia e Istat.
(1) Valori corretti per la stagionalità e gli effetti di calendario. – (2) Scala di destra. – (3) Prezzi delle abitazioni deflazionati con l’indice dei
prezzi al consumo. – (4) Componente affitti dell’indice armonizzato dei prezzi al consumo.
Secondo nostre elaborazioni, la dinamica delle quotazioni è sostanzialmente in linea con quella prevista dalle
famiglie intervistate nel 2023; cfr. G.M. Mariani, E. Porreca e C. Rondinelli, How do households adjust house
price expectations in an era of high inflation? Experimental evidence, Banca d’Italia, Questioni di economia e
finanza, di prossima pubblicazione.
BANCA D’ITALIA
Relazione annuale
Le attività finanziarie sono cresciute del 4,3 per cento in termini nominali, a 6.030
miliardi (tav. 5.3); vi hanno contribuito sia la modesta espansione degli investimenti,
sospinta dal maggiore tasso di risparmio, sia la rivalutazione degli attivi, in particolare
le quote di fondi comuni, le azioni e partecipazioni estere e i titoli di impresa. Il
rapporto fra le attività finanziarie e il reddito disponibile è lievemente salito a 4,3, un
valore elevato nel confronto internazionale (fig. 5.4.a); la composizione della ricchezza
finanziaria è analoga a quella dei maggiori paesi europei ed è in prevalenza caratterizzata
da attività liquide e da partecipazioni in società non quotate, a fronte di una diffusione
degli strumenti di mercato10 inferiore a quella degli Stati Uniti.
Nonostante gli afflussi, nel 2024 l’incidenza complessiva dei depositi sul totale
delle attività finanziarie è scesa al 23,0 per cento, il valore più basso dal 2006. Gli
investimenti in strumenti di mercato sono aumentati (di 75 miliardi, al 41,0 per cento
del totale), sostenuti in particolare dagli acquisti netti di titoli di debito e di quote di
fondi comuni; ci sono invece stati deflussi di premi assicurativi nel ramo vita.
I titoli di debito sono cresciuti in misura più contenuta rispetto al 2023; la
loro percentuale sul totale delle attività finanziarie è alta nel confronto con gli
altri maggiori paesi dell’area dell’euro (fig. 5.4.b). I tassi di rendimento elevati
rispetto al periodo precedente la pandemia hanno spinto le famiglie a incrementare
ulteriormente gli acquisti di titoli di Stato (5,1 per cento della ricchezza finanziaria).
Nel triennio 2022-24 le emissioni dedicate agli investitori al dettaglio (cfr. il capitolo
13) hanno attratto una parte significativa della domanda proveniente dalle famiglie
(cfr. il riquadro: Le attività finanziarie delle famiglie italiane nel periodo 2010-24).
Figura 5.4
Composizione della ricchezza finanziaria delle famiglie e titoli di debito
(a) composizione della ricchezza nel 2024
(in rapporto al reddito disponibile)
(b) quote dei titoli di debito
sul totale delle attività finanziarie (3)
(valori percentuali)
Stati Uniti
Regno Unito
circolante e depositi
azioni non quotate
Italia
dell’euro
strumenti di mercato (1)
altre attività (2)
’09’13’19’21’24’09’13’19’21’24’09’13’19’21’24’09’13’19’21’24’09’13’19’21’24
Italia
Francia
Germania
Spagna
dell’euro
Fonte: elaborazioni su dati Banca d’Italia (Conti finanziari), BCE, Federal Reserve, Istat e Office of National Statistics.
(1) Comprendono le azioni quotate, i titoli di debito (pubblici e privati), le quote dei fondi comuni di investimento, nonché le polizze
vita e la previdenza complementare. – (2) Includono crediti commerciali, derivati e stock option di dipendenti e altre partite minori. –
(3) I titoli di debito includono i titoli pubblici e privati, nazionali ed esteri; cfr. nella sezione Note metodologiche dell’Appendice la voce
Famiglie: confronto internazionale di attività e passività finanziarie.
Tali strumenti comprendono le azioni quotate, i titoli di debito (pubblici e privati), le quote dei fondi comuni
di investimento, nonché le polizze vita e la previdenza complementare.
Relazione annuale
BANCA D’ITALIA
Tavola 5.3
Attività e passività finanziarie delle famiglie (1)
(milioni di euro e valori percentuali)
Consistenze di fine periodo
Flussi
Composizione percentuale
203.467
-1.081
ATTIVITÀ (2)
Biglietti e circolante
Depositi (3)
-52.929
17.135
in Italia
depositi a vista
altri depositi
all’estero
907.023
441.772
41.210
-57.344
-84.301
26.958
4.414
-3.457
3.742
16.849
Titoli obbligazionari
italiani
di cui: pubblici
bancari
492.923
383.608
309.800
53.327
152.917
133.352
113.907
13.710
56.452
47.221
33.411
12.403
109.314
19.565
9.231
Quote di fondi comuni
italiani
esteri
849.650
262.617
587.033
-18.378
2.742
-21.120
25.399
12.892
12.507
Azioni e partecipazioni
italiane
estere
146.132
-12.810
-14.572
1.762
-31.627
-26.696
-4.930
Assicurazioni, fondi pensione e TFR
di cui: riserve ramo vita
778.303
-19.405
-31.005
-2.126
-10.136
Altre attività emesse dai residenti (4)
206.678
21.901
-19.991
Totale attività
per memoria: risparmio gestito (5)
strumenti di mercato (6)
100,0
100,0
71.561
-43.653
105.065
44.162
21.438
75.488
Debiti a breve termine (7)
di cui: bancari
43.830
41.143
-4.181
-3.664
-4.329
-3.233
Debiti a medio e a lungo termine (8)
di cui: bancari
746.694
629.346
-5.567
1.441
-6.047
Altre passività (9)
244.339
10.476
6.533
Totale passività
100,0
100,0
5.382
3.646
SALDO
66.197
40.516
esteri
PASSIVITÀ
Fonte: Banca d’Italia, Conti finanziari.
(1) Oltre alle famiglie consumatrici, include anche quelle produttrici (imprese individuali, società semplici e di fatto che impiegano
fino a 5 addetti, produttrici di beni e servizi non finanziari destinabili alla vendita nonché unità, prive di dipendenti, produttrici di
servizi ausiliari dell’intermediazione finanziaria) e le Isp. Per la definizione delle serie e per le modalità di calcolo, cfr. nella sezione
Note metodologiche dell’Appendice la voce Attività e passività finanziarie dell’Italia. L’eventuale mancata quadratura dell’ultima
cifra è dovuta agli arrotondamenti. – (2) Le attività oggetto di investimento attraverso le gestioni patrimoniali sono incluse nei singoli
strumenti. – (3) Include i conti correnti Bancoposta e le passività della Cassa depositi e prestiti. – (4) Crediti commerciali, derivati e
stock option di dipendenti e altre partite minori. – (5) Include quote di fondi comuni, assicurazioni sulla vita, gestioni patrimoniali, fondi
pensione e pensioni integrative; è escluso il TFR. – (6) Comprendono le azioni quotate, i titoli di debito (pubblici e privati), le quote dei
fondi comuni, nonché le polizze vita e la previdenza complementare. – (7) Includono anche i finanziamenti da società di factoring. –
(8) Includono anche i prestiti cartolarizzati, i finanziamenti da società di leasing, il credito al consumo da società finanziarie e prestiti
da altri residenti. – (9) Debiti commerciali, fondi di quiescenza e altre partite minori.
BANCA D’ITALIA
Relazione annuale
Alla fine del 2024 il risparmio gestito11 rappresentava il 30,0 per cento delle attività finanziarie delle famiglie italiane, un valore inferiore di 1,4 punti percentuali alla
media dell’ultimo decennio e di 3,8 punti a quella dell’area.
LE ATTIVITÀ FINANZIARIE DELLE FAMIGLIE ITALIANE NEL PERIODO 2010-24
Fra il 2010 e il 2024 il valore delle attività finanziarie delle famiglie italiane è
aumentato di quasi il 57 per cento; il rapporto tra tale valore e il reddito disponibile è
passato da 3,4 a 4,3. È inoltre mutata la composizione del portafoglio: gli andamenti
fino al 2021 differiscono significativamente da quelli degli anni successivi.
Fra il 2010 e il 2021, in concomitanza con tassi di interesse bassi, si è osservata
una riallocazione della ricchezza finanziaria verso il risparmio gestito1: la quota
relativa a quest’ultimo è salita dal 22,4 al 33,0 per cento del totale delle attività
finanziarie, mentre quella degli investimenti diretti in titoli obbligazionari, sia
pubblici sia privati, è scesa dal 19,3 al 4,3 (figura A, pannello a). Alla ricomposizione
hanno contribuito, dal lato della domanda, la ricerca di rendimenti più elevati da
parte delle famiglie; da quello dell’offerta, la necessità degli intermediari bancari
di fare fronte alla compressione del margine di interesse attraverso l’aumento dei
ricavi da commissioni. Vi hanno concorso anche importanti cambiamenti fiscali e
regolamentari2.
Sulla base delle informazioni dell’Indagine sui bilanci delle famiglie italiane
(IBF)3, nel periodo 2010-22 la riallocazione ha interessato in misura maggiore
le famiglie appartenenti alle classi di reddito più elevate, i cui portafogli sono
generalmente più diversificati (figura A, pannello b). Nel 2022 per questi nuclei i
fondi comuni e le gestioni patrimoniali pesavano per il 36,3 per cento degli attivi,
17 punti percentuali in più rispetto al 2010. Le famiglie appartenenti ai primi tre
quarti della distribuzione del reddito continuavano invece a concentrare la gran
parte delle proprie attività finanziarie in depositi4, anche per motivi precauzionali
nelle scelte di investimento.
Nel triennio 2022-24 le famiglie hanno ripreso a effettuare consistenti
acquisti netti di obbligazioni pubbliche e private (262 miliardi di cui 196 in titoli
di Stato italiani), anche in seguito al significativo rialzo dei rendimenti di questi
Il risparmio gestito comprende quote di fondi comuni, polizze vita e previdenza complementare.
Si tratta in particolare dell’innalzamento dell’aliquota fiscale sui rendimenti delle obbligazioni bancarie
dal 12,5 al 20,0 per cento nel 2011 e al 26,0 nel 2014 e dell’introduzione nel 2014 della direttiva
UE/2014/59 sul risanamento e la risoluzione delle banche (Bank Recovery and Resolution Directive,
BRRD). Tali provvedimenti hanno disincentivato, rispettivamente, investimenti ed emissioni di
obbligazioni bancarie (cfr. F. Apicella, A. Colabella, A. Nunnari e F Pipitone, La composizione del
portafoglio delle famiglie nel periodo 2010-23: evidenze dai Conti finanziari e dall’Indagine sui bilanci delle
famiglie italiane, Banca d’Italia, Questioni di economia e finanza, 910, 2025).
Per maggiori dettagli, cfr. Indagine sui bilanci delle famiglie italiane, Banca d’Italia, Statistiche.
Nel 2022 i depositi rappresentavano oltre il 90 per cento della ricchezza finanziaria per le famiglie del
primo quarto di reddito equivalente, circa l’80 per cento per il secondo, il 70 per il terzo e il 35 per il
quarto.
Il risparmio gestito comprende quote dei fondi comuni, polizze vita e previdenza complementare.
Relazione annuale
BANCA D’ITALIA
Figura A
Composizione del portafoglio delle famiglie (1)
(dati annuali; valori percentuali)
(a) totale (2)
(b) quarto di reddito equivalente più elevato (3) (4)
10 ’11 ’12 ’13 ’14 ’15 ’16 ’17 ’18 ’19 ’20 ’21 ’22 ’23 ’24
depositi e circolante
azioni italiane non quotate
azioni quotate
titoli di Stato
altri titoli di debito
risparmio gestito
altro
depositi
titoli di Stato
obbligazioni private
azioni e partecipazioni
fondi comuni, ETF e gest. patr.
altro
Fonte: per il pannello (a), Banca d’Italia (Conti finanziari), per il pannello (b), elaborazioni su dati Banca d’Italia (IBF); cfr. nella sezione
Note metodologiche dell’Appendice la voce Famiglie: Indagine sui bilanci delle famiglie italiane (IBF).
(1) Nei Conti finanziari le attività detenute attraverso le gestioni patrimoniali sono attribuite alle rispettive classi di appartenenza. Nella
IBF le gestioni patrimoniali costituiscono una classe di attività rilevata congiuntamente ai fondi comuni, mentre le informazioni sulla
detenzione di investimenti in polizze vita e previdenza complementare sono rilevate in una sezione distinta da quella delle attività
finanziarie. Inoltre i dati dei Conti finanziari si riferiscono a famiglie consumatrici, famiglie produttrici e Isp; quelli della IBF alle sole
famiglie consumatrici. – (2) La voce “azioni quotate” corrisponde a titoli azionari italiani ed esteri; “altri titoli di debito” a obbligazioni private
italiane ed estere; “altro” a crediti commerciali e altri crediti, derivati e stock option, polizze assicurative ramo danni e il Trattamento di fine
rapporto. – (3) Il reddito equivalente è il reddito di cui ciascun individuo dovrebbe disporre se vivesse da solo per raggiungere lo stesso
tenore di vita che ha nella famiglia in cui vive. Viene calcolato usando la scala di equivalenza dell’OCSE modificata, che attribuisce peso
1 al capofamiglia, 0,5 a ogni ulteriore componente di almeno 14 anni e 0,3 a ogni componente di età inferiore a 14 anni. – (4) La voce
“depositi” comprende quelli bancari e postali in conto corrente e a risparmio, i certificati di deposito, i pronti contro termine e i buoni
fruttiferi postali; le “obbligazioni private” sono quelle emesse da banche o imprese italiane; “altro” comprende i depositi detenuti all’estero
e gli altri titoli esteri, i prestiti alle cooperative e altre attività finanziarie (ad es. derivati, hedge funds, fondi di private equity).
strumenti. Poco più di tre quarti delle obbligazioni detenute dalle famiglie erano
nei portafogli del 10 per cento più abbiente (figura B, pannello a). Una parte
rilevante della domanda delle famiglie si è diretta verso le emissioni dedicate di
titoli di Stato italiani5, caratterizzate da incentivi volti a favorirne la detenzione
fino a scadenza6. Alla fine dello scorso anno i titoli acquistati mediante questi
collocamenti rappresentavano poco più di un terzo del portafoglio complessivo
di obbligazioni pubbliche italiane delle famiglie (figura B, pannello b). Il 45,2 per
cento dei titoli acquistati durante le sessioni dedicate nel periodo 2012-21 non è
stato scambiato sul mercato secondario.
Secondo i dati dell’ICF condotta dalla Banca d’Italia tra agosto e settembre del
2024, le emissioni dedicate hanno favorito la partecipazione al mercato dei titoli di
Stato anche di chi non era precedentemente interessato; inoltre più di due terzi di
Le emissioni dedicate comprendono i BTP Futura, i BTP Italia e i BTP Valore. Le famiglie possono
acquistare questi titoli durante finestre di collocamento ad hoc nel mercato primario senza partecipare alle
aste e con intero soddisfacimento della domanda.
Le famiglie che acquistano queste obbligazioni nel corso del periodo di collocamento e le detengono fino
alla scadenza ricevono un bonus.
BANCA D’ITALIA
Relazione annuale
Figura B
Titoli di debito detenuti direttamente dalle famiglie
(dati annuali; miliardi di euro)
(a) titoli obbligazionari per decimo
di ricchezza netta
(b) per tipologia di titoli di Stato (1)
’10 ’11 ’12 ’13 ’14 ’15 ’16 ’17 ’18 ’19 ’20 ’21 ’22 ’23 ’24
sotto la mediana
6-8 decimo
9-10 decimo
’10 ’11 ’12 ’13 ’14 ’15 ’16 ’17 ’18 ’19 ’20 ’21 ’22 ’23 ’24
BTP ordinari
BTP€i
BTP Futura
BTP Italia
BTP Valore
CCT e CCTeu
altri
Fonte: per il pannello (a), Banca d’Italia (Conti distribuitivi sulla ricchezza delle famiglie); per il pannello (b), Securities Holding Statistics
by Sector.
(1) I CCTeu sono titoli indicizzati all’Euribor; i BTP€i sono indicizzati all’inflazione europea.
coloro che detenevano questi titoli si sono dichiarati disponibili ad acquistarne altri,
a fronte del limitato interesse manifestato da quanti non li possedevano.
Alla fine del 2024 l’incidenza del risparmio gestito sulla ricchezza finanziaria
delle famiglie si collocava a 3 punti percentuali in meno del 2021, ma ancora 7,6
punti in più del 2010. Questo aumento ha favorito l’espansione della quota di
attività estere7 sul totale degli strumenti di mercato detenuti dalle famiglie (risparmio
gestito, azioni quotate e titoli di debito), anche per effetto della diversificazione
geografica che caratterizza il portafoglio degli organismi di investimento collettivo
del risparmio. Vi ha contribuito inoltre la riduzione degli investimenti diretti in
attività quotate emesse dalle imprese italiane. Complessivamente, nel 2023, ultimo
anno per il quale il dato è disponibile, la quota delle attività estere sugli strumenti di
mercato si è collocata intorno al 60 per cento, dal 45 circa nel 20148.
Le attività finanziarie estere comprendono le azioni e i titoli obbligazionari emessi all’estero, detenuti dalle
famiglie sia direttamente sia attraverso i prodotti del risparmio gestito.
Facendo alcune ipotesi sugli strumenti finanziari non di mercato, la quota delle attività finanziarie estere
è passata dal 36 al 39 per cento.
L’indebitamento
Nel 2024 il debito delle famiglie consumatrici nei confronti di banche e società
finanziarie ha ripreso ad aumentare leggermente, dopo la stazionarietà del 2023
(tav. 5.4); in rapporto al reddito disponibile è diminuito al 56,1 per cento, circa 6
punti percentuali in meno rispetto al 2019 e quasi 30 rispetto alla media dell’area
Relazione annuale
BANCA D’ITALIA
Tavola 5.4
Credito alle famiglie (1)
(dati di fine periodo)
Variazioni percentuali sui 12 mesi
marzo
Consistenze
a marzo
2025 (2)
Prestiti per l’acquisto di abitazioni
Banche
421.117
Credito al consumo
Totale banche e società finanziarie
178.941
banche
127.511
società finanziarie
51.429
Altri prestiti (3)
Banche
90.329
690.386
Totale
Totale banche e società finanziarie
Fonte: segnalazioni di vigilanza.
(1) Si considerano le famiglie consumatrici. I prestiti includono i pronti contro termine e le sofferenze. Per marzo 2025, dati
provvisori. Per le definizioni delle serie e il calcolo delle variazioni percentuali, cfr. nella sezione Note metodologiche dell’Appendice
la voce Credito alle famiglie. – (2) Milioni di euro. Le consistenze includono i prestiti cartolarizzati. – (3) Includono principalmente
aperture di credito in conto corrente e mutui diversi da quelli per l’acquisto, la costruzione e la ristrutturazione di unità immobiliari
a uso abitativo.
dell’euro (fig. 5.5). Secondo i
dati dell’ICF dello scorso marzo,
la quota di famiglie indebitate è
lievemente cresciuta nel 2024.
Durante l’anno scorso le
nuove erogazioni di mutui per
l’acquisto di abitazioni, la passività
più importante delle famiglie,
hanno ripreso vigore salendo a oltre
44 miliardi, da 41 nel 2023. La
domanda ha risentito positivamente
del calo dei tassi di interesse
– in particolare nella seconda
parte dell’anno (fig. 5.6.a) – e
dell’aumento della fiducia, a fronte
di criteri di offerta solo di poco più
rigidi. La crescita dei nuovi prestiti
per l’acquisto di abitazioni ha
riguardato tutte le classi di età dei
mutuatari: quella dei più giovani
continua a rappresentare la quota
più elevata (fig. 5.6.b). I dati della
Concessionaria servizi assicurativi
pubblici (Consap) confermano che
i mutui con garanzia a valere sul
BANCA D’ITALIA
Figura 5.5
Debiti finanziari delle famiglie:
composizione e incidenza
sul reddito disponibile (1)
(valori percentuali)
Italia
area dell’euro
prestiti per abitazioni
credito al consumo
altri debiti finanziari
debiti finanziari (2)
Fonte: elaborazioni su dati Banca d’Italia (Conti finanziari), BCE e Istat.
(1) Oltre alle famiglie consumatrici, include anche quelle produttrici
(imprese individuali, società semplici e di fatto che impiegano fino
a 5 addetti, produttrici di beni e servizi non finanziari destinabili alla
vendita nonché unità, prive di dipendenti, produttrici di servizi ausiliari
dell’intermediazione finanziaria) e le Isp (cfr. nella sezione Note
metodologiche dell’Appendice la voce Famiglie: confronto internazionale
di attività e passività finanziarie). – (2) Debiti finanziari in rapporto al
reddito disponibile. Scala di destra.
Relazione annuale
Figura 5.6
Nuovi mutui alle famiglie
(valori percentuali)
(a) quote e tassi di interesse (1)
(b) distribuzione per classi di età (4)
’07 ’08 ’09 ’10 ’11 ’12 ’13 14 ’15 ’16 ’17 ’18 ’19 ’20 ’21 ’22 ’23 ’24’25
quota di nuove erogazioni a tasso fisso sul totale
delle nuove erogazioni (2) (3)
tasso d’interesse sui mutui a tasso variabile
(fino a 1 anno)
tasso d’interesse sui mutui a tasso fisso
(per almeno 10 anni)
’07 ’08 ’09 ’10 ’11 ’12 ’13 14 ’15 ’16 ’17 ’18 ’19 ’20 ’21 ’22 ’23 ’24
meno di 35 anni
da 35 a 44 anni
da 45 a 54 anni
oltre 54 anni
Fonte: Banca d’Italia e Rilevazione analitica dei tassi di interesse attivi.
(1) Dati riferiti alle nuove erogazioni rivolte alle famiglie consumatrici, alle famiglie produttrici (imprese individuali, società semplici e di
fatto che impiegano fino a 5 addetti, produttrici di beni e servizi non finanziari destinabili alla vendita nonché unità, prive di dipendenti,
produttrici di servizi ausiliari dell’intermediazione finanziaria) e alle Isp. – (2) Scala di destra. – (3) Tasso fisso per almeno 10 anni. –
(4) Dati riferiti a finanziamenti alle famiglie consumatrici con valore dell’accordato o dell’utilizzato pari o superiore a 75.000 euro.
Per esigenze di confronto, i dati del 2024 escludono i finanziamenti inclusi in seguito ai cambiamenti di perimetro e di soglia minima di
rilevazione intervenuti a partire dalla segnalazione del dicembre dello stesso anno.
Fondo prima casa12 – destinati a richiedenti di età inferiore a 36 anni – sono saliti a
6,3 miliardi, da 5,3 nel 2023.
Le nuove erogazioni a tasso fisso hanno superato complessivamente il 90 per cento
del totale, un nuovo valore massimo nel confronto storico, riflettendo il minore costo
di questi prestiti (3,1 per cento a marzo del 2025, rispetto a 3,7 per i mutui a tasso
variabile). I contratti a tasso fisso rappresentano inoltre quasi tre quarti dei mutui in
essere.
Il credito al consumo è ancora cresciuto a ritmo sostenuto (5,6 per cento): i
finanziamenti ottenuti dalle famiglie continuano a essere quasi esclusivamente a tasso
predeterminato per almeno un anno. L’espansione si è verificata anche se il costo
complessivo dei nuovi finanziamenti si è collocato su valori elevati (10,1 per cento a
dicembre). Il costo del credito al consumo in Italia rimane di 1,8 punti percentuali più
alto di quello medio dell’area dell’euro. Nel primo trimestre del 2025 l’espansione del
credito al consumo è proseguita, nonostante il deterioramento del clima di fiducia delle
famiglie osservato a marzo.
Per ulteriori dettagli, cfr. nell’Appendice la sezione: Descrizione dei principali provvedimenti in materia
economica. L’economia italiana: Le famiglie e le imprese.
Relazione annuale
BANCA D’ITALIA
6. LE IMPRESE
Nel 2024 il valore aggiunto in Italia è aumentato moderatamente, come nell’anno
precedente. La dinamica dell’attività si è indebolita nei servizi, per il rallentamento nei
comparti a elevata interazione sociale quali le attività ricreative, e nelle costruzioni, per il
netto ridimensionamento delle agevolazioni fiscali nell’edilizia residenziale. Nell’industria
in senso stretto il valore aggiunto è rimasto stazionario, dopo il calo nel 2023, riflettendo
l’espansione nel comparto energetico e la nuova moderata flessione nella manifattura.
Gli investimenti hanno fortemente rallentato rispetto al 2023: quelli in costruzioni
non residenziali hanno accelerato, anche per l’attuazione del Piano nazionale di ripresa
e resilienza, mentre quelli in abitazioni si sono ridotti, dopo la marcata crescita sospinta
dal Superbonus. La spesa per macchinari e attrezzature è diminuita, dopo il sostenuto
incremento del quadriennio precedente, risentendo in particolare della debolezza
della domanda. Le imprese ne prefigurano nel complesso un’espansione per il 2025,
soprattutto quelle di grande dimensione.
Lo scorso anno l’indebolimento del ciclo economico e l’aumento del costo del
lavoro hanno contenuto la redditività delle aziende. Il costo dei finanziamenti bancari
è sceso per effetto dell’allentamento della politica monetaria. La dinamica del credito,
ancora negativa, è stata eterogenea tra le diverse tipologie di imprese. I prestiti sindacati
hanno rappresentato una quota rilevante di quelli bancari.
La produttività del lavoro nel settore privato è diminuita per il secondo anno
consecutivo, dopo un lungo periodo di crescita. Questa fase positiva era stata il frutto
della ristrutturazione che aveva interessato il sistema produttivo dopo la crisi dei
debiti sovrani; vi avevano contribuito sia la riallocazione dell’attività verso aziende
più efficienti, sia un aumento della produttività all’interno delle singole imprese.
La spesa in ricerca e sviluppo in rapporto al PIL è ancora nettamente inferiore alla
media dell’Unione europea. Il divario è riconducibile soprattutto al settore privato e
si traduce in un numero di brevetti minore rispetto agli altri principali paesi europei.
All’attività innovativa contribuiscono in maniera significativa le start up, che
dipendono maggiormente dall’apporto di mezzi propri. L’offerta di capitale di rischio
a queste imprese da parte di fondi di venture capital si è intensificata negli ultimi anni,
ma rimane limitata nel confronto internazionale.
Si sono registrati progressi nella digitalizzazione e nella decarbonizzazione. Fra le
imprese, già ampiamente dotate di strumenti digitali di base, si sta diffondendo l’utilizzo
di tecnologie avanzate fra le quali l’intelligenza artificiale. Continuano inoltre ad accelerare
le nuove installazioni di impianti di energia rinnovabile. Il cambiamento climatico
comporta elevati rischi idrogeologici con cui si devono confrontare le imprese italiane.
BANCA D’ITALIA
Relazione annuale
Gli andamenti settoriali e la struttura del sistema produttivo
Il valore aggiunto e la produzione. – Nel 2024 il valore aggiunto dell’economia
italiana è aumentato dello 0,5 per cento (0,7 nel 2023)1. L’attività si è incrementata
dell’1,2 per cento nelle costruzioni (6,9 nell’anno precedente) e, in misura più
contenuta, nei servizi; ha sostanzialmente ristagnato nell’industria in senso stretto,
diminuendo nella manifattura.
Figura 6.1
L’indice della produzione
industriale si è ridotto del 3,0 per
Tassi di variazione del valore aggiunto
nell’industria in senso stretto e dell’indice
cento (-2,4 nel 2023), proseguendo
della produzione industriale e loro differenza (1)
con intensità crescente il calo
(valori e punti percentuali)
in atto dal 2022. Secondo le
indagini dell’Istat, il principale
ostacolo alla produzione deriva
dall’insufficienza della domanda
che rispecchia, tra l’altro, la
debolezza del ciclo manifatturiero
nell’area dell’euro. Si è confermato
il diverso andamento del valore
aggiunto
nell’industria
senso stretto e dell’indice della
produzione industriale: dal 2010 al
2024 il primo è complessivamente
produzione industriale
salito del 3 per cento, mentre il
valore aggiunto nell’industria in senso stretto
secondo è diminuito del 9 (fig. 6.1).
differenza tra VA e IP (2)
A parte le differenze metodologiche,
elaborazioni su dati Istat; cfr. nella sezione Note metodologiche
la divergenza, comune ai maggiori Fonte:
dell’Appendice la voce Imprese: indice destagionalizzato della produzione
paesi europei, è determinata anche industriale.
(1) Dati grezzi; valori concatenati con anno di riferimento 2020 per il valore
da cambiamenti strutturali di aggiunto a prezzi base nell’industria in senso stretto. – (2) Scala di destra.
lungo periodo nella qualità delle
produzioni. Il valore aggiunto esprime in modo più appropriato tali cambiamenti
rispetto all’indice della produzione, che invece riflette principalmente variazioni
nelle quantità prodotte.
In termini di valore aggiunto, nel 2024 sono maggiormente cresciuti il settore
chimico e quello farmaceutico. Le contrazioni più ampie si sono registrate nella
fabbricazione di autoveicoli – comparto che sta affrontando le trasformazioni
tecnologiche e produttive legate ai processi di transizione ambientale e digitale – e nel
tessile, la cui flessione è in atto dall’inizio degli anni duemila.
Il calo della produzione industriale ha interessato la maggioranza dei settori; solo
in un quinto dei comparti, che include la fabbricazione di altri mezzi di trasporto2 e il
settore alimentare, si è avuta un’espansione superiore al 5 per cento (fig. 6.2).
Si considera il valore aggiunto a prezzi base. Per maggiori dettagli sulla differenza con il PIL, cfr. nella sezione
Glossario dell’Appendice la voce Prodotto interno lordo ai prezzi di mercato (PIL).
L’aggregato include costruzione di imbarcazioni, locomotive e materiale rotabile, aeromobili e veicoli spaziali,
veicoli da combattimento.
Relazione annuale
BANCA D’ITALIA
Figura 6.2
Nelle costruzioni il valore
Produzione industriale:
aggiunto ha fortemente rallentato
quote di settori in espansione o contrazione (1)
a causa della marcata riduzione
(dati annuali; valori percentuali)
dei benefici fiscali connessi con
il Superbonus; è comunque
aumentato dell’1,2 per cento,
dopo un incremento cumulato di
quasi il 25 per cento nel biennio
2022-23. Gli investimenti sono
leggermente scesi nel comparto
residenziale (cfr. il paragrafo:
Gli investimenti), mentre sono
saliti in modo significativo nella
componente non residenziale,
anche per il contributo delle
’11 ’12 ’13 ’14 ’15 ’16 ’17 ’18 ’19 ’20 ’21 ’22 ’23 ’24
opere pubbliche finanziate dal
inferiore a -5%
tra -5% e inferiore a 0
tra 0 e 5%
superiore a 5%
PNRR (cfr. il riquadro: Lo stato di
attuazione del Piano nazionale di
ripresa e resilienza del capitolo 4).
Le indagini condotte dalla Banca
elaborazioni su dati Istat, dati grezzi; cfr. nella sezione Note
d’Italia segnalano un aumento Fonte:
metodologiche dell’Appendice la voce Imprese: indice destagionalizzato
delle commesse di opere pubbliche della produzione industriale.
La quota di settori in espansione o contrazione (a livello di classe Ateco
per quasi la metà delle imprese (1)
a 4 cifre) è calcolata sulla base dei tassi di crescita annuali degli indici
di costruzione intervistate. Sulla settoriali di produzione industriale.
base dell’Indagine sulle imprese
industriali e dei servizi (Invind), svolta tra febbraio e maggio di quest’anno, il 52
per cento delle imprese con almeno dieci addetti prevede di ricevere nel 2025
ordini legati ai bandi del PNRR.
Nel terziario l’espansione del valore aggiunto è proseguita, ma a ritmi inferiori a
quelli dell’anno precedente (0,6 per cento, da 1,1 nel 2023). Incrementi consistenti si
sono manifestati nelle attività immobiliari, in linea con il buon andamento del mercato
delle abitazioni (cfr. il capitolo 5), e nelle attività professionali, scientifiche e tecniche.
Per queste ultime è continuata la crescita osservata negli ultimi anni, anche a seguito
delle riforme che hanno favorito un aumento della concorrenza e della produttività3. Si
è invece attenuato il contributo dei comparti a elevata interazione sociale, quali i servizi
di alloggio e ristorazione (1,0 per cento da 5,1 nel 2023) e le attività ricreative (­‑0,9 per
cento da 13,4), dopo il forte rimbalzo successivo all’emergenza sanitaria.
La struttura del sistema produttivo. – Dopo la pandemia si è assistito a una leggera
ricomposizione settoriale in favore dei servizi privati e delle costruzioni; queste ultime
sono tornate ad avere un peso sul valore aggiunto paragonabile a quello che avevano
prima della crisi finanziaria globale. La quota della manifattura è lievemente diminuita
al 16 per cento, un valore appena superiore alla media europea.
Per maggiori dettagli, cfr. I. Di Marzio, S. Mocetti e G. Roma, Gli effetti delle riforme nel mercato dei servizi
professionali, Banca d’Italia, Questioni di economia e finanza, 900, 2024.
BANCA D’ITALIA
Relazione annuale
È inoltre proseguita in tutti i settori la riallocazione verso le aziende di maggiore
dimensione. Nel 2023, ultimo anno per il quale sono disponibili i dati, le imprese con
almeno 250 dipendenti impiegavano un quarto dei lavoratori occupati nel settore privato
non agricolo e non finanziario, circa un punto percentuale in più rispetto al 2019 e
quasi 5 punti in più del 2014; negli altri principali paesi europei questa incidenza restava
tuttavia nettamente più elevata (46 per cento in Francia, 42 in Germania e 33 in Spagna).
La demografia di impresa e le start up. – Secondo le rilevazioni di Movimprese, nel
2024 il tasso di natalità delle aziende è stato superiore a quello di mortalità; entrambi
i tassi sono aumentati lievemente nell’anno. I dati dell’Istat, disponibili fino al 2022,
indicano che il tasso di natalità netto è positivo dal 2021, dopo 15 anni in cui era
rimasto negativo.
Tra le nuove imprese, un ruolo significativo è svolto dalle cosiddette start up
innovative. Queste hanno come oggetto sociale prevalente lo sviluppo, la produzione
e la commercializzazione di prodotti o servizi innovativi ad alto valore tecnologico e
dal 2012 possono accedere fino al quinto anno di vita ad agevolazioni mirate4. Fra il
2012 e il 2024 oltre 31.000 imprese si sono iscritte nel registro nazionale delle start
up innovative, con un picco di adesioni nel 20215. Il loro valore aggiunto rappresenta
una quota ridotta del totale (0,3 per cento tra le società di capitali e 1,7 tra le società
nate dopo il 2012, secondo i dati riferiti al 2022). La loro rilevanza per l’innovazione è
tuttavia testimoniata dalla più intensa attività di ricerca e sviluppo: tra il 2012 e il 2019
(ultimo anno disponibile) tali aziende hanno depositato il 44,3 per cento dei brevetti
di quelle nate dopo il 2012.
Le start up innovative si concentrano principalmente nei servizi di informazione
e comunicazione (48,9 per cento), ma sono presenti anche nelle attività professionali
tecnico-scientifiche (22,9 per cento) e nella manifattura (15 per cento). Nel confronto
con imprese simili per età, settore e forma giuridica si caratterizzano per una maggiore
dotazione di capitale netto e di immobilizzazioni, soprattutto immateriali. Rispetto alle
altre società di capitali nate nello stesso periodo, le start up innovative sono inizialmente
più piccole per fatturato e numero di occupati, ma crescono più velocemente, colmando
questi divari entro dieci anni dalla nascita. Si contraddistinguono inoltre per il ricorso
al canale non bancario per il proprio finanziamento: una su 14 ha ottenuto risorse
da fondi di venture capital, comparto verso cui si sono di recente concentrate diverse
novità normative che mirano a sostenerne lo sviluppo (cfr. il paragrafo: Le fonti di
finanziamento).
La L. 221/2012 ha introdotto uno specifico regime giuridico, fiscale e finanziario per agevolare la nascita e
lo sviluppo di giovani società di capitali ad alto contenuto innovativo e tecnologico. Una start up innovativa
deve avere come oggetto sociale esclusivo o prevalente lo sviluppo, la produzione e la commercializzazione di
un prodotto o servizio ad alto valore tecnologico; non deve essere il risultato di scissione o cessione di un ramo
di azienda; deve avere un fatturato annuo inferiore a 5 milioni di euro; non deve essere quotata in un mercato
regolamentato; non deve distribuire utili. Deve inoltre rispettare almeno uno dei tre seguenti requisiti:
(a) sostenere spese in ricerca e sviluppo pari ad almeno il 15 per cento del maggiore valore tra costo e totale
della produzione; (b) impiegare personale altamente qualificato; (c) essere titolare, depositaria o licenziataria
di un brevetto o di un software registrato. La L. 193/2024 ha ristretto i requisiti per l’accesso al registro delle
start up innovative, escludendo le imprese aventi come oggetto sociale attività di agenzia o consulenza.
G.M. Cassinis, A. Cintolesi, S. Formai, A. Locatelli, F. Manaresi, E. Manzoli, G. Papini, F. Parlapiano,
P. Recchia e S. Zuccolalà, Innovative firms unveiled: economic and financial insights from Italian start-ups,
Banca d’Italia, di prossima pubblicazione.
Relazione annuale
BANCA D’ITALIA
Gli investimenti
Nel 2024 l’accumulazione lorda di capitale è nettamente rallentata (0,5 per cento,
da 9,0 nel 2023; tav. 6.1)6. Gli investimenti in costruzioni hanno avuto dinamiche
eterogenee: si sono ridotti nel comparto residenziale, dopo un’espansione superiore
al 100 per cento nel periodo 2020-23 per effetto del Superbonus, mentre sono
ulteriormente cresciuti in quello non residenziale, anche per l’attuazione dei progetti
del PNRR. La spesa per macchinari e attrezzature è diminuita, dopo essere salita di
quasi il 25 per cento nel quadriennio 2020-23; il calo si è associato a un minore grado
di utilizzo degli impianti esistenti. La contrazione è stata più marcata nella componente
dei mezzi di trasporto, notevolmente aumentata l’anno precedente. Questa dinamica
negativa degli investimenti in beni strumentali riflette anche il deterioramento delle
prospettive di domanda. Secondo le indagini dell’Istat, nel 2024 la domanda e i fattori
tecnici (ad es. lo sviluppo tecnologico), considerati entrambi fattori di stimolo per
l’accumulazione, hanno infatti fornito un impulso minore rispetto alla media del
periodo 2020-23, quando gli investimenti avevano anche beneficiato degli incentivi
del piano Transizione 4.07.
Tavola 6.1
Investimenti fissi lordi
(valori concatenati; valori percentuali)
Composizione
nel 2024 (1)
Variazioni
Quote del PIL (1)
Abitazioni (2)
Altre costruzioni (2)
software e basi di dati
Totale investimenti fissi lordi
100,0
Totale escluse le abitazioni
Totale escluse le costruzioni
Costruzioni
Impianti, macchinari, armamenti e
risorse biologiche coltivate
di cui: mezzi di trasporto
Prodotti di proprietà intellettuale
di cui: r icerca e sviluppo
Fonte: Istat, Conti economici nazionali; cfr. nella sezione Note metodologiche dell’Appendice la voce Conti nazionali: valori
concatenati.
(1) Quantità ai prezzi dell’anno precedente. Eventuali mancate quadrature sono dovute ad arrotondamenti. – (2) Inclusi i costi per
trasferimento di proprietà.
La revisione generale dei Conti economici nazionali per il periodo 1995-2023, diffusa dall’Istat a settembre
del 2024, ha modificato la dinamica degli investimenti, il cui tasso di crescita è quasi raddoppiato nel 2023
soprattutto per la correzione al rialzo di quelli in costruzioni.
Per approfondimenti, cfr. Ministero dell’Economia e delle finanze, Banca d’Italia e Ministero delle Imprese e del
made in Italy, Gli incentivi in investimenti 4.0: una valutazione dell’impatto della misura, 29 novembre 2024.
BANCA D’ITALIA
Relazione annuale
Nonostante la dinamica molto contenuta, gli investimenti in rapporto al PIL si
sono confermati su livelli superiori a quelli precedenti la pandemia (al 22,5 per cento),
soprattutto per il peso maggiore della componente in costruzioni.
È proseguito l’aumento dello stock di capitale in atto dal 2021 (dopo nove anni
consecutivi di riduzione): gli investimenti al netto degli ammortamenti sono risultati
positivi, sebbene inferiori rispetto al 2023.
Secondo l’indagine Invind, nel 2024 gli investimenti sono cresciuti soprattutto
fra le imprese dei servizi con un numero di addetti compreso tra 200 e 499, mentre
sono diminuiti nella manifattura (tav. 6.2). In media la spesa effettiva è risultata
sostanzialmente in linea con i piani precedentemente formulati. Le imprese edili
indicano per lo scorso anno un incremento della realizzazione di opere pubbliche che,
secondo le attese, proseguirebbe nel 2025. I programmi delle aziende per quest’anno
prefigurano nel complesso un’espansione della spesa in capitale, con andamenti
eterogenei tra settori: la flessione per le imprese dei servizi sarebbe più che compensata
dall’aumento per quelle dell’industria in senso stretto.
Tavola 6.2
Investimenti fissi lordi delle imprese secondo le indagini della Banca d’Italia,
per classe dimensionale, grado di utilizzo e variazione del fatturato (1)
(variazioni percentuali a prezzi 2024, salvo diversa indicazione)
Totale
Numero di addetti
Utilizzo
Variazione
della capacità del fatturato (2)
produttiva (2) (3)
da 20
da 50
a 199
da 200 500
a 499 e oltre
basso
bassa
Industria in senso stretto
Consuntivo per il 2024
-13,2
Tasso di realizzo (4)
106,6
103,1
102,7
Programmi per il 2025
di cui: manifattura
consuntivo per il 2024
-10,3
-13,7
tasso di realizzo (4)
105,4
105,5
103,3
programmi per il 2025
Consuntivo per il 2024
Tasso di realizzo (4)
104,0
105,7
108,0
107,4
100,2
109,2
101,5
Programmi per il 2025
Consuntivo per il 2024
Programmi per il 2025
Servizi (5)
Totale
Fonte: Banca d’Italia, Invind; cfr. nella sezione Note metodologiche dell’Appendice la voce Imprese: Indagine sulle imprese industriali
e dei servizi (Invind).
(1) Medie robuste, ottenute ridimensionando i valori estremi (con segno sia positivo sia negativo) della distribuzione della spesa per
investimenti. Il deflatore degli investimenti è stimato sulla base dei dati forniti dalle singole imprese. – (2) Le imprese sono ripartite a
seconda che si trovino al di sotto (basso/bassa) o al di sopra (alto/alta) del valore mediano calcolato separatamente per industria e
servizi. Il valore mediano è calcolato sul 2024 per i dati di consuntivo e per il tasso di realizzo, sul 2025 per i programmi. – (3) Dati riferiti
alle sole imprese industriali. – (4) Rapporto percentuale a prezzi correnti tra investimenti realizzati e investimenti programmati (come
riportati nell’indagine dello scorso anno) per il 2024. – (5) Servizi privati non finanziari.
Relazione annuale
BANCA D’ITALIA
La produttività e l’innovazione
La produttività. – Nel 2024 la produttività del lavoro nel settore privato,
escludendo l’agricoltura e i servizi immobiliari e finanziari, è diminuita per il secondo
anno consecutivo. Il calo del biennio è da ricondurre in parte a fattori ciclici8 e in
parte alla riduzione relativa del costo del lavoro rispetto a quello del capitale e dei
beni intermedi, che ha reso più conveniente l’utilizzo del fattore lavoro da parte delle
imprese (cfr. i capitoli 7 e 8)9. Grazie ai significativi incrementi del triennio precedente,
nel 2024 il valore aggiunto per ora lavorata è rimasto 1,6 punti percentuali al di sopra
del livello osservato prima della pandemia; l’aumento cumulato è stato superiore a
quanto registrato in Germania e in Francia (rispettivamente 0,7 e -3,1 per cento) e pari
alla metà di quello spagnolo (3,3). Nel complesso dell’economia la produttività si è
invece riportata sui valori del 2019, riflettendo l’ulteriore riduzione, in atto da tempo,
nell’agricoltura, nei servizi finanziari, nell’istruzione e nella sanità.
Negli ultimi cinque anni la crescita del prodotto per ora lavorata nel settore privato
è stata inferiore a quella del quinquennio precedente (fig. 6.3). Il contributo positivo
della produttività totale dei fattori (PTF) è stato in parte compensato da un ulteriore
calo del rapporto tra capitale e lavoro: sebbene lo stock di capitale sia tornato a crescere
dopo la flessione del quinquennio precedente, è aumentato meno delle ore lavorate.
L’incremento della produttività del lavoro è stato trainato dalla crescita della PTF nei
servizi e nelle costruzioni10; il contributo negativo della manifattura è dipeso interamente
dalla riduzione della PTF, penalizzata dallo stato della congiuntura nell’ultimo biennio.
Figura 6.3
Contributo della produttività totale dei fattori
e dell’intensità di capitale alla variazione della produttività del lavoro per settore (1)
(valori percentuali)
totale
di cui:
di cui:
settore
privato (2) manifattura costruzioni
di cui:
servizi
privati
totale
2014-19
intensità di capitale
di cui:
di cui:
settore
privato (2) manifattura costruzioni
di cui:
servizi
privati
2019-24
produttività del lavoro
Fonte: elaborazioni sui dati Istat, Conti economici nazionali.
(1) Tassi di crescita cumulati fra il primo e l’ultimo anno del periodo indicato, calcolati come differenze logaritmiche; cfr. nella sezione Note
metodologiche dell’Appendice la voce Imprese: scomposizione della crescita della produttività del lavoro. – (2) Si intende il settore privato
non agricolo, non finanziario, con l’esclusione dei servizi immobiliari (sezioni Ateco da B a N, con esclusione di K e L).
La produttività del lavoro in Italia e in altri paesi europei tende a crescere nelle fasi di espansione e a ridursi
nelle fasi di debolezza dell’attività economica.
F. Colonna, F. Scoccianti ed E. Viviano, The slowdown of productivity in the euro area and the role of input
prices, Banca d’Italia, Questioni di economia e finanza, 918, 2025.
L’eccezionale espansione della domanda nel settore delle costruzioni può avere in parte determinato il forte
aumento della PTF incrementando l’utilizzo della capacità produttiva.
BANCA D’ITALIA
Relazione annuale
Secondo nostre analisi la dinamica della produttività nei tre anni successivi alla
pandemia, per i quali si dispone di dati a livello di impresa, è dovuta principalmente
all’aumento all’interno delle singole aziende già presenti sul mercato11. Vi hanno
contribuito anche la demografia di impresa (le nuove aziende sono risultate mediamente
più efficienti di quelle cessate) e la riallocazione di risorse a favore delle unità più grandi
e maggiormente produttive fra quelle esistenti. Queste dinamiche rappresentano una
novità rispetto al quinquennio 2015-19, quando solo il canale della riallocazione aveva
fornito un contributo positivo alla crescita del valore aggiunto per ora lavorata12.
L’innovazione e la transizione digitale. – La dinamica positiva della produttività
nell’ultimo decennio non si è accompagnata a una significativa crescita della spesa
in ricerca e sviluppo, che nel 2023 si è portata all’1,3 per cento del PIL, come nel
2014. Tale valore risultava inferiore di quasi un punto rispetto alla media europea,
soprattutto per effetto della minore spesa sostenuta dalle imprese (cfr. il riquadro:
Il sistema dell’innovazione in Italia nel confronto internazionale).
IL SISTEMA DELL’INNOVAZIONE IN ITALIA NEL CONFRONTO INTERNAZIONALE
Il progresso tecnologico è la principale determinante della crescita economica
e della produttività nel lungo periodo. Nonostante la qualità della ricerca scientifica
nazionale, nelle principali classifiche sull’innovazione l’Italia occupa una posizione
intermedia nell’Unione europea1 e rimane distante dalle principali economie europee
e dai leader mondiali, a loro volta insidiati dalla Cina. Ciò a causa di un’attività
innovativa concentrata sulle tecnologie tradizionali, come quelle legate alla filiera di
industrie coinvolte nella produzione automobilistica (automotive), e di carenze nel
trasferimento tecnologico dalla ricerca scientifica alle imprese2.
L’attività di ricerca accademica condotta nelle discipline scientifiche, tecnologiche,
informatiche e matematiche (science, technology, engineering and mathematics, STEM)3
costituisce un punto di forza. In Italia il numero annuo di pubblicazioni di qualità
L’Italia è 16a nella UE secondo l’European innovation scoreboard della Commissione e 26a a livello mondiale
in base al global innovation index dell’Organizzazione mondiale per la proprietà intellettuale, secondo
il quale occupano i primi tre posti Svizzera, Svezia e Stati Uniti. La Cina ha raggiunto l’11a posizione
(35a nel 2013).
M. Andini, F. Bertolotti, L. Citino, F. D’Amuri, A. Linarello e G. Mattei, Ricerca, innovazione e trasferimento
tecnologico in Italia, Banca d’Italia, Questioni di economia e finanza, di prossima pubblicazione.
Non esiste una definizione univoca delle discipline STEM: in questo riquadro se ne utilizza una molto
ampia che include scienze agrarie e biologiche, biochimica, chimica, energia, farmacologia, fisica, genetica,
geologia, informatica, immunologia, ingegneria, matematica, medicina, microbiologia, neuroscienze,
scienze ambientali, scienze dei materiali, scienze delle decisioni, scienze infermieristiche e veterinaria.
A. Accetturo, A. Baltrunaite, E. Ciani, F. Cingano, F. Daniele, R. De Luca, I. Di Marzio, R. Greco,
A. Linarello, F. Manaresi e S. Mocetti, Le recenti dinamiche della produttività e le trasformazioni del sistema
produttivo, Banca d’Italia, Questioni di economia e finanza, di prossima pubblicazione.
Dalla crisi finanziaria globale si è innescato un processo di ristrutturazione produttiva ed è aumentato il
contributo dell’efficienza allocativa alla crescita della produttività, anche in connessione con una maggiore
selettività da parte degli intermediari creditizi; cfr. A. Linarello, A. Petrella ed E. Sette, Allocative efficiency and
finance, Banca d’Italia, Questioni di economia e finanza, 487, 2019.
Relazione annuale
BANCA D’ITALIA
è aumentato del 60 per cento tra
il 2009 e il 20234, portandosi a un
livello di poco inferiore a quello della
Germania e ben al di sopra di quelli
di Francia e Spagna (figura A). La
crescita ha interessato le diverse aree
disciplinari ed è stata particolarmente
marcata nelle scienze mediche,
che da sole hanno contribuito per
oltre il 40 per cento all’incremento
complessivo. Tali risultati sono stati
ottenuti in un contesto caratterizzato
da risorse limitate: in rapporto al
PIL, nel 2023 la spesa pubblica
per le università (0,6 per cento) era
pari alla metà di quella di Francia e
Germania.
Figura A
Numero di pubblicazioni STEM di qualità (1)
(dati annuali)
13.000
13.000
11.000
11.000
9.000
9.000
7.000
7.000
5.000
5.000
3.000
’09 ’10 ’11 ’12 ’13 ’14 ’15 ’16 ’17 ’18 ’19 ’20 ’21 ’22 ’23
Francia
Germania
Italia
3.000
Spagna
Fonte: elaborazioni su dati OCSE.
(1) Le pubblicazioni di qualità sono definite come quelle nel 1° decimo
per numero di citazioni.
Ai buoni risultati nella ricerca non corrisponde una presenza altrettanto
significativa nella registrazione dei brevetti, requisito per lo sfruttamento commerciale.
Sebbene anche in questo ambito si siano registrati notevoli progressi5, rimane ampio
il divario nei confronti dei principali paesi europei: nel 2024 il numero dei brevetti
presentati da residenti in Germania e Francia era pari rispettivamente a cinque e a due
volte quello dei residenti in Italia. L’attività brevettuale rimane inoltre concentrata
in tecnologie tradizionali, come quelle della meccanica e dei trasporti; è pressoché in
linea con il resto del mondo in ambiti strategici, quali la farmaceutica, le tecnologie
mediche e gli apparati elettrici; è limitata nei campi in maggiore espansione, come le
tecnologie informatiche e le comunicazioni digitali (figura B).
Per quanto riguarda il settore privato, il ritardo nella registrazione dei brevetti
riflette il basso livello di spesa in ricerca e sviluppo6, che in rapporto al PIL
(0,76 per cento nel 2023) supera di poco la metà della media nella UE e rimane
nettamente inferiore a quella dei paesi leader mondiali nell’innovazione7. Solo
una parte del divario dipende dalla struttura dei settori, che risulta sbilanciata
Nello stesso periodo la quota delle pubblicazioni di qualità sul totale mondiale è rimasta sostanzialmente
stabile attorno al 3 per cento in Italia, si è ridotta negli Stati Uniti (al 17,2 per cento dal 34,1) ed è molto
aumentata in Cina (al 35,8 per cento dal 7,8). Si definiscono pubblicazioni scientifiche di qualità quelle
che rientrano nel 1° decimo per numero di citazioni; cfr. OCSE, OECD bibliometric indicators. Selected
highlights, maggio 2025.
Secondo i dati di fonte EPO le domande di brevetto presentate da residenti in Italia sono aumentate del
22 per cento tra il 2015 e il 2024.
F. Bertolotti, L. Citino, A. Linarello, F. Lotti, E. Padovani, E. Pisano, M. Romanelli, A. Sanelli,
F. Scoccianti, E. Sette ed E. Zangari, Innovazione e politiche di sostegno pubblico: un’analisi comparata,
Questioni di economia e finanza, 898, 2024.
Nel 2023 i primi tre paesi a livello mondiale per spesa privata in ricerca e sviluppo in rapporto al PIL erano
la Corea del Sud, il Giappone e gli Stati Uniti (3,9, 2,7 e 2,7 per cento, rispettivamente).
BANCA D’ITALIA
Relazione annuale
Figura B
Specializzazione tecnologica dei brevetti in Italia e nel resto del mondo nel 2024
(punti percentuali)
tecnologie
per la logistica
quota domande di brevetto
per tecnologia: Italia
altri macchinari
speciali
macchine
utensili
ingegneria
civile
mezzi di trasporto
parti meccaniche
biotecnologie
macchinari elettrici
farmaceutica
strumenti di misurazione
tecnologie
mediche
tecnologie
informatiche
sistemi di
comunicazione
digitale
quota domande di brevetto per tecnologia: resto del mondo
Fonte: elaborazioni su dati Ufficio europeo dei brevetti (European Patent Office, EPO).
verso quelli più tradizionali. La spesa è inferiore in ogni comparto8 e risente della
scarsa presenza tra le aziende leader globali dell’innovazione: nel 2023 la prima
impresa italiana per spesa in ricerca e sviluppo era al 46° posto nell’Unione
europea.
Nel settore pubblico il divario rispetto alla UE nella spesa per ricerca
e sviluppo è meno marcato. I brevetti di università ed enti di ricerca sono più
specializzati nelle tecnologie di frontiera, quali quelle mediche e le biotecnologie.
A livello mondiale l’attività innovativa tende a concentrarsi in poli di eccellenza9.
Tra il 2000 e il 2020 più di metà delle domande di brevetto a livello universitario
in Europa è stata presentata da atenei che detengono oltre 250 brevetti: queste
università costituiscono solo il 4,5 per cento del totale. In Italia solamente un
ateneo rientra in tale categoria, mentre in Germania, Francia e Regno Unito sono
rispettivamente 12, 15 e 4.
Il ritardo rispetto agli altri paesi europei riguarda anche le modalità di
trasferimento dell’innovazione alle imprese. Nonostante miglioramenti recenti10,
Fa eccezione il comparto degli altri mezzi di trasporto, che include quelli per la difesa e l’aerospazio. Sulla
base dei dati dell’Eurostat, nel 2022 (ultimo anno disponibile) l’incidenza della spesa in ricerca e sviluppo
sul fatturato era in Italia del 4,75 per cento, a fronte del 4,62, 4,45 e 3,75 in Francia, Spagna e Germania,
rispettivamente.
Per maggiori dettagli, cfr. EPO e Fraunhofer ISI, The role of European universities in patenting and
innovation. A study of academic inventions at the EPO, European Patent Office, ottobre 2024.
Gli UTT si occupano della gestione della proprietà intellettuale, della stipula di contratti di ricerca con
le imprese e della promozione di start up. La forte crescita della loro dimensione nell’ultimo decennio
potrebbe in parte riflettere gli effetti di uno specifico bando pubblicato nel 2015 dal Ministero dello
Sviluppo economico (ora Ministero delle Imprese e del made in Italy) e dall’Ufficio italiano brevetti
e marchi. La L. 102/2023, che ha trasferito la titolarità dei diritti di sfruttamento economico delle
invenzioni derivanti da progetti di ricerca pubblica alle università e agli enti pubblici di ricerca,
potrebbe dare maggiore impulso alle attività degli UTT. In argomento, cfr. anche Netval-Network per
la Valorizzazione della Ricerca, 19° Rapporto Netval. Ancora a due velocità. Dati relativi al 2022, in
collaborazione con Mimit-UIBM e CRUI, 2024.
Relazione annuale
BANCA D’ITALIA
gli Uffici di trasferimento tecnologico (UTT) delle università italiane restano di
dimensioni ridotte: a parità di brevetti gestiti, hanno circa il 20 per cento di addetti
in meno della media della UE. Le università sono coinvolte nel trasferimento
tecnologico anche attraverso i centri di competenza ad alta specializzazione, ossia
partenariati pubblico-privati nati nel 2018 per favorire l’adozione di tecnologie
avanzate da parte delle piccole e medie imprese. Anche in questo caso la scala delle
iniziative è limitata: per il periodo 2019-25 tali centri sono stati finanziati con 186
milioni di euro; strutture simili in Europa beneficiano di finanziamenti ben più
significativi e stabili nel tempo11.
La strategia di sostegno pubblico all’innovazione soffre di un’elevata
frammentazione, sia a livello centrale tra i diversi dicasteri sia tra livelli di governo,
e potrebbe trarre beneficio da un maggiore coordinamento. In particolare le regioni
sono destinatarie di finanziamenti ingenti, in parte ottenuti attraverso programmi
europei (come quelli del Fondo europeo di sviluppo regionale, FESR), impiegati
in iniziative autonome che rischiano di duplicare quelle di carattere nazionale o
europeo.
Ad esempio, nel Regno Unito l’Innovate UK Catapult Network riceve un finanziamento pari a 1,6
miliardi di sterline per il periodo 2023-28, in aumento del 35 per cento rispetto al quinquennio
precedente.
Secondo l’indice di digitalizzazione dell’economia e della società (digital
economy and society index, DESI) della Commissione europea, per il 2023 il livello di
digitalizzazione delle imprese con almeno dieci addetti è in molti campi maggiore in
Italia rispetto a Germania, Francia e Spagna, in particolare nell’uso della fatturazione
elettronica e delle tecnologie cloud. Nelle piccole e medie imprese si osserva un largo
utilizzo degli strumenti digitali di base e un crescente impiego del commercio elettronico
(cfr. il riquadro: Il commercio al dettaglio tra regolamentazione e commercio elettronico
del capitolo 11), ma rispetto agli altri principali paesi europei in Italia sono meno
diffusi gli strumenti di analisi dei dati e i software gestionali integrati. Per le imprese
di ogni dimensione, l’ambito di maggiore ritardo riguarda l’adozione dell’intelligenza
artificiale, sebbene anch’essa si stia diffondendo velocemente (cfr. il riquadro: L’utilizzo
dell’intelligenza artificiale nelle imprese italiane).
L’UTILIZZO DELL’INTELLIGENZA ARTIFICIALE NELLE IMPRESE ITALIANE
L’intelligenza artificiale (IA) consente ai sistemi informatici di simulare
capacità cognitive umane e di svolgere compiti complessi. In aggiunta agli
strumenti predittivi, che identificano schemi ricorrenti per prevedere eventi e
comportamenti, dal 2022 si è diffuso l’utilizzo dell’IA generativa (generative
artificial intelligence, GenAI), in grado di creare contenuti personalizzati, come
testi, immagini e audio.
Secondo l’indagine Invind condotta dalla Banca d’Italia tra febbraio e
maggio del 2025, l’utilizzo dell’IA da parte delle imprese italiane con almeno
20 addetti si sta espandendo rapidamente. La quota delle aziende che impiegano
strumenti di tipo predittivo o generativo ha raggiunto il 27 per cento, con un
BANCA D’ITALIA
Relazione annuale
incremento di 14 punti percentuali rispetto al 2024 e di 23 nel confronto con
il 2020. La diffusione è aumentata significativamente sia nel terziario sia nella
manifattura1.
La forte espansione ha interessato soprattutto la GenAI (figura A) – impiegata
dal 24 per cento delle imprese (era il 5 nel 2024) – attualmente più diffusa di quella
di tipo predittivo (usata dal 17 per cento). Circa metà delle imprese intervistate non
prevede tuttavia di utilizzare queste tecnologie nel prossimo biennio. L’integrazione
dell’IA nei processi produttivi è ancora parziale: tra le aziende che hanno adottato
strumenti di tipo predittivo, solo il 20 per cento ne fa un uso estensivo, con differenze
tra settori. Per le applicazioni di tipo generativo, l’impiego estensivo risulta ancora
più contenuto (12 per cento). L’adozione aumenta con la dimensione di impresa:
coinvolge oltre il 50 per cento delle aziende con almeno 500 addetti, ma solo il 23
di quelle con 20-49 occupati.
Figura A
Utilizzo dell’intelligenza artificiale per settore di attività (1)
(valori percentuali)
(a) IA generativa
(b) IA predittiva
totale
alimentari e bevande
tessile, abbigliamento, pelli e calzature
chimica, gomma e plastica
metalmeccanica
altre manifatturiere
energetico e estrattivo
commercio, alberghi e ristorazione
trasporti, magazzinaggio e
comunicazioni
altri servizi a imprese e famiglie
estensivo
limitato
solo sperimentale
Fonte: Banca d’Italia, Invind; cfr. nella sezione Note metodologiche dell’Appendice la voce Imprese: Indagine sulle imprese industriali
e dei servizi (Invind).
(1) I dati fanno riferimento all’indagine condotta tra febbraio e maggio del 2025. La figura mostra, per settore, la quota di imprese che
ha dichiarato di utilizzare l’IA generativa (pannello a) o l’IA predittiva (pannello b) per intensità di utilizzo (uso estensivo, limitato o
sperimentale) nei processi aziendali. Statistiche ponderate per il peso di riporto al numero di imprese nell’universo.
L’analisi si basa sui dati Invind, nelle edizioni del 2020, 2024 e 2025. Le attese sull’effetto della GenAI
sull’occupazione sono state raccolte nel sondaggio condotto tra settembre e ottobre del 2024 (cfr. Sondaggio
congiunturale sulle imprese industriali e dei servizi, Banca d’Italia, Statistiche, 5 novembre 2024); cfr. anche
nella sezione Note metodologiche dell’Appendice la voce Imprese: Indagine sulle imprese industriali e dei
servizi (Invind) e nella sezione Glossario le voci Sondaggio congiunturale sulle imprese industriali e dei servizi
(Sondtel) e Indagine sulle imprese industriali e di servizi (Invind). Le pratiche manageriali sono misurate
sulla base dell’utilizzo di strumenti di monitoraggio dei processi, dell’individuazione di obiettivi e della
definizione di incentivi rilevati nell’indagine Invind del 2020 (cfr. anche N. Bloom, E. Brynjolfsson, L. Foster,
R. Jarmin, M. Patnaik, I. Saporta-Eksten e J. Van Reenen, What drives differences in management practices?,
“American Economic Review”, 109, 5, 2019, pp. 1648-1683).
Relazione annuale
BANCA D’ITALIA
La crescita dell’ultimo anno
non è sufficiente a eliminare il
divario rispetto ai paesi per i quali
si dispone di dati confrontabili2:
in Germania quasi la metà delle
imprese dichiarava di avere
adottato l’IA già nel primo
semestre del 2024; in Spagna,
a novembre dello stesso anno,
la quota era pari al 31 per cento
(figura B). Come per l’Italia, in
entrambi i paesi l’utilizzo era
prevalentemente limitato o solo
sperimentale.
Figura B
Utilizzo dell’intelligenza artificiale
nel confronto internazionale (1)
(valori percentuali)
Germania
Spagna
Italia
apr.-giu. 2024
nov. 2024
feb.-mag. 2024
Secondo un’analisi3 basata
estensivo
limitato
sulle indagini della Banca d’Italia
solo sperimentale
feb.-mag. 2025
svolte tra il 2020 e il 2024, a
elaborazioni su dati delle indagini, condotte nei periodi indicati in
parità di dimensione aziendale Fonte:
figura: Bundesbank online panel: firms (BOP-F); Encuesta del Banco de
sobre la actividad empresarial (EBAE); Banca d’Italia, Invind;
e settore di attività economica, España
cfr. nella sezione Note metodologiche dell’Appendice la voce Imprese:
il ricorso all’IA è maggiormente Indagine sulle imprese industriali e dei servizi (Invind).
(1) La figura mostra la quota di imprese con almeno 20 addetti operanti
diffuso tra le imprese con pratiche nell’industria in senso stretto e nei servizi privati non finanziari che in
paese ha indicato di impiegare l’IA nel processo produttivo e/o
manageriali più strutturate, con ciascun
nelle attività di supporto, per intensità di utilizzo riportato. Statistiche
ponderate
per il peso di riporto al numero di imprese nell’universo.
una quota di spesa per ricerca
e sviluppo più elevata e tra le
aziende che nel 2020 utilizzavano già l’IA o tecnologie di supporto, come il cloud
computing. L’adozione dell’IA è stata motivata principalmente dalla volontà di
migliorare processi produttivi già automatizzati e quelli di supporto all’attività
aziendale, più che dalla necessità di ampliare la gamma di beni e servizi prodotti
o di automatizzare mansioni svolte dai lavoratori. La maggior parte delle imprese
che usano GenAI prevede che quest’ultima possa creare opportunità di lavoro e
una ricomposizione delle mansioni aziendali, mentre una quota nettamente più
contenuta si attende una riduzione dell’occupazione. In linea con le percezioni
delle imprese, l’analisi suggerisce che l’adozione dell’IA sia associata a una maggiore
crescita osservata e prevista del numero di occupati.
I dati derivano da un progetto svolto in collaborazione con la Deutsche Bundesbank e il Banco de España.
Il confronto è basato su campioni comparabili in termini di dimensioni delle imprese (con almeno 20
addetti) e settori di appartenenza (sezioni Ateco 2007 da B a E, da G a J e da L a N). Per approfondimenti,
cfr. Banco de España, Economic bulletin, 2, 2025 e Deutsche Bundesbank, Monthly report, maggio 2025.
L. Bencivelli, S. Formai, E. Mattevi e T. Padellini, Embracing the digital transition: the adoption of
cloud computing and AI by Italian firms, Banca d’Italia, Questioni di economia e finanza, di prossima
pubblicazione.
Sulla base dell’ultima rilevazione Invind, è nuovamente salito l’utilizzo di robot
nei processi aziendali. Nell’industria la quota di imprese che li usano ha toccato il
40 per cento, 6 punti in più rispetto all’anno precedente; fra le restanti, il 34 per
cento pianifica di impiegarli entro il 2027. Nei servizi privati non finanziari il tasso
di adozione rimane basso (9 per cento), ma dovrebbe quasi triplicare entro i prossimi
due anni.
BANCA D’ITALIA
Relazione annuale
La transizione ecologica. – Secondo dati Terna, nel 2024 è aumentata del 17,6 per
cento la capacità di generazione elettrica da fonte solare ed eolica, in accelerazione rispetto
ai due anni precedenti13. La dinamica è riconducibile in larga misura alle installazioni di
nuovi impianti fotovoltaici (6,8 gigawatt contro 0,7 per quelli eolici). Per raggiungere gli
obiettivi climatici europei recepiti nel Piano nazionale integrato per l’energia e il clima, sarà
necessaria un’ulteriore intensificazione degli investimenti che porti l’incremento medio
annuo di capacità installata a 9,5 gigawatt (di cui 7 da fonte solare e 2,5 da quella eolica)
nel periodo 2025-30.
All’espansione delle fonti di energia rinnovabile hanno contribuito gli impianti con
finalità di autoconsumo. Secondo l’indagine Invind, la quota di imprese industriali con
almeno 50 addetti che soddisfa parte del proprio fabbisogno elettrico facendo ricorso ad
autoproduzione da fonti non fossili è in costante crescita dal 2021 e ha raggiunto il 60
per cento nel 2024. Fra queste aziende, l’incidenza dell’autoconsumo lo scorso anno era
in media di poco superiore a un quarto.
Secondo i Conti dei flussi fisici di energia dell’Istat, nel 2023 si è ridotto il rapporto fra
consumi energetici e valore aggiunto reale (-4,2 per cento), proseguendo la tendenza in atto da
oltre un decennio. Alla flessione nel medio termine hanno contribuito soprattutto l’industria
in senso stretto e le costruzioni (meno il terziario, dove pesa il mancato miglioramento del
settore dei trasporti, la branca dei servizi con maggiore intensità energetica).
Per quanto riguarda il cambiamento climatico e gli eventi metereologici estremi, più
di un terzo delle imprese manifatturiere è esposto al rischio idrogeologico (cfr. il riquadro:
L’esposizione delle imprese manifatturiere italiane ai rischi idrogeologici). I relativi danni
sono significativi in termini sia di aumento della probabilità di uscita dal mercato, sia di
prolungato calo dell’attività per le imprese che sopravvivono14.
L’ESPOSIZIONE DELLE IMPRESE MANIFATTURIERE ITALIANE AI RISCHI IDROGEOLOGICI
Secondo l’Agenzia europea per l’ambiente, nella UE gli eventi estremi causati
dal cambiamento climatico hanno comportato danni per oltre 160 miliardi di
euro nel triennio 2021-23. Nel nostro paese sono particolarmente rilevanti i rischi
idrogeologici (alluvioni e frane), come testimoniato dagli eventi calamitosi avvenuti
nel 2023 in Toscana e in Emilia-Romagna; solo in quest’ultima regione si sono
stimati danni per circa 9 miliardi1. Il 27 per cento delle aziende manifatturiere
italiane intervistate nell’indagine Invind del 2023 riportava di avere subito danni da
eventi meteorologici estremi tra il 2019 e il 2023.
Un’accurata valutazione dell’esposizione potenziale e della vulnerabilità delle
imprese a questo tipo di eventi è fondamentale per definire politiche e strumenti
Per maggiori dettagli, cfr. EM-DAT. The International Disaster Database del Centre for Research on the
Epidemiology of Disasters (CRED).
M. Alpino, L. Brugnara, G.M. Cassinis, L. Citino, F. David, A. Frigo, G. Papini, P. Recchia e L. Sessa, Il
recente sviluppo delle energie rinnovabili in Italia, Banca d’Italia, Questioni di economia e finanza, 908, 2025.
S. Clò, F. David e S. Segoni, The impact of hydrogeological events on firms: evidence from Italy, Banca d’Italia,
Temi di discussione, 1451, 2024.
Relazione annuale
BANCA D’ITALIA
di mitigazione e di adattamento. Oltre che per le informazioni ancora limitate,
tale valutazione è molto complessa per almeno due ordini di motivi. Da un lato,
la morfologia del territorio italiano comporta che aree limitrofe possano essere
esposte in misura radicalmente diversa a un certo rischio (ad es. per la presenza
di dislivelli o di infrastrutture protettive come i sistemi di drenaggio o gli argini
fluviali). Dall’altro, l’esposizione effettiva di un’azienda dipende dalla distribuzione
territoriale delle sue unità operative: il 27 per cento delle imprese manifatturiere
italiane ha almeno una sede operativa diversa da quella legale e una su cinque è
presente in almeno due regioni.
Una recente analisi2 ha stimato l’esposizione effettiva delle imprese
manifatturiere combinando informazioni sulla localizzazione delle sedi legali
e delle unità locali, desunte dal registro delle imprese, con le mappe ufficiali di
pericolosità idrogeologica, diffuse dall’Istituto superiore per la protezione e la
ricerca ambientale (ISPRA). Quasi il 35 per cento delle imprese manifatturiere
è esposto, in misura completa o limitatamente ad alcuni stabilimenti, ai rischi
idrogeologici (il 29 per cento ad alluvioni, l’8 a frane e il 3 a entrambi i fenomeni)3.
La metà degli addetti è occupata in imprese esposte a rischi idrogeologici, di cui
due terzi operativi in stabilimenti situati in zone a rischio4. I settori con più alta
esposizione alle inondazioni sono il tessile e quello degli articoli in pelle (36 e
33 per cento degli stabilimenti, rispettivamente); quest’ultimo settore, assieme
al comparto della produzione di bevande, presenta la maggiore vulnerabilità al
pericolo di frane (11 per cento). Le regioni più esposte sono l’Emilia-Romagna, la
Toscana (entrambe con oltre il 75 per cento degli stabilimenti in aree soggette ad
alluvioni), la Valle d’Aosta e la Liguria (con rispettivamente il 40 e il 35 per cento
delle unità produttive situate in zone a rischio di frane). L’esposizione tuttavia
varia significativamente tra province di una stessa regione (figura).
Nella prospettiva di un’intensificazione degli eventi estremi generati dal
cambiamento climatico, è essenziale mantenere nel tempo un’accurata mappa dei
rischi. Questa faciliterà l’adozione di adeguate strategie di intervento per mitigare gli
impatti economici e per accrescere la copertura assicurativa5, attualmente modesta
nel confronto internazionale6.
M. Loberto e R. Russo, The exposure of Italian manufacturing firms to hydrogeological risk, Banca d’Italia,
Questioni di economia e finanza, 899, 2024.
Se non si considerasse la distribuzione territoriale delle attività produttive e si attribuisse all’impresa il
rischio relativo alla sola sede legale (pratica comune nella letteratura), la quota stimata di imprese esposte
si abbasserebbe di 3 punti percentuali per le alluvioni e di un punto per le frane.
Considerando le sole imprese esposte presenti nel campione Cerved, il fatturato totale annuo e le
immobilizzazioni materiali ammontano a 750 e 138 miliardi, rispettivamente.
La legge di bilancio sul 2024 (L. 213/2023) obbliga le imprese ad assicurarsi contro i danni da calamità
naturali; cfr. il riquadro: La mitigazione dei rischi derivanti da catastrofi naturali, in Rapporto sulla stabilità
finanziaria, 1, 2025.
BCE ed EIOPA, Policy options to reduce the climate insurance protection gap, ECB Discussion Paper, aprile
2023.
BANCA D’ITALIA
Relazione annuale
Figura
Quota di stabilimenti esposti ai rischi idrogeologici (1)
(valori percentuali)
(a) alluvioni
(b) frane
stabilimenti esposti
stabilimenti esposti
Fonte: elaborazioni su dati InfoCamere e mappe di pericolosità ISPRA.
(1) Le quote sono calcolate considerando, a livello provinciale, tutti gli stabilimenti manifatturieri che ricadono in aree classificate a rischio
non nullo secondo la mappatura dell’ISPRA.
La redditività e il saldo finanziario
Nel 2024 le imprese hanno
registrato una contrazione della
redditività, dopo tre anni di crescita:
il margine operativo lordo (MOL) si
è ridotto del 5 per cento; in rapporto
all’attivo è sceso al 7,4 per cento
(fig. 6.4). I profitti, diminuiti per
effetto di un aumento del costo del
lavoro più sostenuto dell’incremento
del valore aggiunto, sono comunque
rimasti su livelli tra i più elevati
dal 2000. L’incidenza degli oneri
finanziari netti sul reddito operativo,
risalita al 9 per cento, è tuttora
contenuta se valutata in una
prospettiva storica. Sulla base della
rilevazione Invind, la quota di imprese
in utile è scesa al 78 per cento (82 nel
2023); il peggioramento è stato più
pronunciato tra le aziende con meno
di 50 addetti. Quasi un quinto delle
imprese intervistate si aspetta una
diminuzione del MOL per il 2025.
Relazione annuale
Figura 6.4
Redditività e copertura degli investimenti
(numeri indice e valori percentuali)
’07 ’08 ’09 ’10 ’11 ’12 ’13 ’14 ’15 ’16 ’17 ’18 ’19 ’20 ’21 ’22 ’23 ’24
MOL (1)
autofinanziamento / investimenti (2)
oneri finanziari netti / MOL (2) (4)
MOL/attivo (3) (4)
Fonte: elaborazioni su dati Banca d’Italia (Conti finanziari), Cerved e
Istat, Conti economici nazionali del settore istituzionale delle società non
finanziarie; cfr. nella sezione Note metodologiche dell’Appendice la voce
Imprese: redditività e copertura degli investimenti.
(1) Indice: 2008=100. Il MOL è deflazionato con il deflatore del valore
aggiunto a prezzi base, riferito al settore privato non finanziario. –
(2) L’autofinanziamento e gli oneri finanziari netti sono stimati sulla base
di dati Banca d’Italia e Istat. – (3) Il dato per il 2024 è stimato estrapolando
la serie MOL/attivo disponibile fino al 2023 derivata dai dati Cerved e sulla
base della variazione nell’anno del rapporto tra MOL e passività finanziarie,
al netto dell’effetto dei prezzi di mercato, secondo dati Banca d’Italia (Conti
finanziari) e Istat. – (4) Scala di destra.
BANCA D’ITALIA
Tavola 6.3
Attività e passività finanziarie delle imprese (1)
(miliardi di euro e valori percentuali)
Consistenze di fine periodo
Flussi
Composizione percentuale
ATTIVITÀ
Biglietti e depositi
533.071
-7.637
14.788
Titoli
di cui: pubblici italiani
103.323
57.887
19.452
11.483
14.878
8.230
Azioni e partecipazioni
960.666
11.443
12.686
Crediti commerciali
728.773
-26.046
-3.688
Altre attività (2)
287.095
19.682
723.984
100,0
100,0
16.894
21.094
39.593
33.343
Debiti finanziari
-9.374
-16.972
Prestiti bancari
598.948
-26.616
-16.279
Altri prestiti (3)
498.564
-7.485
Titoli
200.486
16.724
6.793
2.677
25.753
Debiti commerciali
662.900
-31.966
Altre passività (4)
231.154
-8.961
-6.259
Totale passività
di cui: sull’estero
942.662
100,0
100,0
-47.624
36.005
3.106
26.624
SALDO
64.517
36.486
Totale attività
di cui: sull’estero
PASSIVITÀ
Azioni e partecipazioni
Fonte: Banca d’Italia, Conti finanziari.
(1) I dati si riferiscono al settore delle società non finanziarie. Per la definizione delle serie e per le modalità di calcolo, cfr. nella sezione
Note metodologiche dell’Appendice la voce Attività e passività finanziarie dell’Italia. L’eventuale mancata quadratura dell’ultima cifra
è dovuta agli arrotondamenti. – (2) Fondi comuni, crediti infragruppo, riserve tecniche di assicurazione, derivati e altre partite minori. –
(3) Includono anche i finanziamenti concessi dalle società di leasing e di factoring, i prestiti cartolarizzati e i debiti infragruppo. – (4) Conti
correnti postali, fondi di quiescenza, derivati e altre partite minori.
Il rapporto tra autofinanziamento e investimenti si è contratto, riflettendo soprattutto una diminuzione delle risorse generate internamente; il risparmio finanziario del
complesso delle imprese è rimasto attivo per oltre 36 miliardi (tav. 6.3), sebbene si sia
ridotto all’1,7 per cento del PIL (3 nel 2023). Le disponibilità liquide si sono mantenute pressoché stabili in rapporto al passivo (all’11 per cento).
Le fonti di finanziamento
La struttura finanziaria. – Nel 2024 i debiti finanziari sono scesi al 59 per cento del
PIL, ben al di sotto della media dell’area dell’euro (106 per cento); si tratta della percentuale
BANCA D’ITALIA
Relazione annuale
Figura 6.5
La struttura finanziaria delle imprese
(valori percentuali)
(a) composizione dei debiti finanziari delle imprese
per tipo di strumento e per detentore (1)
area dell’euro
Francia
Germania
Italia
obbligazioni
prestiti dall’estero
prestiti da intermediari finanziari non bancari residenti (2)
prestiti da banche residenti
prestiti da società non finanziarie residenti
prestiti da altri residenti (3)
(b) variazione della leva e contributi
per settore di impresa (4)
’18-’19 ’20-’21 ’22-’23 ’18-’19 ’20-’21 ’22-’23 ’18-’19 ’20-’21 ’22-’23
costruzioni
manifattura
servizi
contributo saldo demografico (5)
contributo patrimonio
contributo debiti finanziari
variazione leva finanziaria
Fonte: elaborazioni su dati Banca d’Italia, BCE e Cerved.
(1) Con riferimento ai dati per l’Italia, cfr. nella sezione Note metodologiche dell’Appendice la voce Attività e passività finanziarie dell’Italia. –
(2) Includono i prestiti dalle società di leasing e factoring, società di credito al consumo, società di intermediazione mobiliare e altre
finanziarie, imprese di assicurazione e fondi pensione. – (3) Comprendono i prestiti dalle Amministrazioni pubbliche e dalle famiglie. –
(4) La leva finanziaria è pari al rapporto tra i debiti finanziari e la somma degli stessi con il patrimonio netto valutato al valore di bilancio. Per le
modalità di calcolo, cfr. nella sezione Note metodologiche dell’Appendice la voce Imprese: leva finanziaria e contributi alla sua variazione. –
(5) Contributo netto di imprese entrate e uscite dal mercato nel periodo considerato.
più bassa dai primi anni duemila. Dalla crisi finanziaria del 2007 la composizione dei debiti
finanziari è significativamente cambiata: il peso delle obbligazioni è cresciuto al 15,4 per
cento, un valore superiore alla media dell’area (11,5 per cento); il finanziamento bancario
si è ridimensionato, mentre è aumentata l’esposizione debitoria verso gli intermediari
nazionali diversi dalle banche e verso l’estero (fig. 6.5.a).
La leva finanziaria, misurata dal rapporto tra i debiti finanziari e la somma degli
stessi con il patrimonio netto valutato ai prezzi di mercato, si è ridotta al 31,5 per cento:
il calo è stato determinato dalla diminuzione del volume dei debiti e dal rafforzamento
delle risorse patrimoniali legato al rialzo dei corsi azionari (cfr. Rapporto sulla stabilità
finanziaria, 1, 2025). Sulla base di dati di bilancio, negli ultimi anni l’andamento della
leva è stato differenziato tra settori (fig. 6.5.b): nel biennio 2020-21, all’indomani della
crisi pandemica, il riequilibrio della struttura finanziaria è stato generalizzato; nel periodo
2022-23, invece, è stato più ampio per le aziende delle costruzioni, anche per l’uscita dal
mercato di quelle più indebitate.
Il credito. – Nel 2024 i prestiti bancari alle imprese sono diminuiti del 2,6 per cento;
il calo si è attenuato nei primi mesi del 2025 (-1,5 a marzo; cfr. tav. 6.4). La contrazione
del credito è stata più contenuta per le aziende di media e grande dimensione. Alla
fine dell’anno, una quota rilevante dei finanziamenti bancari in essere alle società non
finanziarie era rappresentata da operazioni in pool (cfr. il riquadro: I prestiti bancari
sindacati alle società non finanziarie).
Relazione annuale
BANCA D’ITALIA
I PRESTITI BANCARI SINDACATI ALLE SOCIETÀ NON FINANZIARIE
I prestiti sindacati (in pool) sono finanziamenti, generalmente di importo
rilevante, concessi da una pluralità di banche a un singolo soggetto. Ciascuna banca
eroga una parte del credito condividendone i rischi pro quota. A livello globale, nel
2024 le erogazioni di prestiti sindacati sono state di poco inferiori a 6.000 miliardi di
dollari (di cui un quinto al settore finanziario), oltre il 30 per cento in più dell’anno
precedente; il mercato europeo rappresenta un sesto di questo settore1.
In Italia, alla fine del 2024, il credito sindacato rappresentava il 14,4 per cento
dell’indebitamento complessivo delle società non finanziarie2. Sebbene questi prestiti
siano erogati per quasi tre quarti da banche significative (figura A, pannello a), il
fenomeno è diffuso fra tutti gli intermediari: alla fine dello scorso anno oltre il 75
per cento delle banche italiane partecipava ad almeno un’operazione in pool; per 15
intermediari questi prestiti rappresentavano un quarto o più del credito erogato alle
imprese non finanziarie (figura A, pannello b). L’ammontare medio dei finanziamenti
che ciascun intermediario eroga quando partecipa a prestiti sindacati è circa 10 volte
quello delle altre erogazioni (oltre 30 nel caso delle banche significative).
Figura A
I prestiti sindacati alle società non finanziarie nel portafoglio delle banche italiane
(dati al 31 dicembre 2024)
(a) distribuzione dell’ammontare
di prestiti sindacati per tipologia di banca (1)
(valori percentuali)
(b) distribuzione delle banche per classi
di incidenza dei prestiti sindacati (2)
(unità e valori percentuali)
banche significative
banche meno significative
[0-5[
filiali estere
numero banche
[5-10[
[10-25[
≥ 25
distribuzione cumulata (3)
Fonte: AnaCredit.
(1) La distinzione tra banche significative e banche meno significative tiene conto della classificazione adottata nell’ambito del
Meccanismo di vigilanza unico (Single Supervisory Mechanism, SSM). Tra le BCC rientrano le banche di credito cooperativo non
appartenenti a gruppi bancari e tutte le banche appartenenti a gruppi bancari cooperativi. − (2) Le classi di incidenza sono definite in
base al peso, espresso in punti percentuali, dei prestiti sindacati rispetto al credito totale erogato alle società non finanziarie da ciascuna
banca. − (3) Distribuzione cumulata del numero di banche in rapporto al numero complessivo delle stesse.
L’incidenza dei prestiti sindacati è più alta nei comparti innovativi: per le aziende
manifatturiere attive nei settori ad alta o medio-alta tecnologia e per quelle dei servizi
Sulla base delle informazioni di fonte LSEG relative ai prestiti di banche e altri intermediari.
Si considerano i finanziamenti bancari in essere a dicembre del 2024 verso il settore delle società non
finanziarie italiane segnalati in AnaCredit. Il numero di imprese con almeno un prestito sindacato era di
poco superiore a 6.000, circa l’1 per cento del totale delle aziende censite in AnaCredit.
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Relazione annuale
Figura B
Incidenza dei prestiti sindacati per macrobranca o comparto (1)
(dati al 31 dicembre 2024; valori percentuali)
alta o medio-alta
tecnologia
medio-bassa o bassa
tecnologia
manifattura
totale manifattura
knowledge-intensive
services
altri servizi
totale servizi
servizi
costruzioni
Fonte: AnaCredit.
(1) I settori sono ripartiti in base alla classificazione Eurostat delle attività industriali a elevata tecnologia e dei servizi a più alta intensità
di conoscenza.
avanzati (knowledge-intensive services) era rispettivamente pari al 20 e al 32 per cento
(figura B). Considerando le imprese per cui è disponibile la classe dimensionale, oltre
il 90 per cento dei finanziamenti sindacati afferiva a società medie e grandi3.
Si stima che le imprese con almeno un prestito sindacato possano beneficiare di
condizioni contrattuali mediamente più vantaggiose per quanto riguarda le garanzie
prestate4. Tuttavia, a parità di altre condizioni, tali prestiti risultano in media più
costosi rispetto alle altre tipologie di finanziamento, anche per la maggiore incidenza
degli oneri connessi con la strutturazione dell’operazione.
Sulla base delle evidenze disponibili, i prestiti sindacati possono rappresentare
una forma di finanziamento utile anche alle aziende di minore dimensione; possono
inoltre favorire le imprese dei settori a elevato potenziale di innovazione, spesso
caratterizzate da una ridotta disponibilità di collaterale5.
Imprese con almeno 50 addetti e un fatturato o un attivo superiore a 10 milioni di euro.
Rapporto tra il valore delle garanzie associate ai prestiti e l’importo nominale in essere dei finanziamenti.
Per maggiori dettagli, cfr. ad esempio S.A. Dennis e D.J. Mullineaux, Syndicated loans, “Journal of
Financial Intermediation”, 9, 4, 2000, pp. 404-426.
Il calo del credito riflette prevalentemente la debole domanda di finanziamenti.
Le condizioni di offerta da parte delle banche, anche se divenute meno restrittive,
restano prudenti, soprattutto nei confronti delle piccole imprese, per le quali persistono
ostacoli all’accesso al credito (cfr. il riquadro: La dinamica dei finanziamenti bancari
alle grandi e piccole imprese del capitolo 12). Secondo l’indagine Invind, le difficoltà
di accesso ai prestiti bancari rimangono significative tra le imprese manifatturiere.
L’allentamento della politica monetaria avviato nel giugno 2024 si è trasmesso al
costo del credito: il tasso medio sui nuovi finanziamenti è sceso al 4,5 per cento a dicembre
del 2024 (dal 5,5 di un anno prima), un valore in linea con la media dell’area dell’euro
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(4,4 per cento). Le imprese non hanno
beneficiato allo stesso modo del calo
dei tassi di interesse: considerando
i finanziamenti in essere, che sono
in gran parte a tasso variabile, il
differenziale nel costo dei prestiti tra
le microimprese e le società di grande
dimensione si è ampliato (fig. 6.6).
Gli ostacoli incontrati dalle
piccole imprese continuano a essere
attenuati dalle misure pubbliche
di sostegno per l’accesso al credito.
Il DL 145/2023, convertito dalla L. 191/2023, ha previsto per il
2024 una disciplina temporanea dei
finanziamenti garantiti dal Fondo
di garanzia per le piccole e medie
imprese, basata su condizioni più
favorevoli di quelle in vigore prima
Figura 6.6
Tassi di interesse a breve termine
per classe di rischio delle imprese (1)
(valori percentuali)
’19 ’20 ’21 ’22 ’23 ’24 ’19 ’20 ’21 ’22 ’23 ’24 ’19 ’20 ’21 ’22 ’23 ’24
vulnerabili
microimprese
rischiose
imprese grandi
Fonte: elaborazioni su dati Banca d’Italia e Cerved. Per la definizione delle
serie e per le modalità di calcolo, cfr. nella sezione Note metodologiche
dell’Appendice la voce Imprese: condizioni di accesso al credito.
(1) Tassi di interesse medi sulle consistenze dei prestiti bancari a breve
termine.
Tavola 6.4
Credito alle imprese (1)
(dati di fine periodo)
Variazioni percentuali sui 12 mesi
Composizione
percentuale
marzo 2025 marzo 2025
Banche
Attività economica
Manifattura
Costruzioni
Servizi
Attività immobiliari
Altro
Dimensione
Imprese piccole (2)
Imprese medio-grandi
Totale
Società finanziarie
Leasing
Factoring
Altri finanziamenti
Totale
Banche e società finanziarie
Totale
100,0
Fonte: segnalazioni di vigilanza.
(1) I dati si riferiscono ai settori delle società non finanziarie e delle famiglie produttrici. Per marzo 2025, dati provvisori. Per la definizione
delle serie, cfr. nella sezione Note metodologiche dell’Appendice la voce Credito alle imprese. – (2) Società in accomandita semplice e
in nome collettivo, società semplici, società di fatto e imprese individuali con numero di addetti inferiore a 20.
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Relazione annuale
della pandemia, ma meno vantaggiose di quelle adottate dopo il conflitto in Ucraina
(DL 50/2022, convertito dalla L. 91/2022). La L. 207/2024 ha prorogato al 2025
il regime temporaneo con alcuni correttivi: ha ridotto la copertura massima della
garanzia sui finanziamenti concessi per esigenze di liquidità e ha richiesto alle banche
finanziatrici di erogare al Fondo di garanzia un premio, da determinarsi sulla base di
criteri che devono essere fissati entro il 30 giugno 2025.
I canali di finanziamento alternativi al credito. – Nel 2024 il flusso lordo delle
emissioni obbligazionarie totali, incluso quello delle controllate estere, ha superato i 90
miliardi di euro. I collocamenti sono riconducibili per oltre due terzi a pochi grandi
gruppi societari, mentre negli ultimi anni si è ridotta la partecipazione al mercato da
parte delle aziende che hanno emesso titoli per la prima volta (fig. 6.7.a). La raccolta
di risorse è avvenuta in misura crescente attraverso finanziamenti di breve durata: tra
il 2019 e il 2024 la quota di prestiti obbligazionari con durata inferiore ai dodici mesi
è più che raddoppiata; la crescita è stata determinata dall’aumento delle emissioni di
cambiali finanziarie da parte di alcune grandi imprese (fig. 6.7.b).
Figura 6.7
Indicatori del mercato obbligazionario (1)
(valori percentuali)
(a) quota di titoli riconducibili a nuovi emittenti
sul totale delle emissioni (2)
(b) emissioni lorde per tipologia
di durata originaria
superiore ai 12 mesi
inferiore ai 12 mesi
Fonte: elaborazioni su dati Anagrafe titoli.
(1) Sono escluse le controllate estere. – (2) I nuovi emittenti sono società o gruppi che hanno effettuato per la prima volta un’emissione
obbligazionaria nell’anno considerato.
Lo scorso anno si è ridimensionato il ricorso al mercato azionario: le nuove
ammissioni in borsa sono state 20, quasi tutte nel segmento dedicato alle piccole
imprese. Ha continuato a crescere il numero di revoche: 27 società, quotate in
maggioranza sul listino principale, sono uscite dal mercato (delisting). Tra il 2021 e
il 2024, considerando le sole imprese non finanziarie, la perdita di capitalizzazione di
mercato è stata superiore a 100 miliardi (cfr. il capitolo 13).
Secondo i dati diffusi da Invest Europe nel 2024, gli investimenti delle società
di private equity e di quelle di venture capital in imprese italiane hanno superato gli
8 miliardi. Le operazioni – in aumento rispetto allo scorso anno con riferimento al
Relazione annuale
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numero e all’ammontare di risorse convogliate al sistema produttivo – hanno coinvolto
circa 400 società per un importo investito medio di poco superiore ai 20 milioni.
In Italia il comparto del venture capital è cresciuto molto negli ultimi dieci anni,
in termini sia di investimenti sia di numero di imprese finanziate (fig. 6.8.a). Malgrado
un’espansione più sostenuta rispetto a quella dei principali paesi europei (fig. 6.8.b), il
mercato italiano resta piccolo nel confronto internazionale15 per tre ragioni: il numero
di progetti innovativi che si trasformano in start up è relativamente basso; gli operatori
del comparto sono ancora di ridotta dimensione; le difficoltà nella fase di uscita dagli
investimenti sono strutturalmente maggiori rispetto agli altri paesi16.
Figura 6.8
Comparto del venture capital
(a) investimenti in Italia (1)
(milioni di euro e numero di imprese)
(b) investimenti nei principali paesi europei
(valori percentuali; indici: 2013=1)
’14 ’15 ’16 ’17 ’18 ’19 ’20 ’21 ’22 ’23 ’24
early stage (2)
later stage (3)
’12 ’13 ’14 ’15 ’16 ’17 ’18 ’19 ’20 ’21 ’22 ’23 ’24
Francia
Germania
Italia
imprese finanziate (4)
Fonte: Invest Europe.
(1) Flussi di investimenti in venture capital in imprese residenti in Italia. – (2) Gli investimenti early stage sono forniti a start up nelle fasi iniziali
di crescita. – (3) Sono definiti late stage i finanziamenti destinati a start up che si trovano in una fase più avanzata del loro ciclo di vita. –
(4) Numero di società che hanno ricevuto almeno un investimento in venture capital nel corso dell’anno. Scala di destra.
Nel 2025 la Commissione europea ha pubblicato un’ampia serie di proposte
per promuovere la crescita delle imprese innovative e incentivare gli investimenti in
venture capital: tra tali proposte acquistano rilievo l’applicazione di un trattamento
prudenziale favorevole per gli investitori istituzionali e il rafforzamento dei programmi
pubblici, sia nazionali sia della Banca europea per gli investimenti, per sostenere
l’espansione di questo mercato17. Anche la rimozione delle barriere che ancora
ostacolano l’integrazione tra i mercati dei capitali europei favorirebbe un maggiore
sviluppo del venture capital.
Gli investimenti di venture capital in Italia sono pari allo 0,03 per cento del PIL (0,07 in Francia e Germania).
R. Gallo, F.M. Signoretti, I. Supino, E. Sette, P. Cantatore e M.L. Fabbri, The Italian venture capital market,
Banca d’Italia, Questioni di economia e finanza, 919, 2025.
Commissione europea, Bussola per la competitività dell’UE, COM(2025), 30 final, 2025; Commissione
europea, Unione del risparmio e degli investimenti. Una strategia per promuovere la ricchezza dei cittadini e la
competitività economica nell’UE, COM(2025), 124 final, 2025.
BANCA D’ITALIA
Relazione annuale
In Italia, nell’ambito della riforma in corso del Testo unico della finanza, il
Governo è stato delegato ad adottare entro il 26 marzo 2026 misure per facilitare
il finanziamento di impresa in tutte le sue fasi di crescita e per favorire la massima
diffusione delle attività di investimento privato18. La normativa italiana sulle
agevolazioni fiscali all’investimento in venture capital è nel complesso in linea con
quella dei principali paesi europei: sono previsti incentivi per gli investimenti in
imprese innovative e in fondi di tale mercato, nonché piani di risparmio a lungo
termine (PIR) per canalizzare il risparmio delle famiglie verso gli investimenti in
imprese italiane. Per quanto riguarda i fondi pensione e le casse previdenziali, la
L. 193/2024 ha introdotto il vincolo di una quota minima di investimenti in fondi di
venture capital per continuare a beneficiare dell’agevolazione fiscale sugli investimenti
qualificati19.
La L. 28/2025 ha rinviato la scadenza del termine entro il quale il Governo è tenuto a esercitare la delega di
dodici mesi.
Gli investimenti qualificati sono quelli in imprese residenti in Italia o in Stati membri della UE (oppure dello
Spazio economico europeo con stabile organizzazione in Italia), in organismi di investimento collettivo del
risparmio (OICR) che investono prevalentemente in tali imprese, in PIR, in fondi di venture capital, nonché
in quote di prestiti o di fondi di credito cartolarizzati erogati o originati per mezzo di piattaforme di prestiti
per soggetti non professionali.
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7. IL MERCATO DEL LAVORO
Nel 2024 l’occupazione, pur decelerando, ha continuato a crescere più rapidamente
del prodotto. La domanda di lavoro ha ancora beneficiato della moderata dinamica
salariale dell’ultimo triennio, che ha reso la manodopera relativamente più conveniente
rispetto ad altri fattori di produzione.
L’espansione dell’occupazione ha interessato sostanzialmente tutti i settori e si è
concentrata tra le posizioni a tempo indeterminato e tra i lavoratori più anziani; la
domanda di lavoro si è indebolita rispetto al 2023 soprattutto per i lavoratori giovani e
per i contratti temporanei, che sono in genere più sensibili al ciclo economico.
Il tasso di partecipazione è rimasto sui livelli elevati raggiunti nel 2023, grazie
al continuo aumento dell’offerta di lavoro fra i lavoratori con almeno 55 anni di età,
che ha compensato il calo osservato tra i più giovani. L’immigrazione ha parzialmente
bilanciato la diminuzione della popolazione italiana in età da lavoro; i lavoratori
stranieri svolgono per lo più lavori caratterizzati da contratti meno stabili rispetto alle
persone nate in Italia e in posizioni a basso salario. Il tasso di disoccupazione è sceso al
valore più basso degli ultimi 17 anni.
Il numero di posti vacanti nelle imprese rispetto al totale delle persone in cerca di
un impiego, un indicatore del livello di competizione per il reclutamento dei lavoratori,
è cresciuto, avvicinandosi alla media dell’Unione europea.
Secondo le stime preliminari, nei primi mesi del 2025 l’occupazione ha
ricominciato a crescere marcatamente, sostenuta anche dagli investimenti connessi con
il Piano nazionale di ripresa e resilienza (PNRR).
L’occupazione
In un contesto di debolezza dell’attività economica, nel 2024 l’occupazione ha
rallentato: il numero di occupati e le ore lavorate sono aumentati rispettivamente dell’1,6
e del 2,1 per cento, contro l’1,9 e il 2,5 nel 2023 (fig. 7.1 e tav. 7.1). La crescita è stata
trainata dal lavoro dipendente a tempo indeterminato, a fronte di un calo di quello a
termine, che risente maggiormente del ciclo economico (cfr. fig. 7.2). Il lavoro autonomo
è salito in misura più limitata, restando al di sotto dei livelli precedenti la pandemia.
L’incremento delle posizioni permanenti alle dipendenze ha interessato
prevalentemente la popolazione con almeno 50 anni, per effetto sia dell’invecchiamento
demografico sia del rallentamento dei flussi in uscita dal mercato del lavoro, dovuto
in parte alle passate riforme pensionistiche. Secondo i dati dell’INPS, la crescita dei
contratti a tempo indeterminato è stata favorita anche dal basso tasso di licenziamento
BANCA D’ITALIA
Relazione annuale
e dall’alto numero di trasformazioni dei contratti temporanei in essere. Si sono invece
ridotte le assunzioni a termine e per i giovani.
Figura 7.1
Numero di occupati e ore lavorate
(dati trimestrali; numeri indice: 1° trimestre 2013=100)
occupati
ore lavorate per addetto
ore lavorate
Fonte: elaborazioni su dati Istat, Conti economici nazionali, dati destagionalizzati.
L’aumento delle ore lavorate per addetto (0,5 per cento) è stato sospinto dal
minore ricorso al part-time, la cui incidenza, secondo i dati della Rilevazione sulle forze
di lavoro (RFL) dell’Istat1, è scesa di quasi un punto percentuale (al 16,8 per cento nella
fascia di età tra 15 e 64 anni). È ancora diminuita la quota di coloro che svolgono un
lavoro a orario ridotto, ma ne desidererebbero uno a tempo pieno (al 51,3 per cento,
dal 54,8 nel 2023; 65,6 nel 2019).
Tavola 7.1
Principali indicatori del mercato del lavoro
(variazioni percentuali sul periodo precedente, migliaia di occupati e milioni di ore)
1° trim.
2° trim.
3° trim.
4° trim.
var. 2024
sul 2023
Consistenza
media nel
Occupati totali
26.468
Dipendenti
20.355
Indipendenti
6.112
Agricoltura, silvicoltura e pesca
Industria in senso stretto
di cui: attività manifatturiere
4.316
3.965
Costruzioni
1.821
Servizi
di cui: prevalentemente pubblici (1)
19.399
5.103
Ore lavorate totali
45.237
Dipendenti
33.001
Indipendenti
12.236
Fonte: elaborazioni su dati Istat, Conti economici nazionali.
(1) Include difesa e assicurazione sociale obbligatoria, istruzione, sanità e assistenza sociale.
Per approfondimenti, cfr. nella sezione Note metodologiche dell’Appendice la voce Mercato del lavoro:
Rilevazione sulle forze di lavoro.
Relazione annuale
BANCA D’ITALIA
Figura 7.2
Numero di occupati per tipologia di contratto
(dati trimestrali; variazioni percentuali sul 4° trimestre 2019)
dipendenti a tempo indeterminato
dipendenti a tempo determinato
autonomi
Fonte: elaborazioni su dati RFL, dati destagionalizzati; cfr. nella sezione Note metodologiche dell’Appendice la voce Mercato del lavoro:
Rilevazione sulle forze di lavoro.
Il maggiore utilizzo del lavoro come input è stato favorito anche dalla moderazione
salariale dell’ultimo triennio, che lo ha reso relativamente più conveniente nel confronto
con gli altri fattori di produzione; la crescita dell’occupazione è stata più accentuata di
quella del prodotto, e di conseguenza la produttività è calata (cfr. il capitolo 6)2.
Secondo i Conti economici nazionali, l’espansione del numero di occupati ha
interessato tutti i settori (fig. 7.3). Rispetto al 2023 si è intensificata la crescita nei
Figura 7.3
Contributo dei settori alla crescita del numero di occupati (1)
(variazioni percentuali sul periodo precedente)
Amm. pubb. e difesa; assicurazione sociale obbligatoria;
istruzione; sanità e assistenza sociale
attività professionali
altri servizi
turismo
servizi alle imprese
commercio
attività immobiliare
industria in senso
attività finanziarie
costruzioni
stretto totale economia
trasporto
agricoltura
Fonte: elaborazioni su dati Istat, Conti economici nazionali.
(1) Il triangolo indica la variazione percentuale annua degli occupati per il totale dell’economia. Le barre rappresentano i contributi dei
singoli settori alla variazione totale. I gruppi si riferiscono alle sezioni della classificazione Ateco 2007: A (agricoltura), B-E (industria in
senso stretto), F (costruzioni), G-H (commercio e trasporto), I (turismo), J (ICT), K-N (attività finanziarie, immobiliari, professionali e servizi
di supporto alle imprese), O-Q (Amministrazione pubblica, istruzione, sanità), R-U (altri servizi).
F. Colonna, F. Scoccianti ed E. Viviano, The slowdown of productivity in the euro area and the role of input
prices, Banca d’Italia, Questioni di economia e finanza, 918, 2025.
BANCA D’ITALIA
Relazione annuale
comparti dell’Amministrazione pubblica, dell’istruzione e della sanità, per effetto
delle assunzioni nel pubblico impiego e del rafforzamento della domanda di lavoro
nella componente privata dell’istruzione e della sanità. Anche il comparto edile



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