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Biotecnopolo: il futuro conteso di Siena


Intervista a Pierluigi Piccini: “Serve una regia democratica, non una nuova oligarchia. La scienza può essere motore di sviluppo, ma solo se aperta”

Pierluigi Piccini in un recente articolo sul suo blog ha sollevato questioni cruciali e stimolanti riguardo al futuro di Siena e al progetto del Biotecnopolo. Ha toccato nervi scoperti, evidenziando rischi e contraddizioni in un momento di fondamentale importanza per la città. Partendo dalla sua analisi, che individua in biologia, scienza e tecnologia i protagonisti ineludibili del futuro, approfondiamo alcuni aspetti chiave della sua visione.

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Quali sono gli errori specifici del passato che potrebbero replicarsi nel contesto del Biotecnopolo?

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“Gli errori del passato che temo possano ripetersi riguardano soprattutto la mancanza di una visione sistemica e condivisa dello sviluppo. A Siena si è spesso agito per compartimenti stagni, affidando grandi progetti a ristretti gruppi di potere, senza una reale progettualità pubblica, senza coinvolgimento della cittadinanza, senza trasparenza. Basti pensare alla crisi del Monte dei Paschi, che non è stata solo economica, ma anche culturale e politica. L’assenza di pluralismo ha impedito prevenzione, critica costruttiva e correzione di rotta. Con il Biotecnopolo rischiamo la stessa verticalità, lo stesso isolamento decisionale, lo stesso affidarsi a chi c’era già”.

A chi ti riferisci quando parli di concentrazione di potere e risorse?

“Mi riferisco a un blocco di interessi che si muove tra politica, accademia, fondazioni, grandi soggetti economici e, almeno in parte, il mondo delle professioni. Da tempo questo sistema gestisce potere, risorse pubbliche e incarichi in modo autoreferenziale. Un assetto così consolidato riesce a sopravvivere indipendentemente dai cambi di colore politico: cambia la superficie, ma le logiche restano”.

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In che modo la centralità di pochi soggetti economici e istituzionali limita la partecipazione della città?

“Il problema non è la presenza di attori forti, che possono avere un ruolo positivo nello sviluppo, ma il fatto che l’intero progetto ruoti attorno a pochi soggetti. Quando tutto si concentra in mani ristrette, la città resta ai margini: le piccole imprese, i giovani ricercatori, le scuole, i cittadini non sono messi nelle condizioni di partecipare, proporre, orientare le assunzioni, che spesso vengono effettuate in base a compatibilità più che a merito. Si crea una monocultura che soffoca la diversità e la vitalità dell’ecosistema locale”.

Perché parli di “mancanza di discontinuità” nel PD e quali sono le conseguenze?

“Il PD senese ha scelto di difendere il progetto così com’è, appoggiandosi agli stessi poteri che hanno accompagnato il declino della città. Non si tratta di essere contro il Biotecnopolo, ma di contrastarne una gestione opaca e ristretta. L’assenza di autocritica e di apertura a nuove energie compromette ogni possibilità di rigenerazione. Siena ha bisogno di un cambio di metodo, non di rassicurazioni a porte chiuse”.

Cosa dovrebbe fare subito il Comune?

“Il Comune dovrebbe rivendicare un ruolo di regia democratica nel progetto. Aprire un tavolo permanente con cittadini, università, imprese, associazioni. Pretendere trasparenza, definire criteri chiari per investimenti e assunzioni. Soprattutto, assicurarsi che il Biotecnopolo diventi uno strumento di sviluppo per tutta la città, e non solo per un’area ristretta o per pochi beneficiari”.

Cosa intendi con “potere trasversale”?

“È quel potere che resiste a qualsiasi alternanza politica. Non ha bisogno di esporsi: agisce dietro le quinte, occupa le istituzioni in modo silenzioso, influenza le scelte strategiche. Lo abbiamo visto anche nel caso del Santa Maria della Scala, nelle nomine della fondazione, nella gestione delle partecipate. È una continuità senza volto, difficile da contrastare proprio perché non si presenta come destra o sinistra”.

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Qual è l’effetto dell’assenza dei ministeri competenti?

“L’assenza del governo centrale condanna il progetto a una dimensione troppo locale, priva di un indirizzo strategico nazionale. Il Biotecnopolo dovrebbe essere un nodo di una rete italiana ed europea, ma senza il coinvolgimento attivo dei ministeri – in termini di fondi, governance, missione – rischia di rimanere un’iniziativa parziale e debole, incapace di attrarre vero capitale umano e innovazione”.

Quale ruolo dovrebbe avere l’Università di Siena?

“Dovrebbe essere la vera anima culturale del progetto. Dovrebbe orientarlo, aprirlo, contaminarlo. Invece, resta troppo impegnata a difendere equilibri interni, delegando di fatto le scelte decisive solo a qualcuno. Comprendo la prudenza, ma oggi servono coraggio e visione: un’università capace di essere luogo di pensiero, proposta e anche critica, quando necessario”.

Cosa ti preoccupa nella contrapposizione tra fondi europei e fondi nazionali?

“Temo che il progetto venga strumentalizzato politicamente: si oppone il “merito locale” al “ritardo romano” o viceversa. Così facendo si perde di vista la sostanza. I fondi non sono un bottino da spartire, ma strumenti da utilizzare con intelligenza e responsabilità. Se prevale la logica dello scontro istituzionale, salta la coerenza complessiva del disegno”.

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“È stata un’operazione di visibilità. Il centrodestra ha voluto accreditarsi come protagonista, ma l’ha fatto in modo scenografico e superficiale. Più che una reale assunzione di responsabilità, è sembrato un tentativo di cavalcare il progetto per fini di consenso. Ma il Biotecnopolo non può essere ridotto a un palcoscenico”.

Perché la notizia delle venti assunzioni è stata oscurata?

“Perché la comunicazione è ambigua. Da un lato si chiede fiducia, dall’altro si evita di fornire dati concreti, nomi, criteri. Le assunzioni sono un segnale importante, ma dovrebbero essere raccontate con chiarezza, spiegando il processo e garantendo trasparenza. Se si oscura una buona notizia, è perché si teme la domanda: Chi è stato assunto, con quali criteri?”

Qual è la tua visione per un futuro di successo per Siena nel campo della biologia, scienza e tecnologia?

“La scienza può rappresentare la leva di un nuovo modello di sviluppo. Ma non basta costruire un laboratorio: serve un ecosistema. Occorre integrare formazione, ricerca, impresa, cultura e servizi. Serve una città viva, attrattiva per i giovani, con alloggi, trasporti, opportunità. E serve un sapere diffuso, partecipato, socialmente utile. Solo così Siena può tornare a essere un punto di riferimento, evitando di diventare una replica stanca di modelli già visti”.

Biologia, scienza e tecnologia sono il futuro anche per l’Amiata?

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“Assolutamente sì. Il territorio che oggi amministriamo ha grandi potenzialità: biodiversità, energia rinnovabile, un capitale umano da valorizzare. Abbiamo anche un grande alleato: il calore. La biotecnologia non significa solo laboratori avanzati, ma anche agricoltura sostenibile, economia circolare, cura del territorio, facendo entrare la geotermia anche nei processi produttivi. Il sapere scientifico può generare lavoro qualificato, servizi, comunità più forti. Ma solo se viene messo in relazione con i bisogni concreti della gente, non chiuso in una torre d’avorio”.



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