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Seconda puntata dell’analisi dei quesiti referendari che gli italiani sono chiamati a votare l’8 e 9 giugno prossimi. Il quesito n. 2 (scheda arancione) è articolato nella seguente domanda: “Volete voi l’abrogazione dell’articolo 8 della legge 15 luglio 1966, n. 604, recante ‘Norme sui licenziamenti individuali’, come sostituito dall’art. 2, comma 3, della legge 11 maggio 1990, n. 108, limitatamente alle parole: ‘compreso tra un’, alle parole ‘ed un massimo di 6’ e alle parole ‘La misura massima della predetta indennità può essere maggiorata fino a 10 mensilità per il prestatore di lavoro con anzianità superiore ai dieci anni e fino a 14 mensilità per il prestatore di lavoro con anzianità superiore ai venti anni, se dipendenti da datore di lavoro che occupa più di quindici prestatori di lavoro’?”.

Qual è l’oggetto del secondo quesito referendario?

“Il quesito ha ad oggetto la regolazione del licenziamento dei lavoratori impiegati nelle imprese con meno di 16 dipendenti. In particolare, il quesito prevede l’abrogazione parziale dell’art. 8 Legge 15.07.1966 n. 604 e successive modifiche. Detta normativa prevede che in caso di licenziamento illegittimo (senza giusta causa o giustificato motivo) sia corrisposto un indennizzo economico, quantificabile dal giudice entro parametri estremamente rigidi, che non permettono di valutare la reale gravità del licenziamento e di disporre così un equo risarcimento”.

In caso di vittoria dei SÌ come cambierà il sistema dei licenziamenti nelle piccole imprese?

“La normativa in vigore prevede l’obbligo da parte del datore di lavoro di corrispondere, al lavoratore illegittimamente licenziato, un risarcimento massimo di 6 mensilità nelle imprese con meno di 15 dipendenti. Nel caso di imprese con un numero di dipendenti superiore, l’indennità può essere maggiorata sino ad un massimo di 10 mensilità per il lavoratore con oltre 10 anni di anzianità e sino a 14 mensilità per i lavoratori con oltre venti anni di anzianità. Qualora vincesse il SÌ verrebbe abrogato il limite massimo di indennizzo previsto alla legge vigente, consentendo così al giudice del lavoro di determinare l’entità del risarcimento secondo giustizia, in base, cioè, alle circostanze specifiche del caso. In questo modo, il lavoratore potrebbe vedersi riconosciuto un risarcimento maggiore (ma anche minore), di quello garantito dall’attuale assetto normativo. L’eliminazione dei limiti massimi di indennizzo e la possibilità per il giudice di condannare liberamente in base al caso concreto, dovrebbe permettere di limitare il licenziamento ‘facile’ da parte dei datori di lavoro delle piccole imprese”.

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Quali le ragioni dei sostenitori del NO?

“Tenendo conto che i lavoratori interessati dalla norma sono quasi 4 milioni, l’abrogazione contribuirebbe solo ad aumentare il contenzioso (in un sistema Giustizia già notoriamente in affanno), considerato peraltro il fatto che il lavoratore non potrebbe in ogni caso ottenere la reintegra, ma potrebbe solo discutere dell’ammontare dell’indennizzo, rendendo sempre più complesso e difficile il rapporto fra datori e lavoratori”.

(2, continua)



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