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Pescare i rifiuti o trasformare gli scarti del pesce in biostimolanti: il futuro delle start up green in Liguria è già presente


Quando al largo degli oceani le correnti si scontrano, inizia una danza di muri d’acqua che si abbracciano in grandi spirali. Si crea un enorme vortice: quel ciclone liquido si chiama “gyre”. Chi ama i mari, lo conosce bene. Fondamentali per lo scambio dei flussi marini, i vortici creano però al loro interno enormi isole di plastica, ciclopiche barriere di rifiuti che viaggiano per chilometri prima di disperdersi e avvelenare ogni sponda. Hanno deciso di battezzarsi in nome di quel ballo delle onde i fondatori di Ogyre, la start up che lavora con piccoli pescatori dall’Indonesia al Brasile fino al Senegal per “ripulire gli oceani, un rifiuto alla volta”. Vengono pagati per pescare non pesce, ma immondizia e “questo ha un impatto ambientale e anche sociale” racconta Antonio Augeri. Molti dei suoi 36 anni li ha trascorsi su una tavola da surf in pelago, come Andrea Faldella, velista e subacqueo: insieme hanno deciso di creare nel 2020 la piattaforma globale che collabora con “chi conosce meglio degli altri i problemi” dei mari: i piccoli pescatori che, da una costa all’altra del mondo, soffrono delle stesse tragedie.

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A volte, in certe stagioni dell’anno, dice Antonio, “la quantità di rifiuti è così enorme in mare che è impossibile anche pescare”. Dopo che le piccole armate verdi raccolgono la plastica nel blu, “a terra un partner locale si occupa di rendicontazione e smaltimento, questo cambia in base alle leggi e tecnologie locali. Generiamo crediti di impatto per l’economia circolare”. Nei Paesi in via di sviluppo – spiega Antonio, 700mila chili di rifiuti raccolti dopo – “l’impatto economico ha un’incidenza forte”, ma non è l’unica ricaduta positiva sui territori: “Grazie al progetto sono rinate piccole comunità, alcuni pescatori hanno cominciato a fare ecoturismo, c’è chi si è rimesso a pescare perché sono tornati i granchi che erano spariti”. A migliorare è stata non solo la qualità dei mari, ma della vita. Non ha potuto evitare di commuoversi quando ha scoperto per caso che un pescatore in Brasile aveva aperto un negozio: in vetrina stanno gli oggetti ripescati dal mare. Come una corrente al largo, li ha recuperati e li ha rimessi in circolazione sulla terra.

Nel mondo le start up che collaborano con piccole flotte di pescatori locali, con barchette su rive remotissime, si possono contare sulle dita di una sola mano. Sono quasi tutte concentrata in Usa e Germania, ma Ogyre è nata nella regione italiana che nella lista green arriva davanti a tutte le altre: la Liguria. Ha molti più rispetto agli altri la regione-laboratorio a forma di spina storta bagnata dal mar Ligure: più start up votate alla missione ambientale di tutti, più energia rinnovabile consumata in Italia. Se chiedi ad Antonio perché imprese marine, terrestri e innovative stanno fiorendo proprio lì, risponde come fanno molti a Genova e dintorni: “Perché quando nasci dove c’è molta natura, diventi legato. E quando uno è legato a qualcosa, se ne prende cura”. Stretta tra mare e monti, tra entusiasmi e talenti a servizio della ricerca, la Liguria è costellata di città-incubatrici che generano nuove opportunità imprenditoriali che mettono la tecnologia a servizio della tutela ambientale.

I liguri sono figli della loro geografia, ma anche della loro storia: quella climatica che gli sta dietro le spalle, è tragica. Come gli antichi naviganti della regione che si imbarcavano per l’ignoto a mappe ancora da disegnare, è stata Simona Gervasio. Fa le valigie dopo una laurea in biologia all’Università di Genova: in bagaglio ha la passione per la microbiologia dei suoli e una scommessa. Parte da sola per Gran Canaria per rigenerare una serra a clima tropicale, anche se a mancare è la letteratura scientifica con risultati da citare. Allora rovescia la prospettiva e decide di avviare esperienze dirette. Servono tempo e sacrificio. Servono cinque anni, ma fa rinascere il terreno al doppio della velocità. Era il 2014: oggi di rigenerazione del suolo ne parlano quasi tutti, all’epoca però non lo faceva nessuno. Dalla sua idea, da quel viaggio e dalla sua sfida nasce Fish, un progetto d’economia circolare per recuperare gli scarti del pesce e trasformarli in biostimolante per l’agricoltura. Natura che aiuta altra natura a crescere: dal mare alle piante, per evitare pesticidi e farmaci, e migliorare la produttività delle colture. In zone costiere del sud del mondo, dalla Corea all’America Latina, la fermentazione degli scarti del pesce era già un’antica pratica, una tradizione, ma “ognuno procedeva per sé”, non c’erano studi e protocolli di produzione.

L’idea di Simona la sviluppa Charta, spin off università di Genova per la conservazione del patrimonio ambientale. Scie di difficoltà inseguono tutte le start up, ovunque. Ma in Liguria molte nascono già impregnate di coraggio: “Nessuno, nel percorso, ha mai mollato” racconta Marisa Bacigalupo responsabile organizzativa di Charta che oggi coinvolge decine di attori nel progetto del biostimolante in cui ha investito l’Unione Europea. Questo fanno i fondi, “mettono in contatto persone che altrimenti non si incontrerebbero, creano un’unione di intuiti in un processo di reciproca conoscenza che fa evolvere il progetto”.

Con questo prodotto che aiuta il metabolismo della pianta contro parassiti e patogeni si fa molto con poco, c’è risparmio d’acqua. E a termine ciclo è migliorato anche il gusto. Pomodori, basilico, aglio, se crescono su piante protette dallo stimolante naturale e non da pesticidi, “hanno un altro sapore”. Dopo agricoltori e pescatori, a questa ricerca si sono interessati gli chef, “ed così si è chiuso il cerchio”. In una terra che conosce la catastrofe climatica, si ricorda la fatica degli avi: “Un passato faticosissimo, oggi non immaginabile, di massi portati a spalla per costruire muretti a secco nelle piane” raccontano. “Ci sono nuove generazioni di agricoltori e pescatori attenti all’innovazione che hanno consapevolezza dei bisogni della pianta e del suolo, che hanno una nuova coscienza”. In Liguria “hanno capito che se viene tutelata, poi la natura ti restituisce abbondanza” conclude Simona parlando del piccolo esercito di agricoltori di precisione, produttori ittici, allevatori. Tra le schiere anche quelli che Bacigalupo chiama “gli eroici”: quelli che in montagna, “a mille metri e più”, tra le vette con banche dei semi, tutelano la biodiversità.

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Per Genova sta passando una via credibile al cambiamento: la città è diventata epicentro dell’economia circolare, in ateneo arrivano finlandesi e norvegesi ad osservare, capire come si fa. L’attitudine del ligure e quella del naturalista si assomigliano, chiosa Simona: “Ottimizzare tutto, fare con ciò che hai a disposizione, far sopravvivere l’ecosistema con meno intervento possibile”. Più che missione verde all’orizzonte, in Liguria è l’orizzonte ad essere tutto green. E blu. Le ore del Pianeta sono contate, ma in Liguria contano altro: le scintille che si infrangono sul mare quando il sole sorge sui moli del porto di Genova. Con l’ultimo piano di efficientamento energetico e illuminazione urbana hanno tagliato 14mila tonnellate di Co2 e pure la luce è verde in tutta la città.



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