La vicenda dell’Ilva di Taranto rappresenta una delle pagine più complesse della siderurgia italiana e racconta molto delle difficoltà incontrate dal paese nelle privatizzazioni degli anni ’90 e 2000. Un impianto nato per dare nuova linfa al Sud Italia che ora si trova ad affrontare problemi economici, legali e ambientali che rischiano di segnare la sua chiusura definitiva.
Le origini e l’importanza industriale dell’Ilva di taranto
L’Ilva, nata nel 1961 dalla fusione con le acciaierie di Cornigliano e formalmente costituita come Italsider nel 1964, serviva a rilanciare l’economia del meridione. L’obiettivo era costruire uno stabilimento siderurgico integrato che potesse competere nel mercato europeo, e per molti anni l’impianto è stato uno dei punti di riferimento per il settore.
Nel 2005, l’indotto Ilva comprendeva 118 imprese pugliesi direttamente collegate alle attività dello stabilimento, evidenziando un ruolo centrale nell’economia locale. Lo stabilimento di Taranto produceva ingenti quantità di acciaio, rappresentando un’importante fonte di lavoro e sviluppo industriale.
Gli errori nella fase delle privatizzazioni
Con l’avvio delle privatizzazioni italiane all’inizio degli anni ’90, sotto la guida di Romano Prodi e dell’Iri, anche l’Ilva fu inserita nel pacchetto di aziende da cedere. Queste vendite però, sono state spesso criticate per il valore economico sottostimato con cui lo Stato ha ceduto i propri asset industriali.
Nel 1995, ad esempio, l’Ilva è stata venduta per 1.650 miliardi di lire al gruppo Riva, contro una valutazione ufficiale che superava i 4.000 miliardi. All’epoca, l’azienda produceva quasi 100 miliardi di lire al mese. La scelta di vendere l’Ilva sottocosto ha fatto partire una lunga serie di problemi, dovuti anche alla mancanza di investimenti adeguati da parte dei nuovi proprietari, più interessati ai loro profitti personali che al rilancio industriale.
Problemi ambientali, sequestri e commissariamenti dall’inizio 2010
La situazione peggiorò dal punto di vista ambientale. Nel 2012 un provvedimento del tribunale di Taranto ha ordinato il sequestro dello stabilimento a causa di gravi violazioni ambientali. L’area a caldo fu bloccata, e i vertici dell’azienda, incluso Emilio Riva e il figlio Nicola, furono indagati.
Il governo Monti intervenne con un decreto che autorizzava la continuazione della produzione per evitare la chiusura, ma le tensioni rimasero alte. Nel 2013 si avviò un commissariamento guidato da Enrico Bondi, seguito da una fase di amministrazione straordinaria nel 2015 sotto Renzi. Nel 2018, il passaggio ad Arcelor Mittal, società indiana leader nel campo siderurgico, sembrava una svolta.
L’uscita di arcelor mittal e le crisi nel 2024-2025
Gli accordi con Arcelor Mittal prevedevano uno “scudo legale” a protezione contro vertenze ambientali, ma sotto il Governo Conte 1 questa garanzia venne tolta. Questo portò a una lunga fase di contrasti giudiziari e blocchi che hanno fermato rilanci dell’impianto.
Nel 2024 il gruppo indiano si è ritirato, lasciando l’Ilva in amministrazione straordinaria, con produzioni ai minimi storici. Il ministro per il made in Italy Adolfo Urso ha chiesto un cambio radicale alla guida del polo siderurgico e ha escluso la possibilità di cooperare ulteriormente con Arcelor Mittal.
Incendio all’altoforno 1 e ritardi nella gestione dell’emergenza
Lo scorso 7 maggio, un incendio ha colpito gravemente l’altoforno 1. L’azienda aveva chiesto tempestivamente alla Procura di Taranto di autorizzare il “colaggio dei fusi”, cioè il deflusso della massa fusa, operazione necessaria per evitare il blocco definitivo dell’impianto e ulteriori danni.
Ma l’autorizzazione è arrivata solo dopo circa 50 ore, oltre il limite massimo ritenuto utile, che secondo l’azienda è di 48 ore. Questo ritardo ha peggiorato la situazione e sollevato critiche da parte del ministro Urso sul ruolo della magistratura locale nell’affrontare l’emergenza.
Trattative con baku steel e contrasti sul rigassificatore
Nonostante l’incendio, la ricerca di nuovi partner industriali va avanti. Il ministero ha confermato le trattative con il gruppo azero Baku Steel. Il progetto però è complesso anche per via delle richieste legate alla realizzazione di un rigassificatore all’interno del sito industriale.
Alcune associazioni ambientaliste si oppongono al rigassificatore per motivi ambientali, creando un nodo politico e sociale. Il presidente della regione Puglia, Michele Emiliano, ha dialogato con il ministro Urso definendo questa scelta un “sacrificio necessario” per il rilancio produttivo.
Il futuro dell’Ilva e i fondi necessari per il rilancio
Il ministro Urso sta cercando di raccogliere circa 5 miliardi di euro per avviare il rilancio dell’impianto. Il futuro dell’acciaieria coinvolge circa 10.000 lavoratori, e rappresenta una sfida importante per l’economia locale e nazionale.
L’Ilva non può permettersi altri errori. Gli investimenti devono arrivare in tempo e con le garanzie necessarie. Il governo ha confermato l’impegno, in vista del prossimo incontro con i sindacati previsto a Palazzo Chigi il 9 giugno, per definire i passi immediati della ripartenza industriale.
***** l’articolo pubblicato è ritenuto affidabile e di qualità*****
Visita il sito e gli articoli pubblicati cliccando sul seguente link