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Salvare le pensioni di domani? Una responsabilità collettiva


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Sabato, 24 Maggio 2025

Occupazione ferma, giovani sfiduciati, donne ancora troppo ai margini e una popolazione che invecchia sempre di più: il sistema pensionistico italiano è sotto pressione.

E allora se il primo pilastro pubblico non regge più da solo, serve ripensare tutto: dalla previdenza integrativa all’educazione finanziaria, dal ruolo delle imprese a quello dello Stato. Il tema è stato discusso in profondità nella cornice del Festival dell’Economia di Trento con le cinque esperienze e competenze diversificate di Lorenzo Bertoli, Alberto Brambilla, Sara De Petra, Alessandro Molinari e Maurizio Tarquini, con la moderazione di Laura Galvagni. Tra allarmi e proposte, la vera sfida è culturale, soprattutto per i giovani: smettere di pensare alle pensioni come un problema lontano.

I numeri parlano chiaro: viviamo più a lungo, lavoriamo meno e facciamo pochi figli. Ma chi garantirà un reddito a chi oggi ha vent’anni? I cinque esperti hanno provato a immaginare una via d’uscita a un problema che non si può più rimandare. Quella che dovrebbe essere, infatti, solo una buona notizia – nel 1945 si viveva in media fino a 60 anni, mentre oggi l’aspettativa di vita ha superato gli 83 anni – mette sotto pressione un sistema previdenziale pensato per un’altra epoca. E a questo, si affiancano altri problemi e relativi dati preoccupanti. L’Italia conta oggi circa 38 milioni di persone in età da lavoro, ma solo 24 milioni risultano effettivamente occupate: un tasso occupazionale del 61,5%, ben 15 punti sotto la media europea. Il rapporto tra lavoratori attivi e pensionati è fermo a 1,48, lontano dalla soglia di sicurezza di 1,6-1,7 necessaria a sostenere le pensioni pubbliche.  E ancora, la spesa previdenziale ha toccato quota 318 miliardi di euro, su un totale di oltre 630 miliardi destinati alla protezione sociale. E se da un lato aumentano i costi, dall’altro la base fiscale si restringe: basti sapere che il 47% della popolazione non dichiara redditi. 

Questo sistema regge ancora grazie a un differenziale positivo tra contributi versati e pensioni nette erogate, ma non potrà farlo ancora a lungo senza un cambio di passo strutturale. Il presidente di Itinerari Previdenziali, Alberto Brambilla, ha chiuso lo specchietto scoraggiante con un monito: “Non possiamo pensare di avere diritti senza doveri”. In questo scenario, Lorenzo Bertoli, presidente di Laborfonds, ha sottolineato come “il sistema a ripartizione da solo non reggerà in futuro”: c’è bisogno di un sostegno aggiuntivo, rappresentato dal secondo pilastro previdenziale, ovvero la pensione integrativa. 

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Bertoli ha illustrato brevemente il modello del fondo pensioni negoziale Laborfonds, attivo dal 1998 in Trentino-Alto Adige, con 143.000 aderenti su poco più di un milione di residenti, investimenti territoriali e un centro di consulenza che promuove anche l’educazione finanziaria. Questo caso presenta numeri incoraggianti, eppure risulta ancora evidente che la cultura previdenziale manca, soprattutto tra i più giovani.

E proprio ai giovani si è rivolto Alessandro Molinari, CEO di Itas Mutua, esortandoli a pianificare per tempo la sicurezza economica del loro futuro: “I giovani dovranno attrezzarsi per tempo per garantirsi un sostentamento dopo la fine dell’attività lavorativa. Devono saperlo: prima si inizia a versare, più alta sarà la rendita previdenziale”. Aiutare le nuove generazioni a essere consapevoli e preparate non è però un compito che può ricadere solo su di loro, coinvolge tutti, a partire dalle compagnie assicurative.

Ha insistito sulla necessità di una spinta collettiva anche Maurizio Tarquini, direttore generale di Confindustria, che ha ricordato l’impegno dell’associazione nel promuovere la previdenza complementare all’interno dei contratti collettivi, sostenendo la legge del 2005 e continuando a puntare sul secondo pilastro. “Però basta essere così pessimistici: le cose non vanno benissimo, ma siamo in grado di intervenire” ha affermato Tarquini, offrendo ai colleghi e al pubblico uno scenario positivo: se si riuscisse infatti a far crescere il PIL dell’1,5-2%, molte delle criticità pensionistiche si ridimensionerebbero. E ancora, se ci si concentrasse sul fare crescere l’economia delle imprese – le precarie e fragili cosiddette “microimprese”, in Italia, sono quasi 3 milioni – e sul tasso di occupazione dei giovani, si rilancerebbe il Paese.

Ha meritato un focus il tema della “silver economy”, ovvero l’insieme di beni, servizi e attività economiche rivolte alla popolazione over 65. E’ stata la studentessa dell’Università Cattolica Sara De Petra a spiegare come questa fascia d’età sia una risorsa preziosa: gli anziani, infatti, svolgono un ruolo attivo nella società, contribuendo al benessere familiare, al volontariato e a forme di cura informale, spesso fondamentali nei contesti locali. “Servono politiche abitative innovative, come il co-housing per senior, reti di volontariato e tecnologie come la domotica per garantire assistenza diffusa” spiega De Petra, aggiungendo che è opportuno guardare con interesse a modelli di Paesi come Giappone e Danimarca, dove l’invecchiamento è gestito con strumenti intelligenti e socialmente inclusivi.

A chiudere il dialogo è stato Alessandro Molinari, con un esempio concreto: “Per favorire la partecipazione femminile al lavoro, abbiamo aperto un asilo nido aziendale. Da allora, le nascite all’interno della nostra compagnia sono aumentate.” A dimostrare e ribadire che i più importanti attori sociali del sistema possono fare la differenza e devono agire tutti: famiglie, imprese, Stato. Solo così si può affrontare seriamente la sfida previdenziale: come una responsabilità collettiva.

Chi pagherà le pensioni del futuro Nella foto: Laura Galvagni, Maurizio Tarquini, Alessandro Molinari, Sara De Petra, Lorenzo Bertoli, Alberto Brambilla

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