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PAT * FESTIVAL ECONOMIA TRENTO: ORSINI, “ PER SALVARE LA COMPETITIVITÀ MENO BUROCRAZIA E IMPRESE UNITE, CON UN PIANO EUROPEO”


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21.56 – domenica 25 maggio 2025

Orsini: per salvare la competitività, meno burocrazia, le imprese unite e un piano europeo. A conclusione della ventesima edizione del Festival dell’Economia di Trento, il dialogo tra Fabio Tamburini, direttore del Sole 24 Ore e presidente del Comitato scientifico del Festival, ed Emanuele Orsini, presidente di Confindustria, ha riportato al centro la necessità di un nuovo piano per lo sviluppo dell’economia industriale italiana ed europea.

Le sfide globali – prima fra tutte, i dazi USA e i cambiamenti che stanno generando nei mercati globali e nelle catene di approvvigionamento – mettono a rischio la competitività del sistema produttivo, ma l’industria italiana è chiamata a reagire: è opportuno intervenire sul calo degli investimenti e delle esportazioni, sull’insufficiente utilizzo dell’AI nelle filiere, sulla crisi di settori chiave come l’auto e la moda, sull’energia troppo cara e sulla frammentazione del sistema imprenditoriale.

L’Italia può ancora fare la differenza, ma serve un intervento rapido e una pianificazione a lungo termine in concerto con gli altri Paesi europei.

Perché serve un piano di sviluppo dell’economia industriale Nella foto: Emanuele Orsini. Dopo quattro giorni di dibattiti e oltre 300 eventi, il Festival dell’Economia di Trento si è chiuso tornando alla riflessione di partenza, quella che ha portato a dare il titolo a questa ventesima edizione: l’Europa è davvero al bivio, e l’Italia, se vuole tornare a giocare un ruolo da protagonista, deve riportare al centro la sua economia industriale.

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Lo afferma con forza Orsini, in un dialogo con Tamburini che ha messo in luce dati e fatti. Tra questi: la manifattura italiana in difficoltà da quasi due anni, il PIL non in caduta libera solo grazie ai servizi, mentre settori chiave come auto e moda soffrono tra crisi dei mercati ed eccessiva burocrazia. “Non possiamo permetterci di deindustrializzare l’Europa”, ha ammonito Orsini.

L’allarme è doppio, a causa del recente annuncio degli Stati Uniti sull’imposizione di dazi al 50%; per quanto riguarda l’Italia, l’esportazione di beni è pari a circa 626 miliardi di euro a livello globale, e una grossa fetta di questi arriva dagli USA. Orsini sottolinea come perdere un mercato strategico come quello statunitense rappresenterebbe un danno rilevante.

Anche perché, con l’Oriente, il saldo commerciale oggi è negativo: la Cina esporta in Italia molti più prodotti di quanti ne importi. Bisogna però considerare che, se Washington dovesse davvero irrigidire i rapporti commerciali con Pechino, è probabile che la Cina cerchi nuovi sbocchi in Europa, con un ulteriore afflusso di prodotti nel nostro mercato. Su questo punto, Orsini si accende: questa è un’opportunità per il nostro Paese e per l’UE per aprirsi a nuovi mercati e rilanciare la propria competitività.

Ci sono poi fronti su cui le industrie europee sono più virtuose del resto del mondo: due imprenditori su tre si dichiarano attenti all’ambiente e i dati lo dimostrano. Il settore industriale europeo contribuisce al 15% del PIL mondiale, ma è responsabile solo del 6% delle emissioni globali di gas serra. Un risultato che riflette scelte tecnologiche e gestionali orientate alla sostenibilità.

Tuttavia, proprio questo sforzo ha un costo. La competizione globale non premia sempre chi investe nella transizione verde: le imprese italiane, ad esempio, si trovano a pagare l’energia più cara, operano in un quadro normativo spesso più rigido rispetto ad altri Paesi e devono confrontarsi con una burocrazia lenta. Sul tema burocrazia, Tamburini cita Giulio Tremonti: “Mettendo in fila tutte le regole europee si arriva alla bellezza di 150 chilometri”. La sfida, dunque, è duplice: continuare a essere leader nella sostenibilità senza perdere terreno in termini di competitività, tra le altre cose accelerando e alleggerendo i processi burocratici che penalizzano le imprese italiane.

Si passa quindi a un’altra questione spinosa: le cosiddette “micro-imprese”. Sulle 4,3 milioni di imprese in Italia, solo 250.000 superano i 9 dipendenti. Orsini spiega che questo dato evidenzia la necessità di favorire aggregazione, innovazione e formazione all’interno del tessuto produttivo. Il presidente di Confindustria sottolinea quindi l’urgenza di una visione strategica chiara: bisogna aiutare le imprese ad aggregarsi e a guardare più lontano, in termini di mercati perseguibili.

Eppure, non si può pensare che un’impresa apra un nuovo mercato senza un supporto adeguato: “Le aziende sono già in difficoltà. Servono aiuti per l’internazionalizzazione”, avverte Orsini, che menziona alcuni mercati oggi strategici: Emirati Arabi, Messico, India e Giappone.

Il dialogo si avvia verso la conclusione con un tema che è stato al centro del dibattito durante tutto il Festival, su cui Orsini ribadisce una posizione ampiamente condivisa da imprenditori, accademici ed esperti del settore: l’intelligenza artificiale rappresenta un’opportunità importante, soprattutto per le PMI, che devono poter accedere a queste tecnologie per aumentare produttività e competitività. Con una specifica: “Abbiamo perso il treno orizzontale, ma possiamo essere leader nella specializzazione verticale, quella legata alle filiere”, spiega.

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Infine, dopo aver richiamato l’attenzione sulla sfida demografica e sull’importanza di attrarre giovani formati all’estero e creare condizioni favorevoli alla loro qualità della vita e del lavoro, la chiusura di Orsini è un appello alla responsabilità politica: accanto a una programmazione seria e a una strategia di lungo termine basata su investimenti e semplificazioni, per rilanciare l’industria italiana ed europea servono governi stabili



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