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Iannantuoni: «L’università è l’ultimo ascensore sociale. Le donne? Ora basta sensi di colpa. Bicocca, sei milioni per i contratti di ricerca»


di
Paola Pica

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L’economista rettrice e presidente della Crui (Conferenza dei rettori): alleanza con Confindustria, in luglio il primo incontro . Il mondo accademico può spingere la crescita e si apre alle imprese e alle comunità

Di lei si parla come prossima candidata a incarichi istituzionali in Italia e in Europa. Ma per ora la rettrice Giovanna Iannantuoni — che in autunno lascerà la Bicocca e la presidenza dalla Crui, la Conferenza dei rettori delle università italiane — è ancora concentrata a tradurre in realtà la sua visione del mondo accademico: «Un luogo aperto e inclusivo, connesso alla società e alle imprese, capace di portare crescita economica». La professoressa Iannatuoni, del resto, è un’economista giochista, laureata in Bocconi con una tesi sul comportamento strategico degli individui in situazioni di interazione, conflitto o cooperazione e studi post universitari tutti all’estero.
Oggi guida un sistema in cui ogni mossa conta, l’università italiana, che accoglie quasi due milioni di studenti e attraversa in questi anni una trasformazione profonda. Rettrice uscente della Bicocca di Milano, dove ha raccolto il testimone dalla sua collega, amica e mentore Cristina Messa (in seguito ministra nel governo Draghi), ha rilanciato su internazionalizzazione, sostenibilità, alleanze con l’industria e le istituzioni. Prima rettrice alla guida della Crui, in passato sempre presieduta da figure maschili, a lei si deve l’istituzione della Giornata nazionale dell’Università, le iniziative con le comunità dei cittadini e nel Terzo settore, l’inedita partnership avviata con Confindustria.

Professoressa, scelga una parola che racconti questi anni alla guida della Bicocca.
  «Osmosi. Il mio impegno, annunciato in campagna elettorale sei anni fa, è stato quello di fare della Bicocca un ecosistema aperto, capace di attrarre studenti, partner di ricerca da tutto il mondo, dialogare con le istituzioni e lavorare insieme all’industria».
 
Università e impresa: un rapporto da costruire?
«In parte, la strada è tracciata. Oggi molte aziende cercano nei nostri laboratori risposte che non trovano altrove. I laboratori congiunti, le lauree professionalizzanti, i percorsi legati a Next Generation Ue, un nome bellissimo che non abbiamo tradotto con Pnrr, sono ponti che dobbiamo continuamente rafforzare. La sfida è iscrivere innovazione e ricerca alla voce investimenti. La sfida è quella di rendere chiaro a tutti che la cultura scientifica è parte integrante della competitività del Paese».




















































A luglio Crui incontrerà Confindustria in viale dell’Astronomia. Cosa rappresenta questo evento?
« Per la prima volta, la Conferenza dei Rettori entra nella sede di Confindustria per discutere di futuro e innovazione tecnologica. Vogliamo dimostrare che l’università non è un mondo fermo o tradizionale, ma è viva, dinamica e pronta a cambiare. Ed è un motore di trasformazione. Dobbiamo capire insieme come migliorare il mondo in cui viviamo, perché è di questo che stiamo parlando. Dall’incontro di luglio arriverà un segnale forte».

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L’ascensore sociale, in Italia, si è definitamente fermato?
«No, affatto. L’ascensore sociale esiste ancora e siamo noi, l’accademia. Pensi che il 50% degli studenti italiani, circa un milione di giovani, proviene da famiglie in cui nessuno dei due genitori ha una laurea. Un’opportunità straordinaria per far funzionare “l’ascensore”. Per questo, dobbiamo garantire l’accessibilità, la qualità e la capacità della scuola, sin da quella dell’infanzia, di accompagnare ogni talento».

Cosa non funziona allora dopo laurea in Italia? 
«Basse retribuzioni, scoraggiamento del lavoro femminile, poca innovazione. Anche a questo serve la contaminazione tra università e imprese». 

Lei ha guidato la Crui in una fase delicata, anche dal punto di vista politico. Qual è stata la sfida più grande?
«Rimettere le università al centro delle politiche pubbliche. Per questo abbiamo cercato un dialogo costante con i governi, ma anche con il sistema produttivo. Non si tratta di cedere autonomia, ma di moltiplicare l’impatto».
Proprio in questi giorni è arrivato il via libera ai nuovi contratti di ricerca.

 Lei li ha definiti una svolta strategica.
«Lo sono. Superare gli assegni di ricerca e introdurre contratti più stabili è quanto mai urgente. Finalmente diamo ai giovani ricercatori strumenti adeguati per partecipare ai progetti internazionali e costruire percorsi di carriera. Non è solo un tema tecnico: è una scelta politica, che dice molto su che tipo di Paese vogliamo essere».
 
Che cosa sta facendo la Bicocca per il cambio di passo?
«Abbiamo stanziato 6 milioni di euro di fondi interni per il biennio 2025-2026, destinati esclusivamente ai nuovi contratti di ricerca. Una scelta già deliberata dal cda che ci permetterà di assumere giovani ricercatori e ricercatrici fin dall’autunno 2025. Bicocca consolida così il suo ruolo di polo attrattivo e responsabile, investendo direttamente sul futuro della ricerca».

In Europa si discute molto di come attrarre i ricercatori. La proposta Macron è di creare un’Agenzia europea per l’innovazione strategica, le piace?
«Deve essere l’Europa a muoversi, poi ogni Paese farà la sua parte. Serve una cornice comune per competere con Stati Uniti e Cina».
 
Quali sono i principali laboratori di Bicocca con le imprese?

«Sono moltissimi i progetti in corso. Mi piace citare il primo che è partito durante la pandemia con Intercos, un’azienda leader nello sviluppo di prodotti per la cosmesi.Il progetto NanoCosPha, cofinanziato da Regione Lombardia, coinvolge i dipartimenti di Biotecnologie e Bioscienze e Medicina e Chirurgia. Il dipartimento di Scienza dei Materiali vanta una fitta rete di collaborazioni con imprese sulla sensoristica e sui materiali avanzati. In ambiti diversi, ricordo i lab con Thales Alenia Space, Pirelli, Cirfood, Valore Welfare, Cilea e molti altri».

Come procede il progetto Musa?
«Molto bene direi! Si tratta di una sfida ambiziosa per ripensare il modello di città, a partire dalla sostenibilità e dall’inclusione. MUSA è l’acronimo di Multilayered Urban Sustainability Action, coinvolge anche Statale, Politecnico e Bocconi e a guidarlo siamo noi, la Bicocca. L’obiettivo è trasformare Milano in un laboratorio urbano per sperimentare soluzioni su mobilità, rigenerazione, ambiente, dati, cultura e partecipazione. Bicocca gestisce in particolare il pilastro della sostenibilità sociale: impatto delle politiche urbane nelle periferie, riduzione delle disuguaglianze, accesso alla conoscenza e ai servizi. Sono partiti i primi bandi».

Cos’è Respiro?
«Una tecnologia al servizio dei cittadini. Si tratta di un sensore intelligente, portatile e accessibile, per monitorare la qualità dell’aria. I ricercatore di Bicocca lo hanno sviluppato con ROAD – Rome Advanced District — il distretto di innovazione promosso al Gazometro di Roma da Eni con Acea, Autostrade, Bridgestone, Cisco, Ferrovie e NextChem. Respiro unisce salute pubblica, mobilità sostenibile e citizen science».

Lei ha promosso la Giornata nazionale dell’Università. Perché?
«Per tutto ciò che ci siamo dette fin qui: le università sono spesso percepite come mondi lontani, autoreferenziali. Ma sono ovunque: nei territori, nei laboratori, nelle scuole. Con questa giornata vogliamo raccontare ciò che l’università già fa per il Paese, e ciò che può ancora fare».
 
Da economista, che idea suggerisce sul rapporto tra sapere e crescita?

«Condivido la visione di Daron  Acemoğlu, premio Nobel per l’Economia nel 2024: lui non parla di ricchezza ma di prosperità, un’idea molto più larga di crescita. Che non è solo Pil, prodotto interno lordo».
  
Cosa augura a sua figlia Chiara?
«Quello che sogno per tutte le bambine, le ragazze, le donne italiane, di essere libere di scegliere e di realizzarsi. E di credere nella sorellanza tra donne, che può diventare una rete di sostegno formidabile».

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Un vecchio ideale «Have it all»: carriera, famiglia, amore. Si può avere tutto?
«Certo, perché no? Bisogna combattere il senso di colpa. L’Italia sembra certe volte un Paese fondato sul senso di colpa delle donne. Io esco di casa serena per andare a lavorare se so che sto costruendo un mondo migliore per mia figlia».


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