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Trump VS Harvard | ISPI


Mentre a Roma si tiene il quinto round di negoziati tra Stati Uniti e Iran sul nucleare, e il presidente Donald Trump minaccia l’Europa di dazi del 50% a partire dal primo giugno, negli Stati Uniti gli occhi sono puntanti sullo scontro tra l’amministrazione Usa e Harvard, il più antico e prestigioso tra gli atenei della Ivy League. Kristi Noem, segretario per la Sicurezza Nazionale, ha comunicato all’ateneo “la revoca con effetto immediato della certificazione del Programma Studenti e Visitatori di Scambio dell’Università”. L’azione, precisa il Dipartimento, si applica “agli studenti attuali e futuri” e che “Harvard non può più iscrivere studenti stranieri e gli studenti stranieri già iscritti devono trasferirsi o perdere il loro status legale”. La misura costituisce l’ultima manovra di una significativa escalation, volta a fare pressione sulle università di élite, considerate ‘woke’ e propugnatrici di un’ideologia progressista, e punta a colpire una fonte di finanziamento cruciale per il più ricco tra i college degli Stati Uniti, erettosi a baluardo della resistenza a Trump. La revoca infatti, potrebbe riguardare il 27% degli studenti, circa 6800 tra coloro che pagano le quote più alte dell’intero corpo studentesco. Un colpo micidiale per Harvard, alla quale Trump ha già tagliato 2,2 miliardi di dollari di finanziamenti per le attività di ricerca. Il messaggio è chiaro: il governo ha intenzione di utilizzare tutti gli strumenti a sua disposizione – compreso quello di togliere all’ateneo una fonte di reddito insostituibile e necessaria – per costringere Harvard, e quindi tutte le università, a piegarsi alle sue volontà.

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Colpirne uno per educarne cento?

L’attacco non costituisce solo un’aggressione senza precedenti a uno dei poli di eccellenza dell’istruzione americana, ma è anche rivelatorio di quanto Trump abbia esteso i poteri presidenziali attraverso la nomina di fedelissimi in tutti i ruoli chiave dell’amministrazione. Quello che sta accadendo “dovrebbe essere un avvertimento per tutte le altre università – ha detto Noem in un’intervista a Fox News – Datevi una regolata perché stiamo arrivando”. Noem ha poi accusato la leadership di Harvard di aver creato “un ambiente universitario insicuro consentendo ad agitatori antiamericani e filo-terroristi di molestare e aggredire fisicamente individui, tra cui molti studenti ebrei”. Casi di molestie, è vero, sono stati ammessi dallo stesso ateneo, ma si è trattato di episodi isolati e non tali da giustificare un’invasione di campo così brutale. Inoltre, il Dipartimento per la Homeland Security ha aggiuntoun’altra accusa calunniosa nei confronti di Harvard: quella di collusione col Partito comunista cinese (circa un terzo degli studenti stranieri ad Harvard sono di nazionalità cinese, ndr), ma senza fornire prove o indizi. Pechino, da parte sua, ha condannato l’intera vicenda: “La Cina si è sempre opposta alla politicizzazione della collaborazione nel campo dell’istruzione”, ha affermato un portavoce del Ministero degli Esteri cinese, aggiungendo che la mossa degli Stati Uniti “non farà altro che macchiare la loro immagine e reputazione nel mondo”.

Un boomerang per gli Usa?

Non si è fatta attendere la reazione dell’ateneo, che ha avviato una nuova causa legale contro il governo federale accusato di violare il primo emendamento. Si tratta della seconda azione legale che Harvard muove contro l’amministrazione Usa in poche settimane, dopo quella intentata contro il blocco dei fondi governativi, ritenuto anch’esso una violazione della Costituzione: i finanziamenti, infatti, erano stati interrotti dopo che l’università si era rifiutata di cedere a una serie di richieste presentate dal governo, tra cui smantellare gli accampamenti pro-Gaza eretti dagli studenti, sopprimere programmi dedicati alla diversità e rivedere i criteri di ammissione di studenti e professori anche in base alle loro posizioni politiche ed esposizione pubblica. Anche stavolta, la direzione dell’ateneo ha definito “totalmente illegittima” la decisione: “Siamo pienamente impegnati a garantire a Harvard la possibilità di ospitare studenti e studiosi internazionali, provenienti da oltre 140 paesi e che arricchiscono l’università – e questa nazione – in modo incommensurabile”, ha dichiarato Jason Newton, portavoce dell’università, aggiungendo che revocare i visti agli studenti stranieri e rifiutare quelli per i nuovi ingressi “minaccia di arrecare gravi danni alla comunità di Harvard e al paese”.

Battaglia legale?

A Harvard sono state concesse 72 ore per ottemperare a una serie di richieste in cambio della “possibilità” di riacquistare la possibilità di iscrivere studenti stranieri. Tra queste, fornire al governo tutti i registri disciplinari degli studenti immigrati degli ultimi cinque anni, le registrazioni elettroniche, video o audio di attività “illegali e pericolose o violente” commesse da studenti. Il board dell’università ha rifiutato di ottemperare alla richiesta, mentre un giudice federale della California ha bloccato la decisione dell’amministrazione, che rischia di trasformare in poche ore migliaia di studenti del più prestigioso ateneo americano in Massachusetts in potenziali immigrati irregolari. Il giudice distrettuale Jeffrey White ha scritto che l’amministrazione “probabilmente ha abusato della sua autorità e agito in modo arbitrario e instabile” intimando al governo federale di “arrestare, trattenere o deportare” gli studenti o altre persone coinvolte fino a quando non si raggiungerà una sentenza conclusiva sulla vicenda. La questione promette di diventare il fulcro di un’aspra battaglia legale, ma in qualche modo il danno è fatto. Difficile, infatti, immaginare che l’incognita sui visti non pesi sulla decisione degli stranieri di iscriversi all’ateneo, mentre l’intera vicenda ha enormi implicazioni per circa un milione di studenti internazionali già presenti negli Stati Uniti, coscienti che se Harvard non riuscirà a tenere testa a Trump, difficilmente un’altra università americana potrà farlo.

Il commento

Di Mario Del Pero, ISPI e Sciences Po

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Un altro salto di qualità nell’attacco di Trump alle istituzioni, nelle fattispecie quelle universitarie. Un altro piccolo passo verso l’abisso di una svolta autocratica che questa amministrazione sta fattivamente cercando di promuovere. Nella quale colpire in questo modo Harvard assolve a diverse funzioni. Serve per intimidire, creare un precedente e dare un messaggio, piegando quell’ateneo che per primo ha contrastato i progetti di commissariamento governativo delle università. Gratifica il populismo anti-intellettuale e anti-élite del mondo MAGA. Prendendo di mira gli studenti internazionali, sostanzia il nativismo razzista di Trump e di questo mondo e colpisce quel cosmopolitismo che le grandi università statunitense incarnano e sublimano.



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