C’è ancora pochissima Asia nel portafoglio export delle imprese orafo-gioielliere italiane. Moltissimo rimane quindi da fare per far conoscere e apprezzare i marchi italiani, tra cui quelli del distretto di Vicenza, in aree del mondo sempre più strategiche come l’Estremo Oriente e il Sud Est asiatico.
A fronte delle crescenti politiche protezionistiche degli Stati Uniti e di una domanda europea poco vivace, la diversificazione dei mercati internazionali del lusso italiano deve infatti necessariamente passare da paesi come Cina, India, Indonesia, Filippine, Vietnam. Dove il numero di potenziali clienti che possono apprezzare e permettersi di acquistare il design e la manifattura dei gioielli Made in Italy è in crescita. Ma dove le barriere commerciali e le complessità operative e culturali sono alte e i processi di internazionalizzazione sono difficili per aziende medio-piccole come la gran parte dei produttori italiani e veneti.
In particolare resta residuale per il gioiello italiano il grande mercato cinese, che rappresenta meno dell’1% dell’export diretto di settore. Inoltre, continua a calare lo storico hub commerciale di Hong Kong. Il dato spicca nell’analisi dell’Ufficio Studi di Confindustria Federorafi. Nel 2024 Hong Kong ha comprato per 500 milioni di euro, in calo del 5,6% rispetto al 2023 nonostante l’aumento dei prezzi dei metalli preziosi che incidono molto sul valore delle vendite. Con una quota del 3,2% sull’export orafo-argentiero-gioielliero nazionale, è la settima destinazione mondiale con un ruolo di crocevia rispetto ad altri mercati del Sud Est e del Far East asiatico, tra cui la Cina.
Aumenta quindi l’esigenza per i brand italiani di vendere direttamente nei paesi asiatici. «I brand sono meno in sofferenza – spiega Luigi Marostica, vice presidente all’internazionalizzazione di Federorafi e titolare dell’azienda bassanese Karizia – e la strada è sicuramente quella della valorizzazione della capacità tecnica e creativa del Made in Italy, sviluppando un approccio moderno di comunicazione e marketing e cercando di attirare una nuova generazione di giovani tecnici e professionisti con lo sguardo rivolto al mondo, orgoglio di appartenenza, ambizione ad eccellere e forza per guidare le aziende attraverso le difficoltà della competizione internazionale».
L’export diretto in Cina, intanto, si è fermato nel 2024 a 135 milioni di euro. Cioè lo 0,9% del totale di settore e lo 0,1% del valore globale del mercato interno cinese della gioielleria. Che, secondo il China Jewelry Trends Report 2025 dell’agenzia specializzata CDM – China Digital Marketing, vale oltre 100 miliardi di euro (112 miliardi di dollari nel 2023, di cui il 63% oro, il 18% giada e l’8% diamanti). «Negli ultimi due anni – osserva il marketer vicentino Davide Dal Maso, fondatore di CDM – la Cina ha mostrato una robusta traiettoria di crescita sia come domanda sia come importazioni, superando i livelli pre-pandemici. Oggi rappresenta il 41,5% dei consumi mondiali di gioielleria, cioè il doppo degli Stati Uniti e il quintuplo dell’Europa».
Fondamentale per i marchi italiani è essere presenti non solo nei canali on line, ma anche fisicamente nei negozi attraverso accordi con distributori e catene commerciali locali. Una strategia che sta portando avanti per esempio Fratelli Bovo di Trissino, puntando sul brand di alta gamma Peruffo Jewelry con un’area dedicata all’interno di uno store nel cuore di Shanghai e attraverso eventi promozionali privati rivolti ai consumatori finali. Target primario sono le giovani donne ad elevata capacità di spesa e più sensibili ai prodotti di lusso occidentali. «Con questo approccio stiamo crescendo nonostante un po’ di rallentamento generale del mercato interno – commenta Enrico Peruffo – ma certamente non è facile perché anche i giovani che fino a qualche anno fa si ispiravano di più al gusto occidentale, oggi sono orientati su prodotti tradizionali cinesi».
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