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a rischio il 18% dell’economia




Secondo il rapporto annuale Istat, l’Italia rischia gravi perdite economiche a causa della crisi ambientale, con un impatto fino al 21,3% sull’industria. La transizione verde non rappresenta solo una necessità, ma un’opportunità in termini di “maggiore produttività e redditività”, scrive l’istituto


Invertire la rotta per salvare l’economia. Senza un cambiamento nei modelli di produzione e consumo l’Italia, paese fragile e per questo ancora più esposto agli impatti della crisi ambientale e climatica, rischia di vedere compromesso il 18,2% del valore aggiunto generato dal sistema economico, con picchi del 21,3% nell’industria. È quanto emerge dalle pagine del primo capitolo del rapporto annuale di Istat, dedicato non a caso ad ambiente ed economia, dimensioni sempre più intrecciate e inestricabili anche nelle riflessioni dell’Istituto nazionale di statistica.

Una relazione “biunivoca – si legge nel rapporto – l’ambiente fornisce energia, materie prime, suolo e altre risorse funzionali allo svolgimento delle attività produttive; per contro, le imprese che adottano un modello economico di tipo lineare influiscono sull’ambiente per lo più in senso negativo, con la produzione di rifiuti, l’inquinamento, lo sfruttamento delle risorse naturali e contribuendo al cambiamento climatico in atto. Al modello di sviluppo di tipo lineare si contrappone quello di tipo circolare, orientato a un utilizzo più sostenibile delle risorse naturali garantendo anche, tramite processi di innovazione e l’adozione di appropriati paradigmi aziendali, un ritorno economico all’impresa in termini di maggiore produttività e redditività“.

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Gli investimenti e le strategie per la transizione verde, insomma, più che un costo possono diventare fattore di competitività, dice Istat. Soprattutto sul piano energetico, dove la maggiore efficienza nei consumi e l’incremento di quote rinnovabili oltre a ridurre l’impronta ambientale e carbonica del sistema energetico lo sganciano dalla dipendenza dalle importazioni di risorse fossili dall’estero, principale fardello sulle spalle delle imprese italiane. Su questo fronte, rileva l’istituto, tra il 2005 e il 2024 l’Italia ha triplicato la produzione da fonti rinnovabili, fino a circa 130 TWh, ma resta ancora indietro rispetto ai quasi 380 in Germania, e agli oltre 160 in Spagna e 150 in Francia dove, però, il nucleare concorre rispettivamente per ulteriori 55 e 380 TWh circa. “Sebbene il ricorso alle fonti rinnovabili per la produzione di energia elettrica sia, dunque, in costante aumento, permane la dipendenza dalle fonti tradizionali e, soprattutto, dall’estero per l’approvvigionamento complessivo di energia”.

Complessivamente, rileva Istat, i numeri segnalano per l’Italia un incoraggiante tendenza al disaccoppiamento tra pressioni ambientali e crescita economica. Confrontando il 2023 con il 2008, a fronte di una leggera crescita del PIL, in Italia si è avuta una riduzione del 23,1% dei consumi di energia delle unità residenti, del 32% delle emissioni climalteranti e del 40% circa del consumo materiale interno. Ancora più marcato il dato sul breve periodo: rispetto all’anno precedente, nel 2023 a fronte di una crescita sia pure modesta del PIL (lo 0,7%) sono consumo di energia (-4,5%), emissioni (-5,3%) e consumo materiale interno (-6,4%). Evidenze che, chiarisce Istat, “seppur legate a fattori contingenti, si innestano su un andamento di lungo periodo complessivamente favorevole degli indicatori selezionati”.





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