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Più paura che coraggio nella legge sulla partecipazione dei lavoratori


È stata approvata nei giorni scorsi la legge, arrivata in Parlamento come proposta di iniziativa popolare promossa dalla Cisl, sulla partecipazione dei lavoratori all’impresa. Con essa trova finalmente attuazione legislativa il principio della partecipazione previsto dalla Costituzione, sebbene vada osservato che, pur in mancanza di una cornice legislativa, non sono mancati fino ad oggi in Italia numerosi casi di imprese nelle quali la partecipazione rappresenta già una realtà.

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Come prevedibile, data l’attuale grave divisione del campo sindacale e la polarizzazione del confronto politico, i commenti sulla nuova legge sono risultati anch’essi polarizzati: da una parte si è parlato con abbondante enfasi di svolta storica, mentre dall’altra si è stroncata senza appello la legge appena approvata in quanto pericoloso vulnus inserito nel sistema delle relazioni industriali.

Qui si vuole proporre una lettura diversa che, differentemente da gran parte del resto dei commenti, si interroga sulla direzione e sulle ragioni delle modifiche introdotte dal Parlamento rispetto alla proposta originaria della Cisl.

Una legge priva di un carattere impositivo come questa sulla partecipazione può avere come unico scopo quello di imprimere una “spinta gentile” al sistema, valorizzando le best practices emerse dalle esperienze già realizzate e indicando alcuni criteri che, sebbene non vincolanti, si ritengono qualificanti nell’auspicabile moltiplicazione di iniziative di partecipazione.

Tutto ciò, ci si augura, dovrebbe ampliare gli spazi di cooperazione nelle relazioni industriali e favorire un’innovazione nella cultura sindacale e imprenditoriale, soprattutto di quei settori dell’imprenditoria italiana che continuano a seguire schemi novecenteschi di relazione tra capitale e lavoro: schemi di matrice fordista, nei quali si presume che un’organizzazione calata dall’alto e il relativo controllo gerarchico possano garantire l’efficienza, oppure schemi familistici nei quali convivono aperture anche generose ma all’insegna dell’improvvisazione o del paternalismo e una visione gelosa dell’impresa, da proteggere sempre da interferenze “indebite”.

Tuttavia, come si è già avuto modo di argomentare a seguito del passaggio alla Camera1, se si confronta la legge approvata con la proposta della Cisl, non si possono non notare modifiche il cui effetto complessivo è quello di smussare e depotenziare. Anziché incoraggiare la diffusione di modelli partecipativi qualificati, il testo approvato dà l’impressione di voler frenare la partecipazione, forse perfino di temerla.

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La partecipazione dei lavoratori, in particolare quella gestionale, organizzativa e consultiva, sulla quale qui concentriamo l’attenzione, ha un sostanziale fondamento economico nella necessità di coinvolgere i lavoratori nelle scelte di impresa. Tale esigenza è tanto più avvertita in contesti attraversati da cambiamenti di mercato, organizzativi e tecnologici profondi e dall’esito incerto per i lavoratori. Il coinvolgimento mette questi ultimi in una posizione un po’ meno passiva di fronte al cambiamento, consente loro di contribuire attivamente alle scelte di impresa e, in particolare, facilita l’apporto della conoscenza in loro possesso, che rappresenta una risorsa primaria nei processi di innovazione e per rafforzare l’impresa nel lungo termine.

Il ruolo della partecipazione può oggi risultare decisivo all’interno delle transizioni digitale ed energetica che l’economia sta affrontando. Qualora i lavoratori si trovino nella posizione di subire passivamente scelte calate dall’alto e i relativi costi, è più facile che divengano un fattore di resistenza al cambiamento. Al contrario, il loro coinvolgimento mediante forme ben definite di partecipazione può facilitare la ricerca di soluzioni condivise e orientare le scelte dell’impresa verso obiettivi di lungo periodo. Si pensi a cosa significa l’introduzione dell’intelligenza artificiale nelle imprese in termini di necessità di definire gli obiettivi del suo impiego e le conseguenze sul lavoro.

Ma affinché la partecipazione possa generare i suoi effetti benefici è necessario che essa mantenga i caratteri suoi propri che ne fanno qualcosa di diverso rispetto agli altri modi di regolazione dei rapporti tra lavoratori, managers e proprietà dentro l’impresa – la legge, la contrattazione collettiva e le politiche aziendali del personale – ognuno con le sue peculiarità e i suoi limiti.

La legge, evidentemente, può stabilire solo requisiti generali ma non interviene nelle scelte della singola impresa. La contrattazione collettiva, dal canto suo, segue una logica rivendicativa là dove la logica propria della partecipazione è di tipo cooperativo; inoltre, la contrattazione collettiva consente ai lavoratori di esprime una voice “a valle” delle scelte di impresa, nel momento della distribuzione dell’eventuale surplus, mentre con la partecipazione i lavoratori hanno accesso agli organi di governance e ciò attribuisce loro una possibilità di voice “a monte” delle scelte di impresa; infine, la contrattazione collettiva è necessariamente discontinua mentre la partecipazione si svolge con continuità lungo la vita dell’impresa.

Ma la partecipazione si distingue anche dalle politiche del personale. Anche queste possono far leva sul coinvolgimento dei lavoratori ma rimangono pur sempre un’iniziativa dipendente dalla volontà dell’impresa e definita unilateralmente là dove la partecipazione scaturisce tipicamente da una volontà condivisa ed è regolata congiuntamente dalle parti.

Ora, come si è detto, la legge approvata ha introdotto modifiche non trascurabili rispetto alla proposta presentata dalla Cisl. Tra queste, è venuto meno il riferimento prevalente alla contrattazione collettiva, alla sua “intelligenza” e alla sua capacità di bilanciare gli interessi delle parti, come “fonte” privilegiata da cui scaturisce l’iniziativa della partecipazione e la definizione delle sue modalità. Al contrario, sembra quasi che si voglia collocare la partecipazione nell’ambito delle decisioni delle imprese. Là dove, nella proposta originaria, si prevedeva che sono gli accordi collettivi a decidere la partecipazione, nel testo approvato figurano gli statuti aziendali. Analogamente, per quanto riguarda la presenza dei rappresentanti dei lavoratori nei consigli di sorveglianza, di amministrazione o di controllo, ma anche la formazione delle commissioni paritetiche così come le forme di partecipazione organizzativa nelle imprese sotto i 35 addetti, la legge approvata suggerisce che esse siano decise dall’impresa anziché il risultato di un accordo collettivo. Il numero di rappresentanti dei lavoratori nel consiglio di sorveglianza, pari ad almeno un quinto dei componenti del consiglio nelle previsioni della proposta iniziale, secondo la legge può essere ridotto anche a uno solo. Per quanto riguarda la cosiddetta partecipazione consultiva, la proposta Cisl stabiliva un diritto dei rappresentanti dei lavoratori a essere informati e preventivamente consultati in merito alle scelte aziendali almeno una volta l’anno, mentre il testo approvato riduce questo diritto a una mera eventualità. Inoltre, è stata soppressa la consultazione obbligatoria dei lavoratori nelle pubbliche amministrazioni, nelle società a partecipazione pubblica e nel settore del credito, dove invece era prevista nella proposta originaria.

Gli effetti concreti di queste modifiche possono apparire limitati in quanto non viene meno in linea di principio la possibilità di introdurre e regolare liberamente la partecipazione nelle aziende mediante accordi collettivi, così come già accadeva in assenza di una legge. E tuttavia è indubbio che nella legge approvata viene sfumato il suo legame forte e vitale con la contrattazione collettiva. Anziché indicare alcuni criteri qualificanti della partecipazione, in linea con le best practices, la legge preferisce ridurne i requisiti e la portata. Di conseguenza, la sua spinta gentile è meno percepibile e meno utile di quanto auspicabile e di quel che sarebbe stata se si fosse recepita la proposta originaria arrivata in Parlamento. La sua capacità di ampliare gli spazi di cooperazione e di favorire un rinnovamento della cultura sindacale e imprenditoriale del nostro paese risulta, purtroppo, indebolita.

Non si fatica a intravedere nella legge approvata un atteggiamento di difesa, il riflesso di una sostanziale e perdurante paura della partecipazione.

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Giuseppe Croce



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