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Istat certifica produttività ancora debole “Al 30% delle imprese manca ricambio generazionale”


“Nelle attività economiche, le dinamiche generali della popolazione e il posticipo dell’età pensionabile hanno determinato, tra il 2011 e il 2022, un progressivo invecchiamento degli addetti e un prolungamento della carriera lavorativa per i più anziani”. Lo ha detto il presidente dell’Istat Francesco Maria Chelli durante la presentazione del Rapporto annuale dell’istituto oggi alla Camera dei Deputati.

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Tra il 2011 e il 2022, spiega l’Istat, è quasi raddoppiata l’incidenza dei lavoratori di 55 anni e più in rapporto a quelli con meno di 35 anni, da uno su due (il 53% per il complesso degli addetti, il 29% per i soli dipendenti) a un rapporto quasi paritario (il 98,6%, e il 65,5% per i soli dipendenti).  

Le imprese a rischio di mancato ricambio generazionale (dove il rapporto tra addetti di 55 anni e più e di meno di 35 anni è superiore a 1,5), rileva il rapporto, sono il 30,2%.   

Tuttavia, questa condizione di criticità è fortemente concentrata nelle imprese con meno di tre addetti (caratteristiche di molte attività dei servizi e in cui l’occupazione coincide in gran parte con l’autoimpiego), dove tocca il 35,1% delle unità economiche, scendendo al 17,4% in quelle tra 3 e 9 addetti, al 3,7% nelle piccole imprese tra 10 e 49 addetti, e ad appena lo 0,8% in quelle di medie e grandi dimensioni. 

Dal 2000 Italia cresce poco, dinamica produttività molto debole

L’Italia, in particolare dopo il 2000 è stata caratterizzata da una crescita economica contenuta e da una dinamica molto debole della produttività. Dal 2000 al 2024, il Pil in Italia è aumentato del 9,3 per cento in termini reali: nello stesso periodo la crescita è stata di circa il 30 per cento in Germania e Francia e di oltre il 45 per cento in Spagna. Questo è il quadro complessivo che emerge dal Rapporto annuale dell’Istat. 

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Tra il 2000 e il 2024 l’occupazione è aumentata in misura analoga a Francia e Germania, ma trainata da settori dei servizi a ridotta produttività e alta intensità di lavoro. Il peso delle professioni qualificate nell’occupazione è cresciuto, anche se in misura minore rispetto alle altre grandi economie europee, e negli anni più recenti è aumentata l’importanza dell’occupazione in professioni Ict, fondamentale per la competitività.

Dal lato dell’offerta, le generazioni che si sono affacciate sul mercato del lavoro sono decisamente più istruite di quelle che le hanno precedute ed è aumentata in misura altrettanto notevole la partecipazione femminile. Per la perdita sostanziale di potere d’acquisto associata all’inflazione nel 2021-2022, il reddito medio da lavoro per occupato nel 2024 risulta inferiore rispetto al 2004. Nello stesso periodo, l’aumento della partecipazione al lavoro, la riduzione della dimensione delle famiglie e la maggiore diffusione della proprietà della casa d’abitazione hanno più che compensato tale riduzione in termini di reddito familiare equivalente.

Considerando il periodo tra il 2011 e il 2022 sono invece cresciuti sia la quota di adulti con redditi da lavoro, sia il reddito mediano reale. 

Le disuguaglianze territoriali restano forti, con incrementi ampi di occupazione nelle grandi città metropolitane del Centro-nord, dove anche la popolazione ha continuato ad aumentare, e minori o negativi in parte del Mezzogiorno e alcune aree del Centro-nord in declino industriale.

L’istruzione continua a garantire un premio salariale, crescente nell’arco della vita lavorativa, ma la mobilità sociale è complessa, e condizionata dalle caratteristiche della famiglia d’origine, a partire dal livello e dal tipo di istruzione conseguito. Infine, l’invecchiamento della forza lavoro e il rafforzamento del capitale umano hanno inciso in modo differenziato sul sistema produttivo. Le imprese con giovani qualificati hanno maggior successo economico, mentre il ricambio generazionale costituisce un problema per quelle più piccole e meno efficienti.



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