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difficile da pignorare

 

burocrazia affossa-imprese e investimenti al palo


Siamo sicuri che sia tutta colpa dei dazi? Le stime al ribasso dell’economia europea sono state spiegate dal commissario al Commercio Dombrovskis come l’effetto della guerra commerciale in corso. Per il Pil dell’Eurozona è previsto un +0,9% nel 2025. Per l’Italia +0,7%. Effettivamente l’export, che dovrebbe rimanere contenuto a +0,7%, quest’anno incide parecchio. Tant’è che, in previsione del riassetto dei mercati, nel 2026 se ne prospetta un’accelerata del 2,1%. Tuttavia, assegnare ogni responsabilità a Trump è pretestuoso. Certo, ha complicato le cose. Ma i mali della nostra economia non nascono da un cartellone tariffario sventolato nei cieli di Washington neanche due mesi fa. Tanto più che il Liberation Day del 20 marzo era stato preceduto, a febbraio, da un documento Ue su cui la Commissione annotava gli step per la ripresa del manifatturiero. “La Bussola per la competitività” pretendeva di essere la messa a terra delle indicazioni di Mario Draghi, unite alle esigenze delle filiere produttive europee. Nello scrivere quel dossier, gli analisti a Bruxelles già sapevano le intenzioni di Trump. Forse non nei dettagli, ma una previsione di quel che sarebbe successo era palese.

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Ora, ammesso che la Bussola non potesse azzeccarci, le priorità che si dava restano comunque al palo. Il Green Deal così come era stato concepito dalla Commissione precedente è in stand by. Scelta che ha raccolto consenso tra le imprese di tutta Europa, ma non si è più parlato di un suo sostituto. Il Clean industrial deal, il patto per un’industria pulita, si era impegnato ad abbattere burocrazia e oneri per le forze produttive. Sul piano energetico, la guerra ha spinto l’Ue a cambiare cavallo. Abbandonando il gas di Putin, per buttarsi tra le braccia del Gnl americano, oltre che di altri produttori non meno autoritari di Mosca. Questa conseguente diversificazione delle forniture, però, non ha stimolato gli investimenti nelle rinnovabili – anzi, la Germania sta tornando al nucleare – e nemmeno riaperto una campagna di ricerca di risorse nel sottosuolo europeo. Di fronte al “drill baby, drill” c’è infatti chi ha detto che tanto varrebbe cominciassimo anche noi a bucare.

Ben più preoccupante, se possibile, è il silenzio sul fronte terre rare. Il nuovo stop cinese all’export risulta essere la risposta ai dazi Usa sui chip Huawei. Entrambe le mosse violano chiaramente gli accordi di Ginevra di dieci giorni fa. Però Bruxelles peccherebbe di superbia se pensasse che si tratta dell’ennesimo sgarbo tra i due. Vale l’adagio per cui “se non sei seduto al tavolo, sei nel menù”. È quanto sta succedendo all’Ue, che non solo è priva di commodity strategiche (che dovrà importare dalla Cina, visto che quelle ucraine sono già state appaltate) ma che sarà anche presto la valvola di sfogo della sovrapproduzione Made in China una volta chiuso il mercato Usa e saturi gli altri destinatari.

Ecco, la Bussola, ma ancor più il piano Draghi, queste cose le aveva previste. E dava pure indicazioni per come pararle. In un ecosistema privo di risorse naturali, si sottolineava l’urgenza di puntare il massimo sul capitale umano. Eppure, nonostante l’opportunità di intercettare i cervelli Usa non trattenuti dall’amministrazione Trump, la commissaria Ue per la Ricerca, Ekaterina Zaharieva, ha reso noto che una proposta di legge per rendere il mercato europeo più interessante per chi fa ricerca è prevista solo nel terzo trimestre del 2026. Non è tutto. L’invito a rendere l’Europa nuovamente attrattiva agli investimenti sembra essere caduto nel vuoto. «Il capitolo di spesa dedicato all’innovazione per i prossimi anni è soltanto l’8% del budget totale Ue. Vorremmo fare di più ma le nostre risorse sono limitate, ci serve un mercato dei capitali forte per raggiungere risultati importanti», spiegava giorni fa Caroline Vandierendonck, responsabile della Task force della Commissione Ue per il Bilancio. Lamentele del genere sono lecite da parte di un osservatore esterno. Perfino di un europarlamentare. Non per bocca dei decisori, il suo mandato è proprio quello di annichilire queste difficoltà.

Altro che dazi, quindi. O Trump, o la stessa guerra in Ucraina, che inevitabilmente porta la Commissione a distrarsi da altri impegni. Quella europea è una bussola impazzita che rischia di mandarci a sbattere. Contro una muraglia.

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