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Referendum dell’8 e 9 giugno: cittadini al voto


Per i quattro referendum sul lavoro sono state raccolte 4 milioni di firme, 637mila firme per il quesito sulla cittadinanza. Il referendum, previsto dall’art.75 della Costituzione italiana, è l’istituto giuridico democratico per eccellenza in quanto i cittadini sono direttamente chiamati a dare il loro parere sull’abrogazione di alcune leggi o parte di esse, restando in capo al Parlamento il potere legislativo.  Affinché il referendum sia valido deve essere raggiunto il quorum, ovvero deve votare la maggioranza degli aventi diritto al voto, il 50% più uno pari a25 milioni e mezzo di italiani.

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Votare è un dovere civico, il quorum

Sia Girimonte, segretario della sede PD dell’Alberone, che Natale Di Cola, segretario CGIL per la Regione Lazio, che Marco Pacciotti Coordinatore Dipartimento welfare e immigrazione del PD nazionale, riuniti …ci tengono a sottolineare che quelli dell’8 e 9 giugno non sono solo referendum politici ma vogliono richiamare l’attenzione di tutta la libera opinione pubblica. I Referendum sul lavoro vogliono ristabilire alcuni diritti fondamentali connessi al mondo del lavoro, un tema che negli ultimi anni è, troppo spesso, passato in secondo piano ma anche sollecitare un dibattito sulla dignità connessi al lavoro, sempre più declassato al rango di merce. Tutto è collegato, diritti, lavoro e cittadinanza, il richiamo alla Costituzione ha un senso, bisogna ricordare ai riluttanti e disillusi cittadini che, come recita l’art 48 della Costituzione, “Il voto è personale ed eguale, libero e segreto. Il suo esercizio è dovere civico”.

Ridare dignità al lavoro, una storia come le altre, il terzo quesito

Per comprendere quanto è stato perso in materia di dignità del lavoro, soprattutto nei posti occupati dalle donne e dai giovani, vale la pena di accennare ad una vicenda reale ma uguale a tante altre. Maria è una giovane donna, in cerca di un primo lavoro. Entra in contatto con un’agenzia interinale e, dopo una settimana, riceve un’offerta di lavoro. le viene fatto un contratto a tre mesi al termine dei quali viene rinnovato per altri tre mesi. Al termine dei sei mesi con la società interinale, Maria viene assunta direttamente dall’azienda per cui ha lavorato. Il contratto è sempre per tre mesi, poi altri tre mesi e ancora tre mesi. In totale 9 mesi, un altro rinnovo di tre mesi e sarebbe obbligatorio per l’azienda mettere la causale dell’assunzione a termine. Invece, Maria viene riconfermata per altri due mesi per un totale di 11 mesi. Dopodiché, le viene comunicato con un sms che il contratto non sarà rinnovato. Maria ha lavorato per l’azienda 17 mesi.
La vicenda di Maria è emblematica ed è la ragione per cui il terzo quesito chiede l’abrogazione dell’attuale legislazione e debba essere obbligatoria l’apposizione della causale per qualsiasi contratto a termine/ tempo determinato.

Il coinvolgimento dei giovani, i tre nemici da sconfiggere

Le norme che regolamentano il mercato del lavoro, introdotte nel 2015, colpiscono soprattutto le nuove generazioni, eppure, i giovani sono quelli più difficile da coinvolgere e da convincere. Avere il potere di poter incidere sulle leggi, riportare il diritto nel mondo del lavoro significa soprattutto proteggerlo dalle infiltrazioni mafiose.
Purtroppo, bisogna lottare sulle resistenze dei cittadini, basti pensare che in occasione delle ultime elezioni hanno votato meno del 50% degli elettori. Paura (potrebbe andare peggio), disgregazione sociale (penso a me e alla mia famiglia) e sfiducia (tanto non cambia niente) sono i tre nemici da sconfiggere. 

I diritti non sono privilegi

I diritti vanno esercitati altrimenti si perdono, uno alla volta. “I diritti rischiano di diventare privilegi” dice Pacciotti “mentre invece dovrebbero creare opportunità e dare dignità”. Comunque vada, se si raggiungerà il quorum, sarà una vittoria, “questa dei referendum” prosegue Pacciotti “è una battaglia culturale, rivendicare i diritti che hanno permesso la crescita dell’Europa e dell’Italia”.

La vera partita inizia il 10 giugno

Natale Di Cola, segretario CGIL Lazio insiste sul fatto che bisogna convincere chi non c’è, “La storia del nostro Paese insegna che dopo i referendum, a prescindere dal risultato, il Parlamento ha legiferato e legifererà, il lavoro oggigiorno è ridotto al rango di merce ed è un lavoro povero, precario ed insicuro che non ha più il compito di formare i giovani; “la vera partita” sostiene Di Cola “inizierà il 10 giugno, quando il Parlamento dovrà considerare il lavoro non solo una merce ma un diritto, tutto dipende dalla partecipazione dei cittadini”.

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I quesiti referendari

Oltre al terzo quesito, gli altri tre cui i cittadini verranno chiamati a votare sono relativi a misure e provvedimenti del Jobs Act nel quadro della legge delega 183/2014. Nello specifico:1) l’abrogazione del provvedimento che esclude il reintegro del lavoratore ingiustamente licenziato (il licenziamento riconosciuto illegittimo da un giudice) ; 2), in caso di licenziamento senza giusta causa è il giudice a stabilire il risarcimento monetario del lavoratore (tutela di coloro che lavorano nelle piccole imprese, la legge riconosce un risarcimento di sei mensilità, anche in considerazione della mutata realtà lavorativa in cui imprese piccole come le start up hanno profitti da grandi imprese) ; 3), la responsabilità della sicurezza resti a carico di chi avvia l’appalto e non per ingessare il sistema ma perché subappaltare un lavoro è diventata la regola generando la necessità di una responsabilità “madre”.

Il quinto quesito sulla cittadinanza

Il quinto quesito è quello che chiede l’abrogazione dell’art. 9, legge 91 del febbraio 1992, che innalzava a dieci anni il periodo di residenza minima dei lavoratori stranieri extra UE, per richiedere la cittadinanza italiana, Restano invariati tutti gli altri requisiti per l’ottenimento della cittadinanza che di norma, viene riconosciuta dopo tre anni dalla richiesta. Non si tratta di un automatismo ma comunque, di una concessione che lo Stato fa al lavoratore straniero.

Anche i deputati e i senatori sono lavoratori con un contratto a termine

Chi vota, vota per i suoi diritti e per il futuro ed ottempera a suo dovere. Anche chi ci governa, i partiti, i deputati e senatori sono in fondo dei lavoratori a termine, i cittadini sono i loro datori di lavoro, votando non solo rispettano ed onorano il lavoro dei padri costituenti ma possono incidere sull’attività di coloro che governano e giudicare il lavoro che svolgono.

Livia Gorini
(19 maggio 2025)

 

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