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Ex Ilva, via al nuovo sciopero durante le trattative con Baku


La questione ex Ilva ha smesso da tempo di essere solo industriale. È diventata un nodo politico, economico e sociale che si stringe attorno a Taranto e all’intero Paese. Mentre i colloqui con Baku Steel restano in corso, il ministro delle Imprese Adolfo Urso ha ammesso che il piano di rilancio va riscritto, partendo da una realtà molto diversa rispetto a quella immaginata sulla carta. Tra incidenti, cassa integrazione raddoppiata e un’industria che viaggia a metà regime, si apre una fase di transizione lunga e piena di incognite.

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In ballo c’è la trasformazione profonda dello stabilimento, con l’adozione dei forni elettrici, il gas come fonte e una nave rigassificatrice che dovrà diventare parte dell’infrastruttura portuale. Nel frattempo, sindacati, imprenditori e attivisti chiedono risposte concrete su occupazione, sicurezza e futuro energetico. Il tavolo è aperto. I nodi sul tavolo anche.

Sindacati sul piede di guerra: sciopero nazionale il 21 maggio

Fim, Fiom e Uilm hanno proclamato quattro ore di sciopero in tutti gli stabilimenti del gruppo per protestare contro l’assenza di scelte chiare da parte del governo. Il clima di incertezza viene definito “insostenibile” dalle sigle, che chiedono interventi rapidi e concreti per salvaguardare occupazione e sicurezza.

La mobilitazione si svolgerà mercoledì 21 maggio, in concomitanza con la riunione presso la Presidenza del Consiglio, dove è stato convocato un tavolo permanente per discutere le sorti del polo siderurgico. I sindacati chiedono risposte precise sull’incidente avvenuto a Taranto, sull’aumento della cassa integrazione, e sullo stato delle trattative per la cessione dell’azienda. Secondo Fim, Fiom e Uilm, si rischia di compromettere il futuro di circa 20.000 addetti tra diretti e indiretti.

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Confindustria rilancia: l’acciaio va difeso, non abbandonato

Anche Confindustria ha preso di petto la situazione. Per il presidente Emanuele Orsini, perdere un sito industriale del genere sarebbe un autogol clamoroso per l’intera filiera dell’acciaio.

“Sarebbe una pazzia perdere un’impresa e un’industria così importante per essere competitivi”, ha dichiarato.

Il presidente degli industriali torna così a battere su un punto caro a tutto il comparto manifatturiero: senza acciaio prodotto in casa, i contratti decennali delle imprese italiane rischiano di reggersi sul nulla. Il rischio è quello di ritrovarsi con container in arrivo da Cina e India mentre a Taranto si spegne l’ultima brace.

L’allarme degli attivisti: “Impianto pericoloso”

Il movimento Giustizia per Taranto ha scritto direttamente ai potenziali acquirenti dell’impianto, tra cui Baku Steel, Baosteel e Jindal. La missiva denuncia la pericolosità degli impianti sia per chi ci lavora che per chi abita nei pressi dello stabilimento. Secondo gli attivisti, l’ex Ilva produce solo perdite economiche e rischi sanitari.

Ritardi sugli interventi e autorizzazioni ancora bloccate

A complicare ulteriormente la situazione è arrivata la decisione del Consiglio di Stato di annullare la gara per il nuovo impianto destinato alla produzione di preridotto, materiale considerato chiave per la transizione green dell’acciaieria.

Urso ha ammesso che gli interventi urgenti per mettere in sicurezza l’impianto sono rimasti impigliati nella solita rete di autorizzazioni lente. “Sono passati ormai 12 giorni e alcune autorizzazioni non sono state ancora concesse”, ha detto, lasciando intendere che non tutto è sotto controllo. Per tentare di salvare il salvabile, il ministro ha annunciato nuovi incontri: uno con le imprese dell’indotto, l’altro con i sindacati, per provare a contenere l’impatto sulle persone che ogni giorno entrano in fabbrica. L’intenzione è quella di gestire il calo della produzione senza lasciare a terra i lavoratori e, allo stesso tempo, preparare un piano B occupazionale prima che l’emergenza diventi struttura.

15 progetti alternativi per rilanciare Taranto

Nel frattempo, il governo lavora a un piano parallelo per l’area tarantina. Durante un tavolo con le imprese dell’indotto, sono emerse 15 proposte industriali che spaziano dalla carpenteria navale alle energie rinnovabili, fino alla creazione di un’infrastruttura per il calcolo ad alte prestazioni. Il potenziale è di oltre 5mila nuovi posti di lavoro, ma servirà formare le competenze necessarie per affrontare la transizione.





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