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Reti elettriche: l’ora dell’adeguamento per l’Europa? 


Nel dibattito pubblico sulla transizione dei sistemi energetici resta troppo spesso un elefante nella stanza: l’adeguamento delle reti elettriche. Cavi, inverter, trasformatori, centraline: è il lato meno “interessante” della decarbonizzazione, ma essenziale quanto le pale eoliche e i pannelli solari. Il blackout in Spagna ha smosso le coscienze, come un elefante – sempre lui – in una cristalleria. 

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L’avvento delle rinnovabili costringe a cambiare il paradigma della rete: prima composta da un grande cuore – le centrali di generazione – che pompava l’energia attraverso una ramificazione di arterie, vene e vasi sanguigni fino alle industrie e abitazioni; oggi, invece, i punti di generazione si sono moltiplicati – solo in Italia sono oltre un milione – e la rete si è così ramificata anche a monte, oltre che a valle. Le rinnovabili richiedono inoltre infrastrutture differenti, per la loro natura: inverter, cavi di trasmissione a corrente continua (anziché alternata, come nelle centrali tradizionali) e grandi impianti di accumulo per stoccare l’energia generata da sole e vento. 

Nell’Unione Europea le reti elettriche non sono adeguate agli obiettivi di decarbonizzazione. Entro il 2030 secondo la Commissione Europea serviranno oltre 580 miliardi di euro per renderla all’altezza. Per i rappresentanti dell’industria ancora di più: fino a 650 miliardi. Le reti europee sono tra le più obsolete al mondo, anche per ragioni storiche: secondo l’Agenzia Internazionale per l’Energia, quasi la metà degli elettrodotti ha più di vent’anni. Ma l’arretratezza non deriva solo dal peso del passato: in Europa mettere in piedi una linea ad alta tensione richiede in media otto anni tra autorizzazioni e gare d’appalto, contro i tre in India e l’anno e mezzo in Cina. La Commissione ha fissato l’obiettivo di raggiungere almeno il 15 per cento di capacità di scambio sovranazionale di elettricità – rispetto alla potenza installata – entro la fine del decennio. La fotografia attuale è a macchie di leopardo: 14 Paesi hanno già superato questa soglia (più semplice da raggiungere per gli Stati continentali attraversati dalle grandi dorsali elettriche), mentre 8 sono ancora sotto il 10 per cento. L’Italia si trova a metà strada, nonostante i numerosi collegamenti attivi con il resto d’Europa e i nuovi in fase di costruzione con Tunisia, Montenegro e Corsica. 

Con reti più capillari e interconnesse si sarebbe probabilmente evitato il blackout in Spagna e Portogallo di fine aprile, per quanto le cause non siano ancora note. La penisola iberica è probabilmente l’area del continente più isolata – ha solo il 2 per cento di capacità di scambio, ben al di sotto dell’obiettivo UE – per via della sua morfologia ma anche di precise scelte politiche che in passato hanno ostacolato gli investimenti. Essere un’isola energetica ha permesso a Spagna e Portogallo di risentire meno della crisi energetica del 2021 e 2022, ma questa volta gli si è ritorto contro. Pochi secondi dopo la disconnessione di due impianti fotovoltaici in Spagna, è saltato automaticamente anche il collegamento ad alta tensione con la Francia per evitare ripercussioni nel resto d’Europa. Se fosse stato in grado di trasmettere maggiore potenza, avrebbe potuto garantire più tempo all’operatore della rete spagnola per attivare le dovute contromisure. 

Reti più efficienti possono anche garantire prezzi dell’elettricità inferiori, convogliando l’energia da dove è in eccesso a dove ve ne è più bisogno – soprattutto oggi, in assenza di una tecnologia matura per gli accumuli (idroelettrico a pompaggio, batterie, idrogeno) in cui poter immagazzinare l’energia quando in eccesso per poterla consumare in un secondo momento. L’attuale condizione di stallo è ben esemplificata dal paradosso della Norvegia. Oslo gode di prezzi elettrici mediamente bassi, grazie alla forte presenza di idroelettrico e all’ampia disponibilità di idrocarburi. Ma nel corso del 2024 il Paese ha subito improvvisi rincari delle bollette, dovute all’assenza di correnti di vento sopra il Mare del Nord. Questo ha provocato una forte domanda di elettricità norvegese in Germania e Danimarca, obbligando Oslo ad accendere le costose centrali a gas e petrolio per soddisfare la richiesta. I due partiti di maggioranza hanno così proposto di disconnettere il Paese dalla rete elettrica europea. Anche la Svezia, dal canto suo, è recalcitrante a costruire un cavo sottomarino con la Germania, per evitare lo stesso destino. 

Senza reti, il futuro rinnovabile è impossibile. E con esso, anche la riduzione delle bollette promessa a cittadini e imprese europee. Ma costruire una rete elettrica efficiente e capillare richiederà ingenti investimenti, che in parte dovranno essere coperti dalle stesse bollette degli europei. La decarbonizzazione – più che mai necessaria per mitigare la crisi climatica – non è un pranzo di galà. 

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