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Le imprese italiane alla ricerca della “Terza Via”


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Non solo guerre, ma anche ombre sui temi della sostenibilità. In un panorama globale segnato da una persistente instabilità, le aziende si trovano a navigare in acque sempre più agitate. Alle nuove sfide, si aggiunge la recrudescenza di posizioni negazioniste sull’ambiente e un quadro normativo europeo ritenuto eccessivamente dirigistico, come evidenziano le discussioni sul pacchetto Omnibus per il reporting di sostenibilità.

Da qui la necessità di accompagnare le aziende in un percorso di integrazione della sostenibilità nei propri modelli di business, traducendo le trasformazioni in visione strategica consapevole. E’ la mission di iSustainability, la nuova società del gruppo Digital360, lanciata ufficialmente il 15 maggio al Bodio Center di Milano.  Obiettivo del convegno è valutare l’impatto della sostenibilità nel business, come cioè le attività ambientali e sociali possano guidare lo sviluppo e la competitività aziendale all’interno di uno scenario mutevole.

“La nostra filosofia si fonda sulla sinergia tra eccellenze. Si fonda sull’unione di persone che, come noi, nutrono una profonda passione per l’innovazione e la sostenibilità. Crediamo fermamente che dalla commistione di diverse competenze possa nascere qualcosa di veramente nuovo sul mercato”, saluta la platea Massimo Arioli, group CEO di Digital360. Un leitmotiv, quello della commistione tra competenze che ritornerà a più riprese durante l’incontro.

Riccardo Giovannini, co-fondatore e AD di iSustainability, sottolinea come l’essere consapevoli non implichi necessariamente l’aver intrapreso tutte le azioni necessarie, ma rappresenta un notevole passo avanti. “La sostenibilità è certamente una sfida. In questo studio abbiamo individuato alcuni comportamenti. La terza via è focalizzarsi sui modelli di business. Non c’è modo migliore, se non quello di fare in modo diverso i nostri prodotti e servizi. Altro tema importante è la cultura aziendale. Lo sforzo deve puntare non solo a colmare la percentuale del dato fino al 100%, ma anche a mettere a terra le varie iniziative”.

I dati salienti

Dal manufatturiero ai servizi, dai trasporti alla sanità, dal tech al lusso, sono dieci i settori di interesse alla base dell’analisi, e tre le classi di aziende selezionate in base al fatturato dichiarato. Fotografando lo stato dell’arte su un campione di 103 aziende, l’indagine offre uno spaccato sull’attuale integrazione di pratiche sostenibili nei modelli di business e delinea una crescente consapevolezza riguardo al ruolo chiave di queste pratiche come leva strategica. Nodo cruciale è la sentita necessità di una “terza via”, un percorso intermedio in grado di integrare i contenuti dell’ESG come motore di sviluppo e competitività, ma lontano dagli estremi di immobilismo da un lato o regolamentazioni troppo stringenti dall’altro.

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Nota Metodologica Dellindagine AziendaleNota Metodologica Dellindagine Aziendale
nota metodologica dell’indagine aziendale
  • Il 66% delle imprese analizzate ritengono che la mancanza di pratiche di sostenibilità comporti un rischio per la loro competitività
  • Il 54% delle aziende mostra un gap di consapevolezza sugli impatti ambientali delle piattaforme digitali che utilizzano. Ne risulta la necessità di maggiore sensibilizzazione e formazione su questo argomento.
  • Le Pmi sono più attente al coinvolgimento della filiera, con il 51% di queste aziende che lo identifica come un’esigenza primaria, sottolineando l’importanza di un approccio collaborativo e integrato nel percorso verso obiettivi sostenibili.
  • Solo il 15% delle aziende ritiene di stare facendo abbastanza per la sostenibilità, un dato che denuncia un ampio margine di miglioramento e indica una necessità di aumentare gli sforzi.
  • L’89% delle imprese mette in relazione modello di business e le strategie di sostenibilità, rafforzando l’ipotesi di una “terza via” tra l’inazione e l’eccesso normativo, centrata sull’integrazione strategica della sostenibilità.
  • L’86% è consapevole della rilevanza del fattore culturale.
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Riccardo Giovannini_CEO e cofounder iSustainability_foto Imageware

“Che il 66% delle aziende pensi che da qui a cinque anni non essere sostenibili possa essere un ostacolo alla competitività è un elemento fondamentale di consapevolezza. Vuol dire che al netto delle chiacchere le aziende hanno ben chiaro quello che dovrebbero essere. Per quanto riguarda l’altro dato del 54% – l’impatto ambientale del digitale – mi sembra una cosa normale. Quanti di noi sono consapevoli dell’impatto che produciamo stando sempre a smanettare su tablet o pc? Quindi, che dentro un’azienda il 54% delle persone bombardate dall’utilizzo dell’IA, invece di scaricarsi il file giusto, non lo sappiano, probabilmente questo ci dà la misura che non si conoscano le conseguenze. Bisogna lavorare in termini di informazione”, spiega ai microfoni di Canale Energia Riccardo Giovannini.

Sostenibilità come compliance o come leva di competitività?

Emerge con forza un elemento: per cavalcare il cambiamento, un’azienda deve guardare alla sostenibilità come leva strategica di competitività, in controtendenza con i venti negazionisti che soffiano un po’ ovunque, in primis da oltreoceano.

Rispetto ai trend di sostenibilità, il mondo imprenditoriale italiano è abbastanza avanzato. Sono soprattutto le PMI che ne riconoscono il valore, ma anche quelle che soffrono di più la due diligence della rendicontazione (…). Da un parte sono stati fatti passi da gigante nel nostro Paese, dall’altro c’è stato un errore di narrativa con il Green Deal, che ha aperto la strada ai negazionisti. Da questo punto di vista il Green Deal ha sottovalutato la componente sociale e culturale. Non era sbagliato il piano, ma come è stato presentato”, dichiara Alessandra Prampolini, direttore generale WWF Italia.

Un fattore, quello culturale, che si sta rivelando cruciale per definire la rotta operativa delle aziende. In uno scenario in rapida evoluzione, la vera domanda per le imprese è: su cosa concentrare la propria proattività nei prossimi cinque anni?

Se la maggior parte delle aziende ha fatto una scelta netta negli ultimi anni, è perché la competizione sulle risorse è reale. C’è un calo della biodiversità nel mondo. Per quanto riguarda i mammiferi sulla terra, ad oggi, oltre lil 60% sono esseri umani, il 30 % sono animali legati al consumo umano e solo il 4% sono mammiferi selvatici. Moltiplicate questo per la gestione dei terreni, dei mari, dei boschi…”, continua Prampolini.

Il tema della competitività non si configura solo come concorrenza aziendale tout court. Una delle sfide del futuro sarà proprio quella della competitività delle risorse. Per questo semplice motivo, sostenibilità, efficienza energetica, circolarità non saranno più prescindibili. Elemento inedito, anche l’importanza di far rete con altri stakeholder della filiera. Sottolinea questi concetti Michele Faggioli, AD di Lu.Ve S.p.A. “Noi, come Lu.Ve, abbiamo cercato di essere efficienti per un aspetto di competizione.  Cerchiamo di dare valore aggiunto perché riteniamo che il contesto stia cambiando. Le risorse sono limitate, non più infinite. E’ importante non essere soli, ma coinvolgere altri stakeholder per poter fare business. Quindi ci stiamo adoperando per cambiare il punto di osservazione del nostro business”.

A latere del talk al centro del convegno – che ha visto la partecipazione dei rappresentanti di importanti imprese nazionali e globali, da Saipem al Sigaro Toscano, da Pirelli a Lu.ve – spiccano le considerazioni del mondo accademico. L’accento è posto sul significato profondo dell’espressione “sviluppo sostenibile”. “La sostenibilità è un punto d’arrivo, uno stato ideale. Ma perché si parla di sviluppo sostenibile? Sviluppo significa sciogliere dei nodi, affrontare e risolvere problemi complessi che ci accompagnano da tempo, come la riduzione della povertà o la lotta alla fame. Lo sviluppo sostenibile non è un percorso lineare e semplice, ma un cammino complesso che richiede di affrontare seriamente le difficoltà e le tensioni”, commenta Alessandro Perego, vicedirettore del Politecnico di Milano.

Tensioni è una parola che ritorna. Mai come adesso, la sostenibilità si trova al crocevia di correnti opposte, schiacciata tra negazionisti e attivisti, tra gli imperativi della competitività economica e  requisiti della transizione ecologica. Non solo in senso ambientale, ma anche in senso di responsabilità sociale.  Riconoscere le sfide è il primo passo per superarle. Se è vero che alcune iniziative sostenibili si traducono in risparmi economici immediati, molte altre richiedono investimenti iniziali, con benefici che si manifestano solo nel medio o lungo periodo.  In questo scenario di tensioni, urge trovare una “terza via”, un approccio pragmatico che non neghi le complessità ma le affronti con creatività e innovazione.

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