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Aziende sempre più fredde con i Pride italiani


C’è chi ha deciso di non rinnovare il sostegno a causa di “tagli di budget”, chi ha solo ridimensionato la presenza e chi si è preso più tempo per rispondere. Mentre in tutto il mondo ci si prepara alle manifestazioni per i diritti LGBTQIA+, anche in Italia si registra un raffreddamento nelle adesioni da parte delle aziende. E gli organizzatori dei Pride non nascondono le preoccupazioni per il futuro. Il primo allarme è partito dagli Stati Uniti, dove l’amministrazione Trump ha chiesto ufficialmente alle imprese che intendono collaborare con il governo federale di abbandonare o ridimensionare le politiche DEI (Diversity, Equity & Inclusion). Una svolta politica che, nei fatti, sta già avendo impatti concreti. Il Guardian ha raccontato, ad esempio, che il Pride di San Francisco ha visto ritirarsi diversi sponsor storici, come Comcast (che controlla NBCUniversal), con una perdita di budget di circa 300mila dollari su un totale di 1,2 milioni.

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Un segnale che preoccupa anche dall’altra parte dell’Atlantico, dove le grandi aziende americane – da Amazon a CocaCola – sono state in passato le prime a promuovere e sostenere le manifestazioni del Pride in Europa, portando con sé anche molte realtà italiane. Oggi, questo modello sembra in parte scricchiolare. A esprimere preoccupazione, interpellati da ilfattoquotidiano.it, sono gli organizzatori dei Pride di Milano e Roma. “Quest’anno abbiamo percepito un raffreddamento da parte di alcune realtà”, spiega l’ufficio stampa dell’organizzazione di Milano a ilfattoquotidiano.it. “Alcune aziende hanno deciso di non rinnovare il proprio supporto, segnalando tagli di budget o la necessità di investire altrove. Nei prossimi mesi avremo una visione più completa di chi ci sosterrà, ma al di là dei colori della parata, questo ci porterà a valutare come rimodulare i costi del Milano Pride in modo che sia sostenibile per una realtà no profit come la nostra”. Un cambiamento che potrebbe tradursi anche in minori fondi per i progetti solidali, come quelli sostenuti dal Rainbow Social Fund, lo strumento con cui il Pride milanese supporta servizi, progetti e iniziative per la comunità LGBTQIA+ durante tutto l’anno. Il contesto non è semplice, confermano l’organizzazione del Pride di Milano: “Temiamo che questo sia il riflesso di un cambiamento più ampio nel clima politico e sociale, influenzato anche dal nuovo corso dell’amministrazione statunitense. Emblematico è l’appello delle ambasciate Usa in Europa che chiedono alle aziende che vogliono collaborare con il governo federale americano di rinunciare, di fatto, alle proprie politiche DEI. A differenza di Paesi come la Francia, che si sono apertamente opposti a questa ingerenza, l’Italia non ha espresso alcuna posizione. Un silenzio che, a nostro avviso, riflette una mancanza di consapevolezza istituzionale e di difesa della propria sovranità democratica”.

Il Milano Pride, che quest’anno si terrà il 28 giugno, è una macchina complessa: oltre 350mila partecipanti, tre giorni di eventi in Pride Square e una grande festa pubblica all’Arco della Pace. “Questo modello organizzativo, basato sull’impegno volontario, permette di contenere i costi. Ma per garantire la sostenibilità, ci affidiamo alle donazioni e al sostegno di enti privati. Il contributo delle aziende è stato finora fondamentale, non solo per l’evento ma anche per i progetti a lungo termine per la comunità”, spiegano gli organizzatori del Pride milanese. “Negli anni, il sostegno delle aziende è cresciuto, trainato inizialmente da realtà americane con politiche DEI più strutturate. Più recentemente, anche molte aziende italiane hanno iniziato a impegnarsi con convinzione”.

E quest’anno? Alcune confermano la presenza, ma senza l’enfasi del passato. Amazon, che nel 2024 aveva un carro e il logo tra gli sponsor, parteciperà nel 2025 solo “con una delegazione di dipendenti attraverso l’Affinity Group Glamazon” come confermato a Wired Italia. L’azienda ha aggiunto che “continuerà a impegnarsi a costruire un ambiente che valorizzi la diversità e promuova l’inclusione” ma non sarà tra gli sponsor ufficiali. Lo stesso vale per Unicredit che, a ilfattoquotidiano.it, ha dichiarato: “Saremo presenti alla parata con i nostri Unicorns (LGBTQIA+ Employee Network). Non saremo sponsor del Milano Pride 2025, ma promuoveremo i temi legati al Pride attraverso attività dedicate sui nostri canali interni ed esterni”. L’anno scorso, l’istituto di credito era sponsor della parata di Milano.

Coca-Cola, invece, ha confermato a ilfattoquotidiano.it il proprio sostegno al Rainbow Social Fund, “che da otto anni supportiamo con continuità attraverso progetti di solidarietà a favore della comunità LGBTQIA+”. Anche quest’anno, spiega l’azienda, i dipendenti saranno invitati a partecipare alla parata, ma non viene menzionata la presenza di un carro o un sostegno diretto come sponsor ufficiale dell’evento di Milano. Nel resto d’Italia, Coca-Cola sarà invece più visibile, dal Pride di Torino a quello di Napoli, “dove finanziamo progetti come la Casa delle Culture e dell’Accoglienza delle persone LGBTQIA+”. A livello aziendale, la multinazionale rivendica l’impegno interno su diversità e inclusione. A ilfattoquotidiano.it non è stato possibile ottenere risposte da altre multinazionali e aziende che in passato hanno sostenuto il Milano Pride, nonostante i tentativi di contatto.

La situazione a Roma, dove il Pride si terrà il 14 giugno, è per ora meno tesa, ma il clima è simile. Mario Colamarino, portavoce del Pride di Roma e presidente del circolo Mario Mieli, spiega a ilfattoquotidiano.it che il sostegno delle aziende sembra per ora rimasto stabile, ma i segnali da oltreoceano non passano inosservati: “Le aziende che ci sostengono hanno confermato la loro presenza. Ma certo, quello che sta accadendo negli Stati Uniti è allarmante. Tagliare fondi ai progetti DEI ha ricadute concrete, non solo simboliche: significa mettere a rischio servizi, spazi e supporti. Non possiamo dare per scontato che da noi non succeda”.

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Un cambiamento più sottile, spiega Colamarino, si nota nei tempi e nei modi delle risposte: “Le aziende impiegano più tempo per confermare il sostegno. I processi decisionali si sono allungati, forse c’è più cautela nell’esporsi pubblicamente. In Italia il supporto corporate ai Pride è arrivato tardi, e anche un’eventuale inversione di tendenza potrebbe richiedere tempo. Però c’è sicuramente attenzione, e qualche preoccupazione”. Anche per questo, il comitato romano sta lavorando su nuove forme di sostenibilità: “Per ora siamo in linea con gli anni passati, ma il bilancio vero lo tracceremo dopo la manifestazione. Intanto, pensiamo a rafforzare la sostenibilità con strumenti come i contratti pluriennali e il ricorso a più fonti di finanziamento”.

Colamarino conclude sottolineando l’indipendenza politica del Pride: “Abbiamo un comitato promotore ampio e compatto, fatto da realtà LGBTQIA+ che decidono in modo trasparente. Il sostegno delle aziende è benvenuto quando è coerente con i nostri valori. Ma non sono le aziende a fare il Pride e mai lo saranno”.



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