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Innovazione, l’Italia spreca il suo talento: è trentesima su 47 paesi


Al primo posto Israele, poi Singapore e Regno Unito. Seguono i principali Paesi europei. Solo al trentesimo posto, l’Italia. È la classifica stilata dal Teha Global Innosystem Index 2025, presentato al Technology Forum, che confronta la capacità di innovazione dei 47 paesi più avanzati al mondo analizzando le loro performance in cinque ambiti: capitale umano, risorse finanziarie a supporto del settore, innovatività dell’ecosistema, attrattività e efficacia dell’ecosistema. Risultato? L’Italia retrocede di due posizioni rispetto al 2022.

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I parametri

Tra i parametri più critici, proprio la capacità di formare e attrarre talenti (dove il Paese scivola addirittura al trentaseiesimo posto) e quella di generare investimenti pubblici e privati a supporto dell’innovazione, dove l’Italia è ventisettesima. Eppure, le migliori performance si registrano proprio sul fronte della qualità della ricerca scientifica e dell’efficacia dell’ecosistema, dove il Paese conquista posizioni, collocandosi settimo.

La scarsità di investimenti

Entrando più nel dettaglio, si capisce infatti che tra i nodi da sciogliere c’è proprio quello degli investimenti dedicati alla formazione e alla ricerca. Nella classifica relativa alla spesa in educazione in rapporto al Pil l’Italia si colloca al trentatreesimo posto, con solo il 4,2% del pil dedicato, contro il 7,6% della Svezia, che occupa la prima posizione. L’Italia si trova poi solo al venticinquesimo posto per spesa in ricerca e sviluppo delle imprese, con lo 0,8% del pil, contro il 5,6% di Israele, e ventiseiesima – sommando gli investimenti di imprese, governo, università e no profit – per spesa complessiva in R&D, con appena l’1,3% del pil, mentre Israele, prima in classifica, arriva al 6% del pil speso in ricerca e sviluppo.

Il gap di talenti

E la percentuale di cittadini laureati? Male anche quella. Si scende al trentaquattresimo posto, con solo il 30,6% (sono laureati solo tre italiani su dieci) contro il 69,7% della Corea del Sud, prima in classifica. Ma, se scarseggiano i laureati, la vera rarità sono gli sviluppatori software. L’Italia scivola al quarantunesimo, con solo 51,8 sviluppatori ogni mille abitanti. Singapore, per fare un esempio, ne ha 467,8. Altra rarità? Gli unicorni. Le startup valutate più di un miliardo di dollari oltre ad essere poche, hanno anche un valore più basso che negli altri paesi (36° con lo 0,2% del pil, contro il 24% del pil dell’Estonia, che è il primo paese per questo parametro).

Dove l’Italia eccelle

Nonostante la scarsità delle risorse dedicate alla ricerca, la difficoltà di formare talenti e di attrarli dall’estero, l’Italia vanta più di un fiore all’occhiello. È infatti seconda al mondo per numero di pubblicazioni ed è quarta per citazioni ogni 100 ricercatori. Inoltre, è la prima nazione in Europa per tasso di successo dei brevetti (76,6%). Poi c’è il capitolo export. Qui il Paese è quinto al mondo e secondo in Europa per il saldo commerciale del settore manifatturiero e ottavo a livello globale per quello nei servizi di ricerca e sviluppo.

Le regioni più innovative

Altri segnali incoraggianti vengono da alcuni distretti italiani. In particolare, il Teha-Regional Innosystem Index, ha preso in considerazione 242 regioni europee, e ha evidenziato come la Lombardia e il Lazio siano nella top 50 delle regioni più innovative al mondo, collocandosi rispettivamente diciottesima e trentaquattresima. Prima in classifica, invece, l’Île-de-France, seguita da Praga, Stoccolma e Budapest. Maglia nera per la Calabria, che si colloca agli ultimissimi posti: è duecentoventottesima.

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Come intervenire

Tra luci e ombre, non tutto è perduto. Lo studio si pone infatti anche l’obiettivo di evidenziare alcune azioni concrete che potrebbero far volare l’Italia sulle ali di Dedalo, contribuendo a scalare la classifica. Per farlo, Teha immagina un arco temporale di 15 anni, nel quale la nazione potrebbe salire al diciottesimo posto, traguardo che, tradotto in termini economici, stima Ambrosetti, significa un aumento del pil del 20,6%, vale a dire una crescita di 475,3 miliardi al 2040. È lo scenario “What If” dell’indice. Allora bisogna immaginare un aumento del 36% degli investimenti in istruzione, uno stanziamento di 35 miliardi di dollari per arrivare al 132,2 miliardi. In rapporto al pil, significherebbe passare dal 4,2% al 5,75%. La popolazione italiana con educazione terziaria, inoltre, dovrebbe crescere del 74%, toccando quota 31,3 milioni. Ma non basta. Anche le imprese dovrebbero aumentare in modo massiccio la spesa in ricerca e sviluppo, aggiungendo ben 43,9 miliardi di dollari (+144% rispetto alla spesa attuale) per raggiungere i 74,3 miliardi di dollari complessivi. Il numero dei programmatori italiani dovrebbe essere moltiplicato per 2,3 volte, per arrivare a 10,1 milioni. Gli unicorni? Il loro valore dovrebbe essere moltiplicato, addirittura, di 47 volte.



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