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l’Italia chiede di modificare il Pnrr


La linea della prudenza prevale anche su un fronte politicamente delicato come il taglio delle tasse. Dopo l’intervento con il quale il governo ha ridotto il modo strutturale il cuneo fiscale sui redditi fino a 40 mila euro, servirà più tempo per fare il passo successivo. Vale a dire ridurre la pressione fiscale sulla “classe media”, quei contribuenti che dichiarano tra i 40 mila e i 50 mila euro e per i quali, da tempo, il Tesoro e Palazzo Chigi studiano una riduzione delle aliquote dal 35 al 33 per cento oltre a un innalzamento del secondo scaglione Irpef fino a 60 mila euro. Ieri il ministro dell’Economia, Giancarlo Giorgetti, rispondendo a un’interrogazione presentata da Luigi Marattin, ha confermato che il governo intende arrivare a un «progressivo abbattimento della pressione fiscale anche per i redditi medi». Ma questo obiettivo, ha aggiunto «presuppone un orizzonte temporale pluriennale». Ci vorrà tempo insomma. Del resto sul fronte del Fisco i partiti della stessa maggioranza hanno diversi progetti e sensibilità. Sul taglio dell’Irpef alla classe media spinge in particolar modo Forza Italia, ma la misura è appoggiata anche da Fratelli d’Italia. La Lega ha altri dossier fiscali sul suo tavolo, dalla quinta operazione di rottamazione delle cartelle fiscali fino all’innalzamento della flat tax per le Partite Iva. Bisognerà insomma prima di tutto riuscire a fare una sintesi tra le stesse forze di governo. Sintesi che sarà necessaria, ma a livello internazionale, per capire come affrontare la tassazione delle Big Tech. L’Italia, come Francia e Spagna, ha una sua imposta sui servizi digitali con un’aliquota al 3% che colpisce le imprese con ricavi sopra i 750 milioni. Lo scorso anno a portato incassi per 455 milioni di euro. Tuttavia la misura è entrata nel mirino dell’amministrazione statunitense. Era contestata già dalla passata presidenza Biden, ma con l’arrivo di Donald Trump alla Casa Bianca è entrata nel novero delle misure contestate e che Washington vorrebbe fossero cancellate nella trattativa sui dazi.

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Tutta da chiarire anche la portata di un’eventuale richiesta di flessibilità per sostenere le spese in difesa. L’Italia non è tra i Paesi che, entro il 30 aprile, hanno chiesto di attivare la clausola di salvaguardia che permette di scorporare dal conto del deficit i costi per la sicurezza e il riarmo. Roma attende di capire cosa sarà deciso nel vertice Nato di giugno e se ai Paesi alleati sarà chiesto di arrivare a una cifra superiore al 2% del Pil, che l’Italia raggiungerà quest’anno.

IL PNRR

Bruxelles ha nel frattempo confermato di aver ricevuto una richiesta di revisione del Piano nazionale di ripresa e resilienza che include anche «modifiche tecniche» sugli obiettivi della settimana rata, il cui termine era alla fine dello scorso anno e oggi è in fase di verifica. Richiesta partita lo scorso 21 marzo.

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Roma lavora infatti a una quinta riscrittura del piano da 194,4 miliardi. Entrerà con molta probabilità un correttivo a Transizione 5.0, misura che nelle intenzioni avrebbe dovuto dare uno sprint alla spesa, impegnando circa 6 miliardi. Nelle previsioni c’è anche la creazione di fondi che permetteranno di far vivere le risorse oltre la scadenza del piano nel 2026. Il fondo diventa l’obiettivo da raggiungere e i soldi potranno essere spesi per progetti extra Pnrr, vincolati al rispetto di scadenze. Al momento non c’è invece la richiesta di spostare obiettivi del Piano alla Politica di Coesione.

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