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ecco perché serve alla competitività delle imprese europee


Il Green deal rappresenta un cambiamento strutturale per tutta l’economia e la società europea. Le strategie delineate e gli obiettivi di azzeramento delle emissioni di gas serra entro il 2050 sono state aspramente dibattute e fortemente contestate da più fronti dalla politica alla rappresentanza industriale e sindacale.

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Le argomentazioni sono legittime e le preoccupazioni sono lecite. Ovviamente ci saranno vincitori e perdenti da tutto il processo di trasformazione che avverrà durante l’implementazione di questo grande piano di cambiamento. La regressività di molti degli strumenti di mercato utilizzati per incentivare la decarbonizzazione (es. tasse, incentivi, sussidi) può essere un primo motivo di antagonismo agli obiettivi della Commissione Ue, dal punto di vista sociale. Dal punto di vista industriale, invece, una delle obiezioni più comuni agli interventi della Commissione rispetto al Green deal è legata alla possibile perdita di competitività delle imprese europee rispetto ai principali concorrenti globali (Usa e Cina) e quindi alla perdita di produzione, lavoro, redditi e profitti fonte principale di sostegno al welfare europeo.

Concentrandoci sul lato della produzione, potremmo cercare di disquisire quale siano le motivazioni sottostanti alle strategie europee per delle scelte che richiamano, a detta degli oppositori, al ‘suicidio economico’ o alla ‘zappa sui piedi’. Perché mai la Commissione Ue ha l’intenzione di regolamentare fortemente il mercato così da penalizzare l’industria europea? Solo per bieche motivazioni di sostenibilità? È veramente il complotto della sinistra-verde radical chic e di Greta Thunberg per colpire la produttività e il lavoro?

L’idea principale sottostante al Green deal sembra essere legata all’idea proposta da Porter e Van Der Linde a metà anni ’90 secondo cui gli interventi di policy ambientale, anche se inizialmente deprimenti delle performance economiche del settore produttivo, potrebbero, nel medio e lungo periodo, essere potenzialmente favorevoli alle imprese, e all’intero sistema economico. Questo perché l’innalzamento dell’asticella negli standard ambientali, realizzato tramite regolamentazioni, dovrebbe stimolare le imprese ad innovare e migliorare le proprie performance di sostenibilità.

Secondo questa idea, delle policy forti con obiettivi stringenti come quelli del Green deal, dovrebbero stimolare le imprese a evitare l’introduzione di innovazioni cosiddette ‘incrementali’ e di spostarsi invece verso degli interventi di innovazione più ‘radicali’ e strutturali. Le prime vengono anche definite ‘end-of-pipe technologies’ e sostanzialmente rappresentano cambiamenti interni in ottemperanza degli standard ambientali in una continua rincorsa, ma senza intervenire in modo dirompente sui processi produttivi. Le seconde, le cosiddette innovazioni radicali, si concentrano invece su cambiamenti di tipo strutturale all’interno dei processi delle imprese, tramite trasformazioni radicali nei metodi, nei risultati di produzione e negli aspetti organizzativi, che oltre a ridurre gli impatti ambientali sono in grado di creare nuovo valore per le imprese.

Quindi qual è la differenza sostanziale tra i due tipi di innovazione tecnologica? Il know-how creato, le nuove pratiche e le nuove conoscenze messe in atto possono offrire nuove possibilità per le imprese dando un vantaggio competitivo rispetto ai concorrenti in termini di riduzione dei costi, miglioramenti logistici e ottimizzazione dei processi, permettendo alle imprese di avere margini di profittabilità rispetto ai concorrenti e di aprirsi per primi a nuovi potenziali mercati. 

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Ora che sembra più chiaro la ratio dell’intervento della Commissione Ue rispetto al Green deal, sembra anche un po’ meno ‘ideologico’ l’intervento, e il verde brillante a cui ci riporta l’immaginazione un po’ più opaco: più realistico e meno utopico. Certamente l’aspetto ambientale rimane centrale, ma il cuore dell’intervento non è unicamente ambientalista, ma legato alla competitività del sistema economico europeo.

Come suggerito nel report dell’Agenzia europea dell’ambiente “The sustainability transition in Europe in an age of demographic and technological change” le sfide per il futuro sono multiple e si interconnettono le une con le altre, ma tutte portano a un possibile scenario in condizione ‘business as usual’: l’uscita dai giochi dell’Europa come player economico internazionale.

Lo spettro della futura caduta demografica e l’invecchiamento medio della popolazione europea sono strettamente collegati alle necessità di gestire un nuovo scenario di politiche economiche in cui la crescita economica europea sarà anche parzialmente frenata dalla caduta della forza lavoro e dove il peso della gestione di una società geriatrica sui sistemi di welfare europei inizierà a fare scricchiolare un sistema di finanza pubblica già ampiamente indebitato. A tutto ciò si sommano le sfide legate alla digitalizzazione europea, per non fare perdere ulteriormente competitività internazionale all’intero sistema produttivo del ‘vecchio’ continente. Oltre a ciò, potremmo anche annoverare tutte le problematiche socio-economiche e le pressioni sulle finanze pubbliche che deriveranno dal riscaldamento globale, come la gestione di catastrofi naturali, le spese sanitarie per evitare potenziali nuove epidemie, le spese sanitarie e sociali per le classi più esposte agli effetti del cambiamento climatico e tanto altro ancora.

Quindi non potrebbe essere una buona idea avere un piano di crescita e sviluppo integrato a livello europeo per consentire di ammortizzare al meglio tutte queste sfide multiple che la vecchia Europa dovrà affrontare? Risposta: ecco perché abbiamo il Green deal.

Può non sembrare, ma è un primo passo per cercare di essere attivi rispetto agli scenari incerti futuri legati a tutte queste nuove sfide; può essere migliorabile, discutibile e rivedibile, ma è qualcosa, un piano di fuga, una via di uscita, una speranza. Gli Stati Uniti sembrano avere preso un’altra strada, e se fossi americano ora sarei spaventato rispetto al futuro (e probabilmente mi avrebbero anche già licenziato).

Ma torniamo all’innovazione e alle imprese. La ‘severità’ degli obiettivi del Green deal ha lo scopo di incentivare il sistema produttivo europeo a innovare fortemente per aumentare la produttività e la competitività delle imprese nel medio-lungo periodo. Ma come il Green deal può sostenere le imprese europee? Uno spunto ce lo può dare il report Draghi sulla competitività europea (‘The future of European competitiveness’) che suggerisce come le imprese europee mediamente paghino molto di più per l’energia rispetto alle imprese cinesi e americane. La differenza tra il prezzo pagato a livello industriale per l’elettricità nel 2023 era pari al 158% del prezzo pagato dalle imprese americane, e se pensiamo al gas il differenziale diventa pari al 345%.

Studi realizzati dal Centro di ricerca interuniversitario Seeds indicano come uno dei principali driver di adozione di innovazioni sostenibili siano gli investimenti in ricerca e sviluppo (R&S) delle imprese, la formazione di capitale umano e la collaborazione con altre imprese ed enti di ricerca (tra cui anche le università) per aumentare la capacità innovativa e ridurre i rischi molto alti legati alle attività di innovazione (Pronti et al., 2023). Una delle barriere principali sembra essere invece la mancanza di risorse finanziarie e di sostegno economico nelle attività di implementazione delle innovazioni.

Ma cosa dicono le imprese? Leggendo i risultati della rilevazione Eurobarometro ‘SMEs, resource efficiency and green markets’ realizzata su un campione rappresentativo di circa diciottomila imprese, alcune dichiarazioni confermano quanto già detto, mentre altre suggeriscono altri possibili interventi. Partiamo da un dato: il 93% delle imprese intervistate ha adottato almeno un’innovazione di tipo green mentre solo il 6% delle imprese non lo ha fatto e non intende farlo in futuro. Tra le tipologie di innovazioni ci sono interventi ambientali strettamente legati all’economicità con cui vengono utilizzate risorse idriche, materiali di scarto, materie prime o interventi legati all’ approvvigionamento energetico. Quindi tutti interventi con obiettivi principali di efficientamento dei costi, il che suggerisce che gli interventi green non siano solamente legati alla volontà di una riduzione degli impatti e di miglioramenti ambientali, ma di questioni pratiche produttive. Delle imprese che hanno adottato interventi green, il 61% ha dichiarato di utilizzare risorse finanziarie proprie e il 50% di utilizzare competenze interne, mentre solamente il 23% delle imprese ha dichiarato di avere richiesto un supporto esterno.

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Nella stessa survey viene richiesto alle imprese di individuare le principali barriere alle innovazioni e ai miglioramenti per la sostenibilità. Il 37% delle Pmi ritiene che sovvenzioni o sussidi aiuterebbero maggiormente la propria azienda a essere più efficiente nell’uso delle risorse, mentre il 23% indica che il sostegno tramite dimostrazioni e supporto pratico ad aspetti di innovazione potrebbe essere molto utile al miglioramento delle performance ambientali. Il 16% delle imprese indica che esempi di pratiche sostenibili già adottate da altre imprese possa sostenere l’introduzione di eco-innovazione, mentre il 15% indica la necessità di avere strumenti di autovalutazione.

Tutto ciò suggerisce un paio di cose: 1) le imprese europee innovano e migliorano le proprie performance ambientali perché ciò permette loro di essere più efficienti, quindi, la sostenibilità sembra essere solo una parte della storia 2) Le imprese hanno bisogno di supporto esterno sia in termini finanziari sia tramite sostegno pratico all’innovazione.

Quindi potremmo tornare all’idea inizialmente proposta e iniziare a interpretare il Green deal in linea principale come un piano strategico di sviluppo industriale europeo, con attenzione agli aspetti ambientali. Nel suo sviluppo pratico e nella sua implementazione, è cruciale che le strategie della Commissione Ue si concentrino sullo sviluppo di policy specifiche per il sostegno all’investimento in R&S pubblica e privata e la creazione di meccanismi di supporto pratico alle piccole e medie imprese (il 99% delle imprese europee è una Pmi con meno di 250 addetti) per ridurre i rischi legati all’incertezza delle attività innovative. Oltre a ciò, un possibile aspetto da considerare potrebbe essere il sostegno allo sviluppo di mercati di capitali di rischio (venture capital) per sostenere l’implementazione di innovazioni nelle fasi successive alla loro ideazione.

Ma la cosa più importante, a mio avviso, è quella di continuare a credere nel Green deal europeo, magari descrivendolo più per quello che è: il primo programma europeo di pianificazione industriale con obiettivi trentennali e linee strategiche di sviluppo volte al miglioramento della competitività industriale e all’indipendenza nell’approvvigionamento energetico. Evitare cambiamenti di agenda dettati da situazioni politiche di breve periodo, imitando l’attuale amministrazione Trump, servirebbe a rafforzare l’idea di base del Green deal ricevendo maggiore sostegno a livello collettivo, e permetterebbe di ridurre il rischio percepito da investitori e Pmi rispetto alla transizione green.

Dal 2022, con l’invasione Russa in Ucraina, le risposte internazionali al Green deal si sono ormai fatte sentire. Una possibile ipotesi sottostante al conflitto è che la Russia, principale esportatore di gas naturale in Europa, sarebbe risultata tra i principali perdenti della svolta green europea. Anche la recente guerra commerciale introdotta dagli Stati Uniti potrebbe essere interpretata come una politica economica di risposta alla strategia europea, allo scopo di sostenere il mercato interno e incentivare la delocalizzazione di imprese cinesi ed europee sul territorio americano. Le risposte di Russia e Usa sembrano quindi dimostrare che la strategia di sviluppo europea sia tutt’altro che solamente un programma naïve ambientalista, ma piuttosto un chiaro programma di lungo periodo a cui i maggiori player internazionali si stanno adattando, ognuno a loro modo. La vecchia Europa può dire ancora la sua, anche questa volta.

References

Draghi Report, 2024. “The future of European competitiveness”, Part A,  A competitiveness strategy for Europe, available at: https://commission.europa.eu/topics/eu-competitiveness/draghi-report_en

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EEA, 2019. “The sustainability transition in Europe in an age of demographic and technological change. An exploration of implications for fiscal and financial strategies”, European Environment Agency Report, N. 23/2019.

Eurobarometro, 2024. Flash Eurobarometer 549 – SMEs, resource efficiency and green markets (Summary), n. ET-01-24-010-EN-N, doi:10.2873/1007445.

Porter M., Van der Linde C., 1995. “Green and competitive: ending the stalemate.” The Dynamics of the eco-efficient economy: environmental regulation and competitive advantage 33 (1995): 120-134.

Pronti A., Zecca E., Antonioli D., 2023. Micro is beautiful. Adoption of eco-innovations in micro-firms, Business Strategy and the Environment, 2023;1–28. 10.1002/bse.3553



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